Tanta amarezza dopo la morte di Shoya Tomizawa durante la gara di Moto 2 che non è stata sospesa così come quella di MotoGp. Giusto o sbagliato? Difficile dirlo, ma forse sarebbe stato il caso di "gestire" meglio il post-gara
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La festa va avanti, sempre, comunque. Anche quando ci si trova di fronte a una tragedia. Anche quando ci si ritrova a dover commentare la morte di un ragazzo di soli 20 anni. "The show must go on". Lo spettacolo va avanti. Misano applaude Elias che vince in Moto2, mentre i dottori della Clinica Mobile cercano disperatamente di salvare la vita a Shoya Tomizawa, pilota giapponese sfortunato protagonista di un terribile incidente. Tutto, purtroppo, inutilmente. Il giovane nipponico si spegne poco dopo nell’ospedale di Riccione, mentre i campioni della MotoGp sono già in pista pronti a battagliare sul cemento di Misano.
Rabbia, incredulità, dolore. Ma anche tanto stupore. Già, perché sinceramente ci si chiede come sia possibile che di fronte a una simile tragedia non si sia deciso di interrompere la gara delle Moto 2 ma soprattutto di continuare nella totale indifferenza anche con la classe Regina. Sì, indifferenza. Stiamo pur sempre parlando di sport, di una manifestazione in grado di richiamare centinaia, migliaia, di tifosi. Insomma un momento di festa, di gioia e allegria. E in simili circostanze, di fronte a disgrazie di questo genere, sarebbe auspicabile fermare tutto, o quantomeno modificare la programmazione inziale.
Come ha spiegato a fine gara il dottor Macchiagodena, esporre le bandiere rosse avrebbe solo aumentato il traffico e la confusione in pista rallentando i soccorsi. Una tesi più che condivisibile, certo, ma i dubbi restano. Con un po’ più di calma, forse, i soccorrittori che hanno trasportato in barella il povero Shoya non sarebbero inciampati per la fretta di abbandonare una pista dove sfrecciavano bolidi capaci di superare i 200 km/h, regalando purtroppo anche una scena tragicomica che comunque – come è stato spiegato successivamente – non ha pesato sulle già gravissime condizioni del pilota. Ci mancava solo quello. Giusto o no, non tocca a noi deciderlo, anche perché non è questo il punto su cui soffermarsi alimentando inutili polemiche. Quello che non è piaciuto, sinceramente, è stato il dopo.
Impossibile o prematuro annullare la gara di MotoGp? Forse. Annullare i festeggiamenti sul podio, allestito con tanto di pubblico danzante e festante? Decisamente sì. O almeno evitare una simile sceneggiata. Non si è nemmeno capaci di regalare un minuto di silenzio provando a rispettare il dolore di amici, familiari o semplici tifosi in lutto per la morte di un pilota, ma ancor prima di un ragazzo di 20 anni? Rispetto, tutto qui. Una parola che troppo spesso viene dimenticata, o comunque scavalcata dagli interessi e dal fastidioso suono di quel “The show must go on...”. Be’, ancora una volta lo sport ha perso una buona occasione per soffocare e ammutolire quello sgradevole e insopportabile suono. Sempre se vogliamo continuare a chiamarlo sport.... forse sarebbe il caso di considerarlo solo come freddo e insensibile business. Tutto qui.
Alessandro BRUNETTI / Eurosport
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La festa va avanti, sempre, comunque. Anche quando ci si trova di fronte a una tragedia. Anche quando ci si ritrova a dover commentare la morte di un ragazzo di soli 20 anni. "The show must go on". Lo spettacolo va avanti. Misano applaude Elias che vince in Moto2, mentre i dottori della Clinica Mobile cercano disperatamente di salvare la vita a Shoya Tomizawa, pilota giapponese sfortunato protagonista di un terribile incidente. Tutto, purtroppo, inutilmente. Il giovane nipponico si spegne poco dopo nell’ospedale di Riccione, mentre i campioni della MotoGp sono già in pista pronti a battagliare sul cemento di Misano.
Rabbia, incredulità, dolore. Ma anche tanto stupore. Già, perché sinceramente ci si chiede come sia possibile che di fronte a una simile tragedia non si sia deciso di interrompere la gara delle Moto 2 ma soprattutto di continuare nella totale indifferenza anche con la classe Regina. Sì, indifferenza. Stiamo pur sempre parlando di sport, di una manifestazione in grado di richiamare centinaia, migliaia, di tifosi. Insomma un momento di festa, di gioia e allegria. E in simili circostanze, di fronte a disgrazie di questo genere, sarebbe auspicabile fermare tutto, o quantomeno modificare la programmazione inziale.
Come ha spiegato a fine gara il dottor Macchiagodena, esporre le bandiere rosse avrebbe solo aumentato il traffico e la confusione in pista rallentando i soccorsi. Una tesi più che condivisibile, certo, ma i dubbi restano. Con un po’ più di calma, forse, i soccorrittori che hanno trasportato in barella il povero Shoya non sarebbero inciampati per la fretta di abbandonare una pista dove sfrecciavano bolidi capaci di superare i 200 km/h, regalando purtroppo anche una scena tragicomica che comunque – come è stato spiegato successivamente – non ha pesato sulle già gravissime condizioni del pilota. Ci mancava solo quello. Giusto o no, non tocca a noi deciderlo, anche perché non è questo il punto su cui soffermarsi alimentando inutili polemiche. Quello che non è piaciuto, sinceramente, è stato il dopo.
Impossibile o prematuro annullare la gara di MotoGp? Forse. Annullare i festeggiamenti sul podio, allestito con tanto di pubblico danzante e festante? Decisamente sì. O almeno evitare una simile sceneggiata. Non si è nemmeno capaci di regalare un minuto di silenzio provando a rispettare il dolore di amici, familiari o semplici tifosi in lutto per la morte di un pilota, ma ancor prima di un ragazzo di 20 anni? Rispetto, tutto qui. Una parola che troppo spesso viene dimenticata, o comunque scavalcata dagli interessi e dal fastidioso suono di quel “The show must go on...”. Be’, ancora una volta lo sport ha perso una buona occasione per soffocare e ammutolire quello sgradevole e insopportabile suono. Sempre se vogliamo continuare a chiamarlo sport.... forse sarebbe il caso di considerarlo solo come freddo e insensibile business. Tutto qui.
Alessandro BRUNETTI / Eurosport
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