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Piloti, uomini, personaggi. Perch? una volta i miti non erano costruiti

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    #1

    Piloti, uomini, personaggi. Perch? una volta i miti non erano costruiti

    Sono sicuramente fortunato perch? quando ho iniziato il motomondiale, nel 1977, c?era ancora Giacomo Agostini in pista, e gi? brillava la stella di Barry Sheene.
    Barry aveva 27 anni quando vinse il suo secondo titolo mondiale ed incarnava perfettamente l?epoca, che era quella della beat generation.
    Avrebbe potuto essere una rockstar ? con i suoi lunghi capelli, la Rolls Royce targata BS7 e la bella Stephanie McLean al suo fianco ? ma era solo un motociclista. Eppure da un enorme cartellone a Piccadilly Circus ammiccava in una pubblicit? del dopobarba Faberg?.
    Barry e James Hunt erano su tutti i tabloid al tempo. Il campione di moto e quello di F.1. Sullo stesso piano.
    Nei vecchi box di Silverstone, ricordo vecchi pareti di mattoni grigio-rossi, potevi incontrare Johnny Cecotto, un ragazzo venezuelano un po? guascone con al fianco un uomo, Andreas Ippolito, pap? dell?attuale presidente della FIM, Vito, proprietario della potente Venemotos e buon pianista. Un proprietario di team, ma soprattutto un appassionato.

    Erano i tempi di Takazumi Katayama, che alla sera animava il paddock con la sua chitarra.
    Quello che una volta veniva chiamato Continental Circus era un posto di ragazzi che erano gi? uomini fatti: correvano, si divertivano, a volte morivano e quasi tutti, la maggior parte, al di l? del talento individuale, avevano una spiccata personalit?.
    Oggi si direbbe: erano dei personaggi, ma allora questo termine non si usava.
    Non ? che non ci fossero dei piloti economicamente privilegiati. Solo che si chiamavano Mike Hailwood. Tanto per dire nel 1978, dopo il ritiro, ci regal? il miracolo di un ritorno alle competizioni da leggenda, al Tourist Trophy. ?The Bike? mi fu presentato dal grande Franco Farn?, capo riconosciuto del reparto corse Ducati. Facemmo tardi nell?Hotel & casin? di Douglas e alle due di notte, quando lo lasciai, Mike aveva ancora un bicchiere di whisky in mano. Ma era lui, all?indomani, che aveva le prove all?alba.
    Sono stato parecchio fortunato a incontrare e conoscere, dentro e fuori dalle piste piloti cos?. Phil Read veniva a mangiare a San Lazzaro alla trattoria la Borgatella, allora un buchetto fuori mano e sono disposto a scommettere che la sua foto ? ancora sulle pareti. Assieme a quelle di Roberts, Spencer e Lawson.
    Freddie arriv? che il proprietario, Stefano, si era appena fatto male in motocicletta e lo accolse in sedia a rotelle. Due motociclisti che parlavano di una passione comune.
    Un inverno venne Eddie e divenne pazzo quando assaggi? il tartufo che in California non aveva mai provato.

    Era arrivato in 500, nel 1983, Lawson, e a 25 anni non era ancora ?Awesome Lawson? ma solo il ragazzino che non riusc? a fare da spalla a King Kenny che quella stagione ad Imola perse il titolo contro Fast Freddie.
    Se ne stava silenzioso, in fondo al motorhome ? era l? che ci si incontrava dopo le prove, non c?erano le Hospitality ? perch? era troppo timido ed introverso per parlare. Eppure che crescita: non ebbe bisogno di alcuna visita dallo psicologo per portare sulle spalle il ruolo di uomo di poche parole e molti fatti.
    Stava per iniziare, anzi era gi? partita la grande stagione degli americani. Sarebbe stata una invasione: Wayne Rainey e Kevin Schwantz guidarono l?ultima ondata, ma prima, per fortuna, noi italiani avevamo avuto Marco Lucchinelli e Franco Uncini, iridati nel 1981 e 1982. L?illusione di una rinascita durata due sole stagioni.
    Marco era collerico, istrionico, una rockstar mancata o, se preferite, un ragazzo strappato alle brutte compagnie dallo sport. Fra una comparsata a Sanremo, una corsa in macchina, qualche disco era facile rendersi conto che non era perfettino come Ago, con cui ebbe schermaglie in pista e fuori, ma aveva un carattere esuberante. E Uncini, decisamente pi? silenzioso, dietro una apparente compostezza era estremamente determinato. Del resto, con quel fisico da lanciatore di coriandoli, aveva iniziato nelle derivate di serie correndo con una Laverda 750 SFC, non propriamente una libellula.
    Ma dove eravamo rimasti? Ah, s? al carattere, alla personalit?.

    Erano quelli, assieme al talento, a contare. Non si guardava al passaporto , come oggi, o all?immagine.
    Non c?era nessuno, ai tempi, che faceva il conto delle nazionalit? da offrire alle TV e si disperava se mancava un francese o un australiano.
    Ci? ci fa tornare al perch? abbiamo cominciato a tirare gi? queste righe: la spinta ? stata tutto il rumore fatto attorno al salto, da Moto3 a MotoGP di Jack Miller, ma poi la goccia che ha fatto traboccare il vaso ? stata la ?legge Quartararo? che permetter? a Fabio di debuttare nella minima categoria la prossima stagione a 15 anni.
    Ci scusino i diretti interessati che hanno talento da vendere e sicuramente saranno i protagonisti di domani, ma l?attuale sistema di tirare su i piloti come polli di allevamento esiste solo perch? non esiste pi? la meritocrazia. Il risultato ? che bisogna intervenire caso per caso. Con tutti i rischi che il sistema comporta.
    Ve lo ricordate il pur bravo Aoyama? Pur di piazzarlo da Gresini i giapponesi regalarono all?ex pilota, oggi manager, un milione e mezzo di ricambi. Una offerta irrifiutabile. Ma ? a causa di questo tipo di mercato se alcuni giovani piloti di belle speranze sono rimasti, appunto, solo con la speranza.
    E? inutile, un galletto ruspante sar? sempre preferibile ad un pollo.
    Ed ? dei primi che il motociclismo ha bisogno.

    Mi sono stancato di piloti che non dicono mai niente e tutto ci? che sanno fare, magari dopo una buona gara, ? ringraziare gli sponsor. Sono stufo di vedere ragazzini che si preoccupano di avere il ?proprio? numero di gara, neanche fossero tutti Schwantz in sedicesimo.
    Il 34 ? stato giustamente ritirato, Valentino Rossi ha fatto diventare il suo 46 un marchio di fabbrica, Max Biaggi ha elevato il 3 a proprio simbolo, ma la maggior parte dei fuoriclasse del passato era orgoglioso solo di una cifra: il numero uno. E quando potevano fregiarsene non lo rifiutavano.
    Back to basic, dicono gli americani e poich? amano gli acronimi ne hanno creato uno per l?occasione: KIS. Non ? la parola bacio a cui manca una esse. Si traduce invece in tre parole: Keep it simple. Crediamoci. Funzioner?.
    Oggi ci sono troppe regole astruse, nate per venire incontro a mille interessi cercando di farli convivere tutti. Il risultato sono multe per le scenette inventate da Valentino Rossi, sulle quali poi si fanno filmati virali. Una assurdit?.

    Vogliamo parlare di tecnica? Abbiamo le 1000 pi? sofisticate del mondo, ma pesano ormai quanto una supersportiva stradale pur senza avere luci, impianto elettrico, e mille altri accessori. Come pensate si raggiunta il peso imposto? Ve lo diciamo noi, caricandole di sensori, la cui gestione ha fatto impennare i costi pi? che se venissero usati materiali sofisticati.
    E fosse solo questo il problema. Brno ha dimostrato, con la duplice caduta di Rossi e Bautista, che con il peso attuale ad una MotoGP attuale non bastano pi? i pur ampi spazi di fuga. E? fisica elementare.
    Diciamocelo una buona volta: gli attuali problemi di cui soffre il motociclismo sono dovuti in gran parte a continue decisioni prese unicamente su basi commerciali. E all?intervento regolamentare che non tiene conto n? della logica, per quanto riguarda le norme tecniche n? dei meriti dei piloti, ma ha come unico o comunque principale elemento ispiratore il profitto.
    E? la politica fuorviante che sta facendo ampi danni in tutti i settori del nostro sport.
    Ma noi avevamo iniziato parlando di piloti e l? dovremmo tornare. Ricominciare a premiare i pi? veloci ed incoraggiarli a crescere, anche come persone. Solo allora torneremo ad avere ragazzi che sono uomini, in pista, e non bambini cresciuti.
    Sar? pure stato un caso, ma non abbiamo mai visto Franko, il pap? di Sheene intromettersi negli affari del figlio, e tutti gradivamo il t? delle cinque che mamma Iris ci preparava quando ci riunivamo per una chiacchierata dopo le prove.
    C?? poco da fare, la MotoGP potr? pure riempire lo schieramento di partenza di piloti veloci e di tutte le nazionalit? ma, ahim?, non riuscir? a creare veri personaggi. Come diceva Don Abbondio il coraggio uno non se lo pu? dare, e la stessa cosa vale per la personalit?.

    Marco Simoncelli ce l?aveva. E per questo ? rimasto nel cuore degli appassionati nonostante la breve carriera.
    Anche Casey Stoner quando parlava non diceva ovviet?, ma gli ? mancato il carattere di Lawson.
    Ricordiamo uno scazzo fra lui e Schwantz, durante le prove del GP di Brno. Eddie entr? con la sua moto nel box del texano, e scese al volo che se un meccanico non l?avesse afferrata sarebbe finita in terra e, ancora con il casco in testa, gliene disse quattro.
    Alla sera erano l? che ridevano assieme.
    Li vogliamo sportivi, ma li vogliamo cattivi.
    Uomini.


    Fonte gpone.com/paoloscalera

    Bell'articolo.

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    #2
    Bellissimo.
    Non solo il motociclismo ? cambiato ma la societ? tutta. ? un discorso che si pu? applicare in tutti gli ambiti, io per motivi anagrafici preferivo il motociclismo, la formula 1 e il calcio ad esempio dei tempi andati quando sport, partiti politici,modi di vestire ad esempio non erano solo frutto di studi a tavolino con esperti di marketing.Quando non vigeva il pensiero unico in parole povere.
    Secondo me questo tipo di societ? riuscirebbe ad imprigionare anche uno con una spiccata personalit? qualora apparisse in qualsiasi campo dello showbusiness impedendogli di cambiare l'andazzo generale.

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