Come si è già detto, la massima distanza alla quale le forze nucleari sono attive corrisponde all'incirca alle dimensioni stesse del nucleo. Pertanto fino a quando i due nuclei sono separati essi sono soggetti alla sola forza elettrica repulsiva. Solo quando riusciremo a portarli così vicini da "toccarsi" allora le forze nucleari potranno entrare in gioco permettendone la fusione. E' come se ci fosse in cima ad una collina un profondo buco che termina più in basso dell'altezza stessa della collina. Se vogliamo far cadere un masso in quel buco, guadagnando così una grossa quantità di energia, dovremmo prima farlo salire spendendo una certa quantità di energia. La situazione per la fusione nucleare è simile. Fino a quando i due nuclei sono separati, per avvicinarli dobbiamo compiere un lavoro contro le forze elettriche repulsive, come per portare il masso in cima alla collina. Quando i due nuclei arrivano a contatto, allora le forze nucleari possono liberare una grande quantità di energia, come quando, arrivati finalmente in vetta alla collina, lasciamo cadere il masso dentro al buco. Il grande lavoro svolto contro le forze elettriche per avvicinare i due nuclei fino a toccarsi viene molto più che ripagato dall'energia nucleare liberata dalla fusione.
Ma quale è la catena di reazioni nucleari che permette al sole di funzionare? Il nucleo più semplice che si possa immaginare è quello costituito da un solo protone. Esso corrisponde all'atomo di idrogeno, e viene indicato con il simbolo 1H. Il numero dei neutroni è ovviamente 1 - 1 = 0. La fusione di due nuclei di idrogeno, cioè di due protoni, non genera un nucleo stabile. Infatti perfino le intensissime forze nucleari non sono in grado di tenere insieme due protoni solamente, per via della enorme forza repulsiva tra di essi. Fortunatamente esiste una seconda forza nucleare. E' molto meno intensa e perciò viene chiamata forza nucleare debole. Essa rende possibili processi altrimenti vietati. La prima indicazione circa l'esistenza di una seconda forza nucleare venne dall'osservazione che un neutrone isolato non è stabile. Dopo circa 15 minuti esso spontaneamente si trasforma in un protone più un elettrone, più un'altra particella molto elusiva chiamata antineutrino elettronico. Verifichiamo adesso che nella reazione non si perda nulla. All'inizio la carica del neutrone era zero. Alla fine abbiamo ottenuto un protone ed un elettrone, di cariche eguali ed opposte, in modo che la loro somma sia esattamente eguale a zero. Ma abbiamo anche un antineutrino elettronico, la cui carica elettrica dovrà essere quindi nulla. All'inizio il neutrone era fermo. Alla fine abbiamo un protone, un elettrone ed un antineutrino che sia allontanano velocemente dalla zona di reazione.
Da dove viene l'energia per questo processo? Si è detto che il protone ed il neutrone hanno lo stesso peso, o massa. Ciò non è del tutto esatto: in realtà il peso di un neutrone è quello di un protone più qualche millesimo. Avremo quindi un eccesso di massa, perché il protone non si porta via tutta la massa originaria del neutrone. L'elettrone pesa 1/2000 di un neutrone, quindi si porta via un po' della massa in eccesso, ma non tutta. L'antineutrino ha massa nulla(o perlomeno vicinissima allo zero). Dove è finita la massa in eccesso? E da dove è venuta l'energia che il protone, l'elettrone e l'antineutrino si portano via? Nell'ambito della teoria della relatività, dovuta ad Albert Einstein, si è mostrata l'equivalenza dei concetti di massa ed energia. E' la ben nota formula E = Mc2, che oramai compare ovunque. Essa ci assicura che una certa quantità di energia può essere convertita in una massa, o viceversa, in opportune condizioni. Cioè, se abbiamo a disposizione, come in questo caso, una certa massa in eccesso, possiamo trasformare questa massa in energia. Questa energia è quella che permetterà al protone, all'elettrone ed all'antineutrino di allontanarsi velocemente. Il processo di decadimento, come spesso viene chiamato, di un neutrone non può essere dovuto alla stessa forza nucleare che tiene assieme i nuclei, o che permette la fissione di quelli più pesanti e la fusione di quelli più leggeri. Infatti il tempo di decadimento del neutrone è, come abbiamo detto di circa 15 minuti, un tempo spaventosamente più lungo di quelli tipici per le reazioni nucleari trattate in precedenza. Sarà quindi una forza di tipo nucleare a indurlo, ma estremamente meno intensa, per cui prende il nome di forza debole. Abbiamo quindi due forze nucleari, quella forte responsabile dell'esistenza dei nuclei, della fissione e della fusione, e quella debole responsabile del decadimento del neutrone e di altri fenomeni che discuteremo tra breve. Come mai i neutroni che sono dentro ai nuclei non decadono? Se lo facessero ci accorgeremmo che le proprietà chimiche dei materiali cambierebbero ogni quarto d'ora. Dovremmo accorgerci, ad esempio, che il 56Fe, costituito da 26 protoni e 30 neutroni, si trasforma in 56Co, costituito da 27 protoni e 29 neutroni. Questo avverrebbe ogni volta che ciascuno dei 30 neutroni originari del ferro dovesse trasformarsi in un protone, più un elettrone, più un antineutrino elettronico. Questo non avviene perché è impedito dalla mancanza di energia. Si dà il caso che la quantità totale di energia immagazzinata nel nucleo di 56Fe sia minore di quella totale immagazzinata nel nucleo di 56Co. Per realizzare un decadimento di neutrone in protone, come nel vuoto, avremmo bisogno di energia, che non abbiamo. Il processo, a priori possibile, risulta vietato per mancanza di energia. Si fa necessaria ora una ricapitolazione, per non confondersi: il decadimento di un neutrone del ferro in protone consentirebbe un piccolo guadagno di energia. Energia che, nel vuoto, viene dispersa sotto forma di velocità delle particelle uscenti dalla reazione. Il problema è che questo piccolo guadagno di energia, realizzato tramite le forze nucleari deboli, non è sufficiente a colmare il divario energetico tra il ferro ed il cobalto, creato dalle forze nucleari forti. La stabilità o meno di un certo nucleo atomico dipende quindi da un delicato bilancio tra le forze elettriche che tenderebbero a disintegrarlo, quelle nucleari forti, che cercano di tenerlo insieme, e quelle nucleari deboli, che cercano di cambiare neutroni in protoni, quando ciò sia possibile. Sarebbe possibile, usando le forza nucleari deboli, trasformare, invece di un neutrone in un protone, un protone in un neutrone, più eventualmente qualcosa d'altro? Si, se non fosse che, come si è detto, il protone pesa un po' meno di un neutrone. Quindi, anche se la cosa sarebbe possibile, un protone isolato rimane sempre tale, perché non abbiamo abbastanza massa o energia per trasformarlo in qualcosa d'altro. All'interno di un nucleo, però, questo processo proibito per mancanza di energia, è talvolta possibile, a spese dell'energia che tiene insieme il nucleo. Così risulta che il 56Fe non riesce a trasformarsi in 56Co spontaneamente, per quanto detto prima, ma che nel 56Co le forze nucleari deboli riescono in ciò che gli è impossibile fuori dal nucleo, cioè a trasformare un protone in neutrone. Il nucleo di 56Co è così anch'esso radioattivo, ma di una radioattività diversa da quella discussa in precedenza: non più generata dalle forze nucleari forti, ma da quelle deboli. Queste due radioattività hanno anche nomi diversi: la prima viene detta radioattività-a(alfa), la seconda radioattività-b(beta). Ritorniamo al funzionamento di una stella. La fusione(forte) di due nuclei di idrogeno risulta impossibile a causa delle tremende forze repulsive elettriche. Con l'aiuto delle forze nucleari deboli, uno dei protoni può pero, come detto, trasformarsi in un neutrone emettendo anche, contemporaneamente, un antielettrone ed un neutrino elettronico: è tutto all'opposto che per il decadimento di un neutrone. L'antielettrone, o positrone, è identico ad un elettrone, ma con carica positiva. Si forma così un nucleo composto da 1 protone ed 1 neutrone, l'isotopo 2H dell'idrogeno, chiamato anche deuterio. Indicando con una freccia il verso delle reazioni che avvengono si indicherà allora
p + p ® p + n + e+ + ve
e
p + n ® 2H
dove con e- ed e+ si è indicato l'elettrone e l'antielettrone(o positrone), mentre con ve si è indicato il neutrino. Nelle stelle, molto calde, si forma quindi deuterio. Già a questo stadio un po' di energia viene liberata, e portata via sotto forma di calore, di positroni e di neutrini. Un nucleo di deuterio può a sua volta fondere con uno dei protoni rimasti isolati, formando il nucleo 3He(elio 3) composto, appunto, da 2 protoni ed un neutrone, liberando così ancora un po' di energia sotto forma di onde elettromagnetiche e di calore. A loro volta due nuclei di 3He possono fondersi in un nucleo di 4He(2 protoni + 2 neutroni), lasciando liberi i restanti 2 protoni, che possono ricominciare il ciclo. Ogni volta che il ciclo viene compiuto, 4 protoni vengono convertiti nel nucleo di elio, attraverso la catena descritta, ed una grande quantità di energia viene liberata.
Una stella produce quindi energia trasformando idrogeno in elio. Una bomba a fusione si basa esattamente sugli stessi principi. Il problema, non piccolo, è quello di riuscire a portare l'idrogeno a temperature e pressioni elevatissime, simili a quelle all'interno di una stella. Il vantaggio, però, sarebbe enorme: l'idrogeno è facilmente reperibile e, per di più, la quantità di energia liberata in questo tipo di processi è maggiore di quella liberata per fissione. Ciò significa che a parità di peso una bomba a fusione sarebbe enormemente più potente e meno costosa. Il problema di raggiungere le temperature e pressioni necessarie era, però, già stato praticamente risolto. Se mettessimo una bomba a fissione attorno ad una certa quantità di idrogeno molto condensato, questa, esplodendo, provocherebbe le temperature e le pressioni necessarie. Una bomba a fissione può essere quindi l'innesco adatto ad una a fusione, così come una bomba normale(a innesco chimico) era l'innesco di una bomba a fissione. Può sembrare utile, a questo punto, costruire una bomba termonucleare perché comunque si deve costruire una bomba a fissione. Il punto è che per raddoppiare la potenza esplosiva di una bomba a fissione bisognerebbe raddoppiare le quantità di uranio o plutonio impiegata, con problemi finanziari e tecnici. Ma usando sempre la stessa quantità di 235U o di plutonio, quella minima necessaria per innescare la fissione, possiamo aumentare a dismisura la potenza semplicemente aggiungendo idrogeno. Queste bombe vengono chiamate "bombe H"(H sta per idrogeno) o "bombe termonucleari", per ricordare che esse necessitano di una grande quantità di calore per iniziare l'esplosione. Le bombe a fissione venivano talvolta indicate come "bombe A"(dove A sta per atomiche). Attualmente gli arsenali militari di tutte le potenze nucleari sono forniti solo di bombe termonucleari.
L'energia di legame media per nucleone(ogni particella contenuta nel nucleo), che equivale all'energia necessaria per rimuovere un nucleone dal nucleo, è una funzione del numero di massa. Dalla curva dell'energia di legame media per nucleone si desume che se due nuclei leggeri si fondono a formare un nucleo più pesante, o se un nucleo molto pesante si spezza in due nuclei più leggeri, si ottengono in entrambi i casi specie atomiche più stabili.
Ad esempio, dalla reazione di fusione di due nuclei di deuterio,
si ottiene un nucleo di elio 3, un neutrone libero, e una quantità di energia nucleare pari a 3,2 MeV(Mega-ellettronvolt), cioè 5,1 × 10-13 J. Dalla fissione del nucleo 235U, indotta dall'assorbimento di un neutrone,
si ottiene invece cesio 140, rubidio 93, tre neutroni e un'energia nucleare di 200 MeV, cioè 3,2 × 10-11 J.
La reazione dell'uranio consente di sottolineare due caratteristiche di tutti i processi di fissione nucleare. In primo luogo la quantità di energia prodotta da ogni singola fissione è molto grande; in termini pratici, la reazione di 1 kg di uranio 235 sviluppa 18,7 milioni di chilowattora, sotto forma di calore. Inoltre, il processo di fissione innescato dall'assorbimento di un neutrone dal primo nucleo di uranio 235 continua in modo autonomo: i neutroni emessi in ogni fissione possono indurre la fissione in quasi altrettanti nuclei di uranio 235, ciascuno dei quali si spezza in due frammenti, con produzione di neutroni e sviluppo di energia; così ha luogo un processo a catena che si autoalimenta, garantendo una produzione continua di energia nucleare.
Dell'uranio presente in natura, solo lo 0,7 per cento è uranio 235; il resto è costituito dall'isotopo non fissile uranio 238 e da quantità minime di uranio 234. Poiché la percentuale di materia fissile, cioè con elevata probabilità di dare luogo a un processo di fissione in seguito a bombardamento con neutroni, è molto bassa, una massa di uranio naturale non è in grado di sostenere una reazione a catena. Per aumentare la probabilità che un neutrone emesso in una reazione di fissione induca lo stesso processo in altri nuclei, esso viene rallentato mediante una serie di collisioni elastiche con nuclei leggeri, di idrogeno, deuterio o carbonio.
Ma quale è la catena di reazioni nucleari che permette al sole di funzionare? Il nucleo più semplice che si possa immaginare è quello costituito da un solo protone. Esso corrisponde all'atomo di idrogeno, e viene indicato con il simbolo 1H. Il numero dei neutroni è ovviamente 1 - 1 = 0. La fusione di due nuclei di idrogeno, cioè di due protoni, non genera un nucleo stabile. Infatti perfino le intensissime forze nucleari non sono in grado di tenere insieme due protoni solamente, per via della enorme forza repulsiva tra di essi. Fortunatamente esiste una seconda forza nucleare. E' molto meno intensa e perciò viene chiamata forza nucleare debole. Essa rende possibili processi altrimenti vietati. La prima indicazione circa l'esistenza di una seconda forza nucleare venne dall'osservazione che un neutrone isolato non è stabile. Dopo circa 15 minuti esso spontaneamente si trasforma in un protone più un elettrone, più un'altra particella molto elusiva chiamata antineutrino elettronico. Verifichiamo adesso che nella reazione non si perda nulla. All'inizio la carica del neutrone era zero. Alla fine abbiamo ottenuto un protone ed un elettrone, di cariche eguali ed opposte, in modo che la loro somma sia esattamente eguale a zero. Ma abbiamo anche un antineutrino elettronico, la cui carica elettrica dovrà essere quindi nulla. All'inizio il neutrone era fermo. Alla fine abbiamo un protone, un elettrone ed un antineutrino che sia allontanano velocemente dalla zona di reazione.
Da dove viene l'energia per questo processo? Si è detto che il protone ed il neutrone hanno lo stesso peso, o massa. Ciò non è del tutto esatto: in realtà il peso di un neutrone è quello di un protone più qualche millesimo. Avremo quindi un eccesso di massa, perché il protone non si porta via tutta la massa originaria del neutrone. L'elettrone pesa 1/2000 di un neutrone, quindi si porta via un po' della massa in eccesso, ma non tutta. L'antineutrino ha massa nulla(o perlomeno vicinissima allo zero). Dove è finita la massa in eccesso? E da dove è venuta l'energia che il protone, l'elettrone e l'antineutrino si portano via? Nell'ambito della teoria della relatività, dovuta ad Albert Einstein, si è mostrata l'equivalenza dei concetti di massa ed energia. E' la ben nota formula E = Mc2, che oramai compare ovunque. Essa ci assicura che una certa quantità di energia può essere convertita in una massa, o viceversa, in opportune condizioni. Cioè, se abbiamo a disposizione, come in questo caso, una certa massa in eccesso, possiamo trasformare questa massa in energia. Questa energia è quella che permetterà al protone, all'elettrone ed all'antineutrino di allontanarsi velocemente. Il processo di decadimento, come spesso viene chiamato, di un neutrone non può essere dovuto alla stessa forza nucleare che tiene assieme i nuclei, o che permette la fissione di quelli più pesanti e la fusione di quelli più leggeri. Infatti il tempo di decadimento del neutrone è, come abbiamo detto di circa 15 minuti, un tempo spaventosamente più lungo di quelli tipici per le reazioni nucleari trattate in precedenza. Sarà quindi una forza di tipo nucleare a indurlo, ma estremamente meno intensa, per cui prende il nome di forza debole. Abbiamo quindi due forze nucleari, quella forte responsabile dell'esistenza dei nuclei, della fissione e della fusione, e quella debole responsabile del decadimento del neutrone e di altri fenomeni che discuteremo tra breve. Come mai i neutroni che sono dentro ai nuclei non decadono? Se lo facessero ci accorgeremmo che le proprietà chimiche dei materiali cambierebbero ogni quarto d'ora. Dovremmo accorgerci, ad esempio, che il 56Fe, costituito da 26 protoni e 30 neutroni, si trasforma in 56Co, costituito da 27 protoni e 29 neutroni. Questo avverrebbe ogni volta che ciascuno dei 30 neutroni originari del ferro dovesse trasformarsi in un protone, più un elettrone, più un antineutrino elettronico. Questo non avviene perché è impedito dalla mancanza di energia. Si dà il caso che la quantità totale di energia immagazzinata nel nucleo di 56Fe sia minore di quella totale immagazzinata nel nucleo di 56Co. Per realizzare un decadimento di neutrone in protone, come nel vuoto, avremmo bisogno di energia, che non abbiamo. Il processo, a priori possibile, risulta vietato per mancanza di energia. Si fa necessaria ora una ricapitolazione, per non confondersi: il decadimento di un neutrone del ferro in protone consentirebbe un piccolo guadagno di energia. Energia che, nel vuoto, viene dispersa sotto forma di velocità delle particelle uscenti dalla reazione. Il problema è che questo piccolo guadagno di energia, realizzato tramite le forze nucleari deboli, non è sufficiente a colmare il divario energetico tra il ferro ed il cobalto, creato dalle forze nucleari forti. La stabilità o meno di un certo nucleo atomico dipende quindi da un delicato bilancio tra le forze elettriche che tenderebbero a disintegrarlo, quelle nucleari forti, che cercano di tenerlo insieme, e quelle nucleari deboli, che cercano di cambiare neutroni in protoni, quando ciò sia possibile. Sarebbe possibile, usando le forza nucleari deboli, trasformare, invece di un neutrone in un protone, un protone in un neutrone, più eventualmente qualcosa d'altro? Si, se non fosse che, come si è detto, il protone pesa un po' meno di un neutrone. Quindi, anche se la cosa sarebbe possibile, un protone isolato rimane sempre tale, perché non abbiamo abbastanza massa o energia per trasformarlo in qualcosa d'altro. All'interno di un nucleo, però, questo processo proibito per mancanza di energia, è talvolta possibile, a spese dell'energia che tiene insieme il nucleo. Così risulta che il 56Fe non riesce a trasformarsi in 56Co spontaneamente, per quanto detto prima, ma che nel 56Co le forze nucleari deboli riescono in ciò che gli è impossibile fuori dal nucleo, cioè a trasformare un protone in neutrone. Il nucleo di 56Co è così anch'esso radioattivo, ma di una radioattività diversa da quella discussa in precedenza: non più generata dalle forze nucleari forti, ma da quelle deboli. Queste due radioattività hanno anche nomi diversi: la prima viene detta radioattività-a(alfa), la seconda radioattività-b(beta). Ritorniamo al funzionamento di una stella. La fusione(forte) di due nuclei di idrogeno risulta impossibile a causa delle tremende forze repulsive elettriche. Con l'aiuto delle forze nucleari deboli, uno dei protoni può pero, come detto, trasformarsi in un neutrone emettendo anche, contemporaneamente, un antielettrone ed un neutrino elettronico: è tutto all'opposto che per il decadimento di un neutrone. L'antielettrone, o positrone, è identico ad un elettrone, ma con carica positiva. Si forma così un nucleo composto da 1 protone ed 1 neutrone, l'isotopo 2H dell'idrogeno, chiamato anche deuterio. Indicando con una freccia il verso delle reazioni che avvengono si indicherà allora
p + p ® p + n + e+ + ve
e
p + n ® 2H
dove con e- ed e+ si è indicato l'elettrone e l'antielettrone(o positrone), mentre con ve si è indicato il neutrino. Nelle stelle, molto calde, si forma quindi deuterio. Già a questo stadio un po' di energia viene liberata, e portata via sotto forma di calore, di positroni e di neutrini. Un nucleo di deuterio può a sua volta fondere con uno dei protoni rimasti isolati, formando il nucleo 3He(elio 3) composto, appunto, da 2 protoni ed un neutrone, liberando così ancora un po' di energia sotto forma di onde elettromagnetiche e di calore. A loro volta due nuclei di 3He possono fondersi in un nucleo di 4He(2 protoni + 2 neutroni), lasciando liberi i restanti 2 protoni, che possono ricominciare il ciclo. Ogni volta che il ciclo viene compiuto, 4 protoni vengono convertiti nel nucleo di elio, attraverso la catena descritta, ed una grande quantità di energia viene liberata.
Una stella produce quindi energia trasformando idrogeno in elio. Una bomba a fusione si basa esattamente sugli stessi principi. Il problema, non piccolo, è quello di riuscire a portare l'idrogeno a temperature e pressioni elevatissime, simili a quelle all'interno di una stella. Il vantaggio, però, sarebbe enorme: l'idrogeno è facilmente reperibile e, per di più, la quantità di energia liberata in questo tipo di processi è maggiore di quella liberata per fissione. Ciò significa che a parità di peso una bomba a fusione sarebbe enormemente più potente e meno costosa. Il problema di raggiungere le temperature e pressioni necessarie era, però, già stato praticamente risolto. Se mettessimo una bomba a fissione attorno ad una certa quantità di idrogeno molto condensato, questa, esplodendo, provocherebbe le temperature e le pressioni necessarie. Una bomba a fissione può essere quindi l'innesco adatto ad una a fusione, così come una bomba normale(a innesco chimico) era l'innesco di una bomba a fissione. Può sembrare utile, a questo punto, costruire una bomba termonucleare perché comunque si deve costruire una bomba a fissione. Il punto è che per raddoppiare la potenza esplosiva di una bomba a fissione bisognerebbe raddoppiare le quantità di uranio o plutonio impiegata, con problemi finanziari e tecnici. Ma usando sempre la stessa quantità di 235U o di plutonio, quella minima necessaria per innescare la fissione, possiamo aumentare a dismisura la potenza semplicemente aggiungendo idrogeno. Queste bombe vengono chiamate "bombe H"(H sta per idrogeno) o "bombe termonucleari", per ricordare che esse necessitano di una grande quantità di calore per iniziare l'esplosione. Le bombe a fissione venivano talvolta indicate come "bombe A"(dove A sta per atomiche). Attualmente gli arsenali militari di tutte le potenze nucleari sono forniti solo di bombe termonucleari.
L'energia di legame media per nucleone(ogni particella contenuta nel nucleo), che equivale all'energia necessaria per rimuovere un nucleone dal nucleo, è una funzione del numero di massa. Dalla curva dell'energia di legame media per nucleone si desume che se due nuclei leggeri si fondono a formare un nucleo più pesante, o se un nucleo molto pesante si spezza in due nuclei più leggeri, si ottengono in entrambi i casi specie atomiche più stabili.
Ad esempio, dalla reazione di fusione di due nuclei di deuterio,
si ottiene un nucleo di elio 3, un neutrone libero, e una quantità di energia nucleare pari a 3,2 MeV(Mega-ellettronvolt), cioè 5,1 × 10-13 J. Dalla fissione del nucleo 235U, indotta dall'assorbimento di un neutrone,
si ottiene invece cesio 140, rubidio 93, tre neutroni e un'energia nucleare di 200 MeV, cioè 3,2 × 10-11 J.
La reazione dell'uranio consente di sottolineare due caratteristiche di tutti i processi di fissione nucleare. In primo luogo la quantità di energia prodotta da ogni singola fissione è molto grande; in termini pratici, la reazione di 1 kg di uranio 235 sviluppa 18,7 milioni di chilowattora, sotto forma di calore. Inoltre, il processo di fissione innescato dall'assorbimento di un neutrone dal primo nucleo di uranio 235 continua in modo autonomo: i neutroni emessi in ogni fissione possono indurre la fissione in quasi altrettanti nuclei di uranio 235, ciascuno dei quali si spezza in due frammenti, con produzione di neutroni e sviluppo di energia; così ha luogo un processo a catena che si autoalimenta, garantendo una produzione continua di energia nucleare.
Dell'uranio presente in natura, solo lo 0,7 per cento è uranio 235; il resto è costituito dall'isotopo non fissile uranio 238 e da quantità minime di uranio 234. Poiché la percentuale di materia fissile, cioè con elevata probabilità di dare luogo a un processo di fissione in seguito a bombardamento con neutroni, è molto bassa, una massa di uranio naturale non è in grado di sostenere una reazione a catena. Per aumentare la probabilità che un neutrone emesso in una reazione di fissione induca lo stesso processo in altri nuclei, esso viene rallentato mediante una serie di collisioni elastiche con nuclei leggeri, di idrogeno, deuterio o carbonio.
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