Arte Aldo Drudi, 62 anni: un casco richiede una settimana di lavoro
Da quarant’anni Aldo Drudi colora la velocità. È lui che mette in testa a Valentino Rossi — e a tanti altri piloti — le loro idee meravigliose. In definitiva dipinge la loro immagine.
Perché nel motorsport la faccia non si vede, ma i piloti hanno un modo straordinario di disegnarsela a proprio piacimento: attraverso i caschi che lui realizza. «Di certi motociclisti degli Anni 60 e 70 — racconta lui stesso — il volto non lo ricordo, non è che circolassero tante foto.
Ma il casco sì, ce l’ho in mente. Perché già allora il casco era un modo di definirsi, attraverso una scelta cromatica, con la bandiera nazionale come per Giacomo Agostini, o anche già attraverso un simbolo, un particolare. È stato così da sempre, penso a Umberto Masetti, il primo italiano campione in 500, che aveva Topolino. E poi agli occhioni che Renzo Pasolini aveva ripreso da John Cooper. O a Barry Sheene con Paperino».
Si capisce quindi che se è di caschi che si parla, il solo interlocutore possibile è lui. Perché nessuno ha approfondito la tecnica di decorazione, e prima ancora la filosofia stessa del casco come ha fatto Drudi. Che ha cominciato quando Vale era appena nato, con un casco per suo padre: «Con un arcobaleno e un castello fatato. Una novità assoluta. Graziano aveva un estro e una capacità comunicativa unici. Chissà cosa avrebbe inventato se avesse avuto i mezzi che abbiamo a disposizione oggi. Valentino in questo è bravissimo, ma lui lo era persino di più». Da lì, da quel castello fatato, «è cominciato il manicomio. La sofisticazione ha accelerato, e da allora vale tutto.
E poi è arrivata l’usanza di fare caschi per le occasioni specifiche». Di esprimere gratitudine, tributi, stati d’animo: in definitiva emozioni. «Le più grandi sono il tricolore di Valentino che richiamava quello di papà Graziano, al Mugello nel 2002. E le due strisce rosse di Marco Simoncelli». Drudi parla prevalentemente di moto, dove i suoi clienti non si contano più. «In Formula 1 ho avuto Eddie Irvine che già era uno un po’ atipico, non è che si facesse molto condizionare dalle regole. Adesso ho Antonio Giovinazzi.
In generale mi pare nell’ambiente siano ancora un po’ più tradizionalisti. Anche se ci sono esempi del passato straordinari. Come il simbolo del suo circolo canottieri sul casco di Graham Hill, i richiami al kilt o alla bandiera francese di Jackie Stewart e François Cevert. Con Vale ultimamente ci ispiriamo a quello stile, a quella pulizia».
L’idea del casco-tributo in F.1 ha preso piede da poco. «Ma quello di quest’anno di Lewis Hamilton contro il razzismo era eccezionale, per via dell’inserto viola tra nero e grigio. Lo abbiamo ripreso nel casco di Franco Morbidelli che a Misano era ispirato a Fa’ la cosa giusta di Spike Lee. Una scelta coraggiosa, anche solo perché di solito il viola lo si evita. Un vero colpo di classe». Talmente elegante che Spike Lee ha telefonato a Morbidelli per ringraziare...
notizia da: La Gazzetta dello Sport 26 dicembre 2020
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