Il primo che scrive le parole "Rossi" o "Stoner" o "rosico" (in tutte le sue cogniugazioni) lo sculaccio!
Da quì http://www.gpone.com/news/News.asp?NNews=2496:
Dunque dove eravamo rimasti? Ah, sì, discutevamo della necessità di continuare a far progredire la MotoGP, migliorando però nel contempo la sicurezza. Cosa che oggigiorno equivale a dire diminuire la velocità di percorrenza delle curve.
Già, perché se si guarda il progresso della classe regina negli ultimi anni, soprattutto nei confronti delle classi minori, 125 e 250, dove la MotoGP è migliorata tanto è nella percorrenza delle curve. In realtà c’è un motivo se la massima clindrata è migliorata così tanto in così poco tempo, ma ne parleremo più avanti.
Per il momento concentriamoci per cercare di individuare dove intervenire per rallentarla.
Ci sembra che, per il momento, sia esclusa un’ulteriore diminuzione della cilindrata, che peraltro non risolverebbe il problema, dunque, cosa fare?
CONSUMO, QUESTO SCONOSCIUTO – La prima cosa sulla quale gli ingegneri del lunedì vogliono metter mano è la potenza dunque se vogliamo lasciare i motori così come sono, come capacità e frazionamento, per diminuire i cavalli basta…affamarli, cioè dar loro meno benzina da bere. E’ ciò che è stato già fatto con la progressiva diminuzione della capacità del serbatoio sino agli attuali 21 litri.
Sembrerebbe l’uovo di colombo se con sé la diminuzione del consumo non portasse un peggioramento delle prestazioni dei motori dal punto di vista dell’erogazione. Un propulsore che lavora “magro”, cioè al minimo del consumo, è anche piuttosto arrabbiato. Esattamente come un lavoratore a cui si fa fare fatica senza fargli consumare le meritate calorie.
Oggi con l’elettronica si riesce ad ammorbidire la curva di erogazione di un motore “cattivo”, ma nessuno fa miracoli. Senza contare che un motore “magro” scalda di più, perché in una certa percentuale il carburante se ne va anche come liquido di raffreddamento, e di conseguenza è maggiormente soggetto a rotture. Dunque i contro sono largamente superiori ai pro. Risultato: lasciamo stare ulteriori limitazioni sul consumo, per ora.
IL PUNTO SULL’AERODINAMICA – Stessimo parlando non di una moto ma di una monoposto il prossimo punto all’ordine del giorno sarebbe assai facile da individuare: l’aerodinamica. La F.1 le ha tentate tutte negli ultimi anni per diminuire le velocità, ma chissà perché non ha mai messo seriamente mano alla principale delle imputate, l’aerodinamica e le sue forme che creano la famosa o famigerata “deportanza” che incolla le monoposto al suolo. Da sistemi, chiamiamoli così “attivi” come le minigonne, oggi si è passato a carrozzerie da mostra d’arte moderna, in realtà le varie appendici, come le “winglet” sui supersonici, hanno sempre il medesimo scopo: pulire quanto più possibile il flusso d’aria destinato agli alettoni, in modo da aumentarne l’efficienza.
Nelle moto, però, tutto ciò non esiste, o meglio: è un fenomeno minore. L’unica (leggera) deportanza richiesta da una MotoGP viene studiata per favorire un leggero schiacciamento dell’avantreno in velocità sul rettilineo, in modo da evitare una pericolosa instabilità. C’è sempre poi la lotta fra superfici coperte (che migliorano la velocità di punta) e scoperte (che rompendo i flussi d’aria che “incatenano” la moto in un tunnel d’aria, la rendono più maneggevole). Ma è evidente che la risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio –come diminuire la velocità di percorrenza delle curve - non la troveremo qui, nell’aerodinamica.
CICLISTICA, VERSO IL CARBONIO – Proseguendo nell’analisi, fra gli imputati, balza agli occhi l’enorme progresso fatto negli anni dalla ciclistica dell’attuale classe regina. Per rendersene conto basta andare al museo della Honda, a Motegi, e dare un’occhiata alle moto del passato. L’incredibile NR500, pistoni ovali, 32 valvole – secondo noi il più grande balzo in avanti mai compiuto da una casa – sembra un pezzo di ferro! E questo sia nella sua prima versione, quella con telaio scatolato, che nell’ultima, con telaio in tubi.
Ma non serve risalire agli anni ’80. Già le 500 degli anni ’90, rispetto ad oggi, fanno paura. Basta guardare i forcelloni per rendersene conto. Ma già, allora le scorbutiche 500 dovevano essere solo “nimbling”, per dirla con gli americani: cioè veloci, leggere ed agili.
In pratica si doveva poterle inserire in curva rapidamente, per puntare poi il gas e sperare di non essere sparati oltre la curva quando il motore entrava in coppia all’improvviso.
Adesso il discorso è ben diverso e anche se non è una ricerca recente, la Ohlins sta portando in prova (lo ha fatto con Yamaha e Ducati in MotoGP e con la Suzuki in Superbike) le sue prime forcelle a controllo elettronico. Non c’è stata alcuna presentazione ufficiale, quindi i principi di funzionamento sono ignoti, ma è lampante che si potranno ulteriormente migliorare le prestazioni qualora le sospensioni possano autoregolarsi in funzione delle esigenze: dunque dure dove serve, un po’ più morbide in accelerazione per migliorare la trazione, delle tavolette sul liscio, il contrario sulle buche.
Anche qui, per il momento, però, siamo fuori bersaglio. Ci piacerebbe vedere questi ammortizzatori “intelligenti” all’opera perché magari nel prossimo futuro una loro versione economica migliorerà il comfort – e la sicurezza – della nostra supersportiva di ultima generazione, ma per oggi crediamo che ci sia ben poco da toccare, senza rischiare di peggiorare.
Anzi prepariamoci alla grande trasformazione: l’arrivo dei telai in carbonio. In F.1 giunsero nel 1981, in McLaren, grazie al genio di John Barnard. Nel motociclismo ci provò la Suzuki-Heron e poi la Cagiva. Il prossimo anno vedremo questo materiale sulla Ducati GP9. In fondo siamo in ritardo di “appena” ventotto anni rispetto alla F.1…
A proposito: le “grosse” MotoGP sono più…piccole di una Honda SH300!
LE COLPE, PRESUNTE, DELL’ELETTRONICA – E siamo giunti al punto: l’elettronica. Ormai questo è il fulcro di tutte le discussioni da bar. Imputato il Traction Control, il dispositivo elettronico che permetterebbe a tutti di spalancare il gas dappertutto, in ogni condizione, soprattutto in curva, asfalto asciutto o bagnato. Peccato che…poi sul bagnato vadano veramente forte i soliti specialisti (pensate a Vermeulen), mentre sull’asciutto vincono i soliti (Rossi, Stoner, Pedrosa). Dunque dove sta il valore aggiunto?
Probabilmente, anzi a sentire la maggior parte dei piloti, solo nella costanza di rendimento: i piccoli errori che anche i migliori piloti fanno nel corso di ogni giro vengono compensati dal TC che dunque aiuta a stabilizzare i tempi sul giro.
E’, questo, il Grande Demone di cui parla sempre Randy Mamola, che si lamenta che, oggi, chi ha due decimi di vantaggio sull’avversario scappa e va in fuga senza che questi possa fare alcunché per raggiungerlo. Vero. Perlomeno fino al Gran Premio di Laguna Seca dove Valentino Rossi ha dimostrato che oggi – attualmente – è ancora il pilota ad avere il controllo sull’elettronica di controllo riuscendo a battere Stoner nel GP degli USA, dove pure l’australiano era più veloce di lui di un paio di decimi. Come ci è riuscito? Semplice: ha fatto di tutto per stargli davanti nella parte finale del tracciato quello dove Casey era in vantaggio, di fatto rallentandolo. Come ci è riuscito? Rischiando in staccata modificando le traiettorie, soprattutto allungando ed allargando la fase di ingresso alla “Curva 1” ed impedendo così il sorpasso di Stoner.
Allora: è l’elettronica la responsabile della maggiore velocità in curva della MotoGP? La risposta è: sicuramente aiuta nel controllo totale della moto, ma no, non è la principale responsabile. Togliendola cosa accadrebbe? Anche qui la risposta è semplice: si accentuerebbe il gap fra i migliori ed i peggiori, e fin qui non sarebbe un gran male, anche se poi i più lenti, confidando nel TC lo utilizzano in modo più invasivo ed alla fine più piano vanno lo stesso.
Il punto veramente negativo è che con tutta quella potenza e ADERENZA in ballo si avrebbero molte più cadute. Ricordate la classe 500?
Ad un certo punto fu elevato il peso minimo da 115 a 130 Kg per rendere le moto meno “nimbling”…già perché anche allora si cercava di evitare i problemi correlati alla guida di una moto, come per esempio l’impennamento in uscita di curva.
“In Suzuki sperimentammo un sistema – ricorda Kevin Schwantz – che si basava sullo spostamento del mercurio. Quando la ruota anteriore si sollevava o perlomeno provava a farlo, il mercurio contenuto in un cilindretto, si spostava, chiudeva un circuito e l’erogazione di potenza diminuiva. Peccato che proprio in quella fase, cioè in accelerazione, servisse maggiore potenza. Dunque, sì, il dispositivo diminuiva la tendenza a sollevarsi dell’anteriore, ma toglieva cavalli proprio nel momento di maggior bisogno. Lo provai, ma poi decisi di non utilizzarlo”.
Per fortuna i dispositivi attuali sono meno invasivi, ma ciò a cui si deve pensare è che essi, in realtà, non permettono di aumentare la velocità di percorrenza della curva. Al massimo consentono di effettuarla con maggiore sicurezza.
Ma allora dove dobbiamo andare a parare?
Un attimo di pazienza.
…E QUELLE VERE DELLE GOMME – Fino all’arrivo della Bridgestone, nel 2002, in pratica nella classe regina la Michelin operava quasi in regime di monopolio. Le vittorie dei concorrenti, infatti, si contavano sulle dita di una mano. Come quella di Simon Crafar nel 1998 a Donington. Lì il pilota neozelandese con la sua Yamaha gommata Dunlop si prese la soddisfazione di dare la bellezza di oltre 11 secondi a sua maestà Mick Doohan. Capita l’antifona? Undici secondi di gomme. Contro l’allora miglior pilota al mondo.
Dal 15 novembre del 2004, data in cui la casa giapponese firmò con la Ducati, invece, è iniziata una vera e propria guerra di pneumatici. Una battaglia che all’inizio ha visto la casa di Clermont Ferrand in netto vantaggio grazie ad una propria tecnologia che gli consentiva di costruire gli pneumatici adatti all’asfalto ed alla temperatura nottetempo. Un vantaggio incommensurabile, che solo oggi si inizia a comprendere e che dovrebbe far riflettere su certe prestazioni (o non-prestazioni) del recente passato.
Per consentire una lotta più leale la Michelin ha dovuto rinunciare al suo brevetto, quindi si è passati ad una fase di pneumatici “contingentati”: 14 anteriori e 17 posteriori nel 2007, 18 anteriori e 22 posteriori, per un totale di 40 coperture, per ciascun pilota.
Il nuovo regolamento ha creato, in realtà, più problemi ai piloti, ed ai team, che altro. Dal punto di vista delle prestazioni, infatti, non c’è stato alcun calo se non quando uno dei due costruttori ha sbagliato clamorosamente mescole in base alla temperatura.
L’anno passato è successo a fasi alterne. Quest’anno ricordiamo che la Michelin, a Laguna Seca, ha costretto Nicky Hayden ad entrare in pista al sabato mattina, con una temperatura insolitamente fredda, con delle slick “intagliate” per meglio mandarle in temperatura.
Il problema, dunque, dell’incredibile incremento della velocità in curva delle MotoGP è certamente una somma di fattori, ma dei quali il più importante è l’incredibile miglioramento dell’aderenza offerta dagli pneumatici. Del resto per rendersene conto basta guardare le pieghe ottenibili. E non è necessario paragonare Rossi e Stoner ad Agostini e Read, ma basta tornare indietro ed osservare l’inclinazione raggiunta da piloti del calibro di Rainey, o Lawson, per renderci conto della realtà.
Peraltro oggi l’unica limitazione, oltre a quella del numero di coperture disponibili, è quella della dimensione dei cerchi: 4 pollici per l’anteriore, 6,25 per la posteriore. Quando sono sulle rastrelliere sembrano cerchi di automobile, tanto sono larghi!
A titolo di esperimento si potrebbe pensare inizialmente di intervenire qui. Già perché sarebbe inutile montare gommoni enormi su cerchi più stretti. Il profilo diverrebbe troppo appuntito, e male si sposerebbe con l’esigenza di avere più gomma a terra, che è l’obiettivo perseguito dai gommisti.
In fondo si tratta dell’uovo di Colombo: se si vuole diminuire la velocità di percorrenza in curva della classe MotoGP si deve lavorare sulle gomme. Diminuendo la larghezza dei cerchi automaticamente Michelin e Bridgestone dovranno diminuire le dimensione degli pneumatici, per non peggiorarne il profilo.
Con meno gomma a terra diminuirebbe anche l’esigenza di cercare altri cavalli nei motori…perché sarebbero inutili senza disporre del grip adeguato. Una spirale positiva, insomma.
Questo se veramente si vuole affrontare il problema della sicurezza. Se poi si vuole solo fare della demagogia, gli ingegneri del lunedì (ma anche quelli del martedì diano pure fiato alle trombe.
Da quì http://www.gpone.com/news/News.asp?NNews=2496:
Dunque dove eravamo rimasti? Ah, sì, discutevamo della necessità di continuare a far progredire la MotoGP, migliorando però nel contempo la sicurezza. Cosa che oggigiorno equivale a dire diminuire la velocità di percorrenza delle curve.
Già, perché se si guarda il progresso della classe regina negli ultimi anni, soprattutto nei confronti delle classi minori, 125 e 250, dove la MotoGP è migliorata tanto è nella percorrenza delle curve. In realtà c’è un motivo se la massima clindrata è migliorata così tanto in così poco tempo, ma ne parleremo più avanti.
Per il momento concentriamoci per cercare di individuare dove intervenire per rallentarla.
Ci sembra che, per il momento, sia esclusa un’ulteriore diminuzione della cilindrata, che peraltro non risolverebbe il problema, dunque, cosa fare?
CONSUMO, QUESTO SCONOSCIUTO – La prima cosa sulla quale gli ingegneri del lunedì vogliono metter mano è la potenza dunque se vogliamo lasciare i motori così come sono, come capacità e frazionamento, per diminuire i cavalli basta…affamarli, cioè dar loro meno benzina da bere. E’ ciò che è stato già fatto con la progressiva diminuzione della capacità del serbatoio sino agli attuali 21 litri.
Sembrerebbe l’uovo di colombo se con sé la diminuzione del consumo non portasse un peggioramento delle prestazioni dei motori dal punto di vista dell’erogazione. Un propulsore che lavora “magro”, cioè al minimo del consumo, è anche piuttosto arrabbiato. Esattamente come un lavoratore a cui si fa fare fatica senza fargli consumare le meritate calorie.
Oggi con l’elettronica si riesce ad ammorbidire la curva di erogazione di un motore “cattivo”, ma nessuno fa miracoli. Senza contare che un motore “magro” scalda di più, perché in una certa percentuale il carburante se ne va anche come liquido di raffreddamento, e di conseguenza è maggiormente soggetto a rotture. Dunque i contro sono largamente superiori ai pro. Risultato: lasciamo stare ulteriori limitazioni sul consumo, per ora.
IL PUNTO SULL’AERODINAMICA – Stessimo parlando non di una moto ma di una monoposto il prossimo punto all’ordine del giorno sarebbe assai facile da individuare: l’aerodinamica. La F.1 le ha tentate tutte negli ultimi anni per diminuire le velocità, ma chissà perché non ha mai messo seriamente mano alla principale delle imputate, l’aerodinamica e le sue forme che creano la famosa o famigerata “deportanza” che incolla le monoposto al suolo. Da sistemi, chiamiamoli così “attivi” come le minigonne, oggi si è passato a carrozzerie da mostra d’arte moderna, in realtà le varie appendici, come le “winglet” sui supersonici, hanno sempre il medesimo scopo: pulire quanto più possibile il flusso d’aria destinato agli alettoni, in modo da aumentarne l’efficienza.
Nelle moto, però, tutto ciò non esiste, o meglio: è un fenomeno minore. L’unica (leggera) deportanza richiesta da una MotoGP viene studiata per favorire un leggero schiacciamento dell’avantreno in velocità sul rettilineo, in modo da evitare una pericolosa instabilità. C’è sempre poi la lotta fra superfici coperte (che migliorano la velocità di punta) e scoperte (che rompendo i flussi d’aria che “incatenano” la moto in un tunnel d’aria, la rendono più maneggevole). Ma è evidente che la risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio –come diminuire la velocità di percorrenza delle curve - non la troveremo qui, nell’aerodinamica.
CICLISTICA, VERSO IL CARBONIO – Proseguendo nell’analisi, fra gli imputati, balza agli occhi l’enorme progresso fatto negli anni dalla ciclistica dell’attuale classe regina. Per rendersene conto basta andare al museo della Honda, a Motegi, e dare un’occhiata alle moto del passato. L’incredibile NR500, pistoni ovali, 32 valvole – secondo noi il più grande balzo in avanti mai compiuto da una casa – sembra un pezzo di ferro! E questo sia nella sua prima versione, quella con telaio scatolato, che nell’ultima, con telaio in tubi.
Ma non serve risalire agli anni ’80. Già le 500 degli anni ’90, rispetto ad oggi, fanno paura. Basta guardare i forcelloni per rendersene conto. Ma già, allora le scorbutiche 500 dovevano essere solo “nimbling”, per dirla con gli americani: cioè veloci, leggere ed agili.
In pratica si doveva poterle inserire in curva rapidamente, per puntare poi il gas e sperare di non essere sparati oltre la curva quando il motore entrava in coppia all’improvviso.
Adesso il discorso è ben diverso e anche se non è una ricerca recente, la Ohlins sta portando in prova (lo ha fatto con Yamaha e Ducati in MotoGP e con la Suzuki in Superbike) le sue prime forcelle a controllo elettronico. Non c’è stata alcuna presentazione ufficiale, quindi i principi di funzionamento sono ignoti, ma è lampante che si potranno ulteriormente migliorare le prestazioni qualora le sospensioni possano autoregolarsi in funzione delle esigenze: dunque dure dove serve, un po’ più morbide in accelerazione per migliorare la trazione, delle tavolette sul liscio, il contrario sulle buche.
Anche qui, per il momento, però, siamo fuori bersaglio. Ci piacerebbe vedere questi ammortizzatori “intelligenti” all’opera perché magari nel prossimo futuro una loro versione economica migliorerà il comfort – e la sicurezza – della nostra supersportiva di ultima generazione, ma per oggi crediamo che ci sia ben poco da toccare, senza rischiare di peggiorare.
Anzi prepariamoci alla grande trasformazione: l’arrivo dei telai in carbonio. In F.1 giunsero nel 1981, in McLaren, grazie al genio di John Barnard. Nel motociclismo ci provò la Suzuki-Heron e poi la Cagiva. Il prossimo anno vedremo questo materiale sulla Ducati GP9. In fondo siamo in ritardo di “appena” ventotto anni rispetto alla F.1…
A proposito: le “grosse” MotoGP sono più…piccole di una Honda SH300!
LE COLPE, PRESUNTE, DELL’ELETTRONICA – E siamo giunti al punto: l’elettronica. Ormai questo è il fulcro di tutte le discussioni da bar. Imputato il Traction Control, il dispositivo elettronico che permetterebbe a tutti di spalancare il gas dappertutto, in ogni condizione, soprattutto in curva, asfalto asciutto o bagnato. Peccato che…poi sul bagnato vadano veramente forte i soliti specialisti (pensate a Vermeulen), mentre sull’asciutto vincono i soliti (Rossi, Stoner, Pedrosa). Dunque dove sta il valore aggiunto?
Probabilmente, anzi a sentire la maggior parte dei piloti, solo nella costanza di rendimento: i piccoli errori che anche i migliori piloti fanno nel corso di ogni giro vengono compensati dal TC che dunque aiuta a stabilizzare i tempi sul giro.
E’, questo, il Grande Demone di cui parla sempre Randy Mamola, che si lamenta che, oggi, chi ha due decimi di vantaggio sull’avversario scappa e va in fuga senza che questi possa fare alcunché per raggiungerlo. Vero. Perlomeno fino al Gran Premio di Laguna Seca dove Valentino Rossi ha dimostrato che oggi – attualmente – è ancora il pilota ad avere il controllo sull’elettronica di controllo riuscendo a battere Stoner nel GP degli USA, dove pure l’australiano era più veloce di lui di un paio di decimi. Come ci è riuscito? Semplice: ha fatto di tutto per stargli davanti nella parte finale del tracciato quello dove Casey era in vantaggio, di fatto rallentandolo. Come ci è riuscito? Rischiando in staccata modificando le traiettorie, soprattutto allungando ed allargando la fase di ingresso alla “Curva 1” ed impedendo così il sorpasso di Stoner.
Allora: è l’elettronica la responsabile della maggiore velocità in curva della MotoGP? La risposta è: sicuramente aiuta nel controllo totale della moto, ma no, non è la principale responsabile. Togliendola cosa accadrebbe? Anche qui la risposta è semplice: si accentuerebbe il gap fra i migliori ed i peggiori, e fin qui non sarebbe un gran male, anche se poi i più lenti, confidando nel TC lo utilizzano in modo più invasivo ed alla fine più piano vanno lo stesso.
Il punto veramente negativo è che con tutta quella potenza e ADERENZA in ballo si avrebbero molte più cadute. Ricordate la classe 500?
Ad un certo punto fu elevato il peso minimo da 115 a 130 Kg per rendere le moto meno “nimbling”…già perché anche allora si cercava di evitare i problemi correlati alla guida di una moto, come per esempio l’impennamento in uscita di curva.
“In Suzuki sperimentammo un sistema – ricorda Kevin Schwantz – che si basava sullo spostamento del mercurio. Quando la ruota anteriore si sollevava o perlomeno provava a farlo, il mercurio contenuto in un cilindretto, si spostava, chiudeva un circuito e l’erogazione di potenza diminuiva. Peccato che proprio in quella fase, cioè in accelerazione, servisse maggiore potenza. Dunque, sì, il dispositivo diminuiva la tendenza a sollevarsi dell’anteriore, ma toglieva cavalli proprio nel momento di maggior bisogno. Lo provai, ma poi decisi di non utilizzarlo”.
Per fortuna i dispositivi attuali sono meno invasivi, ma ciò a cui si deve pensare è che essi, in realtà, non permettono di aumentare la velocità di percorrenza della curva. Al massimo consentono di effettuarla con maggiore sicurezza.
Ma allora dove dobbiamo andare a parare?
Un attimo di pazienza.
…E QUELLE VERE DELLE GOMME – Fino all’arrivo della Bridgestone, nel 2002, in pratica nella classe regina la Michelin operava quasi in regime di monopolio. Le vittorie dei concorrenti, infatti, si contavano sulle dita di una mano. Come quella di Simon Crafar nel 1998 a Donington. Lì il pilota neozelandese con la sua Yamaha gommata Dunlop si prese la soddisfazione di dare la bellezza di oltre 11 secondi a sua maestà Mick Doohan. Capita l’antifona? Undici secondi di gomme. Contro l’allora miglior pilota al mondo.
Dal 15 novembre del 2004, data in cui la casa giapponese firmò con la Ducati, invece, è iniziata una vera e propria guerra di pneumatici. Una battaglia che all’inizio ha visto la casa di Clermont Ferrand in netto vantaggio grazie ad una propria tecnologia che gli consentiva di costruire gli pneumatici adatti all’asfalto ed alla temperatura nottetempo. Un vantaggio incommensurabile, che solo oggi si inizia a comprendere e che dovrebbe far riflettere su certe prestazioni (o non-prestazioni) del recente passato.
Per consentire una lotta più leale la Michelin ha dovuto rinunciare al suo brevetto, quindi si è passati ad una fase di pneumatici “contingentati”: 14 anteriori e 17 posteriori nel 2007, 18 anteriori e 22 posteriori, per un totale di 40 coperture, per ciascun pilota.
Il nuovo regolamento ha creato, in realtà, più problemi ai piloti, ed ai team, che altro. Dal punto di vista delle prestazioni, infatti, non c’è stato alcun calo se non quando uno dei due costruttori ha sbagliato clamorosamente mescole in base alla temperatura.
L’anno passato è successo a fasi alterne. Quest’anno ricordiamo che la Michelin, a Laguna Seca, ha costretto Nicky Hayden ad entrare in pista al sabato mattina, con una temperatura insolitamente fredda, con delle slick “intagliate” per meglio mandarle in temperatura.
Il problema, dunque, dell’incredibile incremento della velocità in curva delle MotoGP è certamente una somma di fattori, ma dei quali il più importante è l’incredibile miglioramento dell’aderenza offerta dagli pneumatici. Del resto per rendersene conto basta guardare le pieghe ottenibili. E non è necessario paragonare Rossi e Stoner ad Agostini e Read, ma basta tornare indietro ed osservare l’inclinazione raggiunta da piloti del calibro di Rainey, o Lawson, per renderci conto della realtà.
Peraltro oggi l’unica limitazione, oltre a quella del numero di coperture disponibili, è quella della dimensione dei cerchi: 4 pollici per l’anteriore, 6,25 per la posteriore. Quando sono sulle rastrelliere sembrano cerchi di automobile, tanto sono larghi!
A titolo di esperimento si potrebbe pensare inizialmente di intervenire qui. Già perché sarebbe inutile montare gommoni enormi su cerchi più stretti. Il profilo diverrebbe troppo appuntito, e male si sposerebbe con l’esigenza di avere più gomma a terra, che è l’obiettivo perseguito dai gommisti.
In fondo si tratta dell’uovo di Colombo: se si vuole diminuire la velocità di percorrenza in curva della classe MotoGP si deve lavorare sulle gomme. Diminuendo la larghezza dei cerchi automaticamente Michelin e Bridgestone dovranno diminuire le dimensione degli pneumatici, per non peggiorarne il profilo.
Con meno gomma a terra diminuirebbe anche l’esigenza di cercare altri cavalli nei motori…perché sarebbero inutili senza disporre del grip adeguato. Una spirale positiva, insomma.
Questo se veramente si vuole affrontare il problema della sicurezza. Se poi si vuole solo fare della demagogia, gli ingegneri del lunedì (ma anche quelli del martedì diano pure fiato alle trombe.
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