Announcement

Collapse
No announcement yet.

Announcement

Collapse
No announcement yet.

Intervista Paolo Bonora (Aprilia Rs3)

Collapse
X
 
  • Filter
  • Time
  • Show
Clear All
new posts

  • Font Size
    #1

    Intervista Paolo Bonora (Aprilia Rs3)



    Per elencare tutti i gradi che Paolo Bonora sfoggia sulla divisa devi prima prendere fiato: “Race Manager di Aprilia Racing, con funzioni di coordinamento del Team e dello staff tecnico di pista, di organizzazione dei test e dei GP, di relazioni con le Federazioni e con Dorna”. In sintesi, questo lungo elenco significa che la sua figura è strategicamente fondamentale anche per le decisioni che devono prendere il Responsabile Tecnico (Romano Albesiano) e il CEO (Massimo Rivola).

    Paolo Bonora esprimeva già un alto potenziale quando interagì per la prima volta con il mondo Aprilia, nel 2002. Proprio l’anno in cui ha debuttato la Cube. Lui era uno studente di talento della Facoltà̀ di Ingegneria dell’Università di Padova, ed era proprio il periodo in cui cercava idee per la sua tesi di laurea. Ecco, fu proprio l’Aprilia a suggerirgli l’argomento.

    «Studiavo i sistemi di automazione industriale. Un giorno un mio professore mi presentò l’opportunità di realizzare una tesi che sembrava non trovare grande interesse tra gli informatici e gli elettronici. Era arrivata una richiesta da parte di un’azienda che chiedeva di realizzare un software per la progettazione di profili delle alzate delle valvole per motori ad alte prestazioni. Era un’azienda di Noale. L’offerta non aveva trovato tanto seguito, ma dentro di me ho sentito accendersi un fuoco. Sono sempre stato in mezzo alle automobili – perché ho sempre lavorato nell’officina di mio papà, che era elettrauto – e ho visto in quella tesi una cosa su cui potevo realizzarmi».

    Da Padova a Noale, provincia di Venezia, è un viaggio breve. Sono una cinquantina di chilometri, che Paolo Bonora percorse in un attimo.

    «Al colloquio ho parlato con Gianfranco Castiglioni che era, ed è ancora, il responsabile del Reparto Calcolo, e poi con Luca Marchetti che era il capo dei motoristi: era uno dei progettisti del motore della RS Cube. Così ho iniziato la tesi, basata sullo sviluppo di quel software. E ho cominciato a frequentare Aprilia Racing, per fare la tesi insieme a loro».

    Ed è lì, che è cambiata la traiettoria della vita e della carriera di Paolo Bonora.


    «La definizione delle alzate del- le valvole si inserisce nell’ambito del calcolo fluidodinamico, la parte di progettazione della fase di aspirazione e scarico. La mia tesi sull’alzata valvole è durata sei mesi. Mi sono laureato nel 2003. E la più grande soddisfazione deriva dal fatto che alcuni risultati della mia tesi sono stati subito trasferiti sul progetto Cube. Un profilo software di asse a camme – venne chiamato Profilo GK15 – è stato realizzato, per la Cube, con il software derivato da quella tesi e da quegli studi».

    E così Paolo Bonora, fresco di laurea, venne chiamato in altri uffici, sempre a Noale, per parlare questa volta non solo di tecnologia: «All’inizio del 2003, quando ho finito la tesi, quegli ingegneri che per me erano inarrivabili, hanno visto che avevo fatto qualcosa che serviva e allora mi hanno preso nel settore elettronica. Nel 2003 ho fatto un anno di transizione in una squadra dell’orbita Aprilia: era quella gestita da Guidotti, un team prestato allo sviluppo».

    Era l’epoca dei grandi tecnici dei “due tempi”, che gravitavano in Aprilia.

    «Sì, è vero, c’erano tanti tecnici bravi in pista: oltre a Guidotti, anche Brazzi, Sandi, Noccioli, Deganello. Infatti l’Aprilia era for tissima in quel periodo».

    Torniamo alla Cube, e ai quattro tempi.

    «Contemporaneamente a quella esperienza, ho iniziato a scrivere il firmware per il motore della Cube. E poi sono stato assunto, nel 2004: l’incarico era: progettista elettronico, hardware e software. Penso di essere stato l’ultimo ingegnere assunto da Jan Witteveen».

    E il neolaureato e neoassunto si è trovato subito nel progetto RS Cube, che era tosto per chiunque, figurarsi per un rookie.

    «Ma per questo considero quell’esperienza una scuola vera. Mi sono buttato a capofitto sulla gestione motore, quindi gestione dell’anticipo dell’iniezione, Ride by wire e tutte le strategie elettroniche di controllo della coppia e della gestione del veicolo: parliamo quindi di controllo di trazione, anti-impennamento, freno motore, e soprattutto della parte di recupero del gioco valvole; con quegli alti angoli di spiega lì, senza la piattaforma inerziale che ancora non c’era, quel lavoro si è trasformato in una grande fonte di apprendi- mento. E poi affrontammo i problemi derivanti da altre scelte innovative, come la frizione in carbonio e le valvole pneumatiche».

    La scelta, fatta da Witteveen, di collaborare con la Cosworth resta ancora oggi la più di- scussa.

    «Beh, i problemi che dovettero affrontare i piloti e la squadra in pista, e poi gli ingegneri a Noale, in fondo derivarono tutti da li».

    Appunto.

    «Quella scelta ha comportato un motore con una tecnologia avanzatissima, ma con una curva di coppia pensata per le auto. Fu quello, il vero problema».

    E allora perché venne scelto quel tipo di progetto?


    «Il concetto di guidabilità è stato sempre un vanto di Aprilia, quindi il “3 in linea” sembrava il miglior compromesso in termini di peso-potenza. Il Regolamento Tecnico permetteva ad una moto con motore a 3 cilindri di risparmiare anche 10 kg, rispetto alle altre. Quel motore permetteva di costruire una moto leggera, con una sezione frontale stretta: venne deciso di fare una moto agile e con una percorrenza di curva veloce. Che erano poi i concetti che seguivamo per le RS a due tempi. Infatti i ragionamenti che si facevano all’epoca, a Noale, derivavano dalle esperienze e dalle conoscenze fatte sui motori con cui Aprilia gareggiava: i due tempi. E poi c’era anche una questione di tempo».

    Nel senso che c’era fretta?

    «Eh sì, perché la prima gara di MotoGP si sarebbe corsa nella primavera del 2002, e il concept è nato tra il 2000 e il 2001, quindi la moto è stata progettata e realizzata durante il 2001. Non c’era così tanto tempo».

    Quando è andata per la prima volta in pista, la Cube?


    «Nel dicembre 2001, a Jerez. C’era Marcellino Lucchi, che era il tester ufficiale. Poi la moto passò a Regis Laconi, che era il pilota scelto per il campionato 2002».


    La Cube è partita da concetti che erano già noti in Aprilia?

    «Tutto è partito da un foglio bianco, però sulla base di concetti che erano già̀ conosciuti: le quote ciclistiche, le caratteristiche del telaio e del forcellone, la distribuzione dei pesi. Invece la parte motore è stata affidata all’esterno: Jan Witteveen, che era a capo del reparto corse, affidò la responsabilità del motore a Claudio Lombardi, il quale teneva i rapporti con la Cosworth. Questo è un punto fonda- mentale: la scelta di andare da Cosworth derivò dal fatto che in Aprilia la tecnologia dei 4T era nuova».

    Però era una tecnologia da auto…
    «Venne ritenuto interessante questo dato: la cilindrata di quel motore era vicinissima al limite imposto dal regolamento, cioè 990cc. Guarda caso, si è trattato di un frazionamento derivato dal motore Cosworth F1».

    Tre cilindri da 330cc.

    «Da lì deriva il nome: era una

    RS (come tutte le moto da corsa Aprilia) ma al cubo. Sulla base di quel concetto abbiamo progettato la centralina elettronica, che chiamammo Poker: è nata esattamente per gestire 3 cilindri, cioè proprio quel motore lì. Poi quella centralina ci è tornata uti- le anche per i motori a due tempi, ma è nata per gestire la Cube».

    Quindi il piano era di realizzare una moto al limite del pe- so?

    «Sì, ma l’obiettivo non è stato raggiunto con la prima Cube: pesava più dei 135 kg limite. Per le versioni successive abbiamo usato sempre più materiali speciali, come ad esempio il magnesio, per eliminare peso. L’obiettivo è stato avvicinato sulla 2004, cioè la terza e ultima versione che ha corso. E infine, era stato raggiunto sulla 2005 che però non ha mai gareggiato».

    Il problema dell’utilizzo della potenza venne fuori subito?

    «Sì, perché quel motore è stato progettato con una curva di coppia ridottissima. La potenza era sfruttabile in un arco di soli 1000 giri, più o meno tra i 10.000 e gli 11.000. Era un utilizzo tipicamente automobilistico».

    Quindi ingestibile per una moto.


    «Era impressionante. In uscita di curva il motore rispondeva inizialmente in maniera quasi piatta, praticamente mancava la potenza a bassi regimi di giri, per poi esplodere letteralmente. Era difficile da gestire per tutti: il pilota, noi “elettronici” e pure i telaisti. Cercare di addolcire una tale erogazione, in tutte le fasi di guida, fu un’impresa durissima per non dire impossibile. Ma da un altro punto di vista, è stato anche eccitante».

    In che senso?

    «Perché il dover affrontare questi problemi ci ha fatto crescere tantissimo. Si è formato un gruppo che lavorava sul pacchetto “elettronica-motore-ciclistica”, con l’unico scopo di risolvere quei problemi. E ne scoprivamo uno al giorno. Perché tutti noi venivano da esperienze su moto a due tempi con motori da 104 CV, e all’improvviso ci dovevamo scontrare con una bestia da più di 230 CV (nella prima versione, poi siamo arrivati a 250) con un peso diverso, una ciclistica diversa, un motore completamente diverso. E gomme diverse. La gestione elettronica dell’epoca non era evoluta, ti dovevi inventare soluzioni con quel poco che c’era, e questa era la parte bella».
    A proposito di invenzioni. Hai spesso parlato delle difficoltà di gestire anche le valvole pneumatiche.

    «E devo dire, con orgoglio, che il profilo del software che ho sviluppato io venne fatto per gestire le valvole pneumatiche sulla Cube. Siamo arrivati a 18.000 giri, e questo già nei primissimi anni Duemila. In MotoGP questo sistema è stato applicato in modo esteso solo intorno al 2008, ma il nostro motore era già così nel 2003-2004».

    Ma ha creato problemi, sulla Cube.

    «Faceva parte del pacchetto motore Cosworth, che derivava dalla F1. Serve a fare reggere al motore gli alti regimi di rotazione. Perché il richiamo a molla (della valvola) non può reggere dopo i 15.000 – 16.000 giri. Credo che noi siamo stati gli unici ad arrivare a 16.000 giri, con le molle: l’abbiamo fatto sulla RSV4 Super-bike del 2014, quando Guintoli vinse il Mondiale in Qatar. Ma sopra quella soglia non si va, perciò bisogna passare al sistema pneumatico (a meno che non si usi il desmodromico) perché permette di far salire la rotazione a 19.000 giri, e anche oltre. Ma è molto più costoso da realizzare e da gestire».

    A cosa serve quel software per la definizione del “profilo”?

    «I software che generano i profili per gli assi a camme permettono ai progettisti dell’ufficio tecnico di definire delle forze agenti in maniera tale da avere un profilo controllato della valvola lungo tutto l’arco di giri. Quindi la definizione del profilo serve per imporre le forze agenti sul punto di contatto tra dito e bicchierino: se non definisci correttamente quella cosa lì – su motori ad altissimi giri, col richiamo pneumatico – rischi che il pompante non riesca a riportare correttamente la valvola indietro; quindi c’è uno spostamento dal profilo desiderato dell’alzata e del profilo realizzato, tanto che in un motore in cui la distanza pistone-valvole è veramente al limite, rischi che il pistone cozzi sulla valvola».

    Come te ne accorgi?

    «Metti la testa in un banco motore trascinato, azioni un laser che guarda la valvola, trascini la testa ai giri che vuoi e vedi se il profilo letto dell’alzata risponde al desiderato per tutto l’arco dei giri. È una cosa che abbiamo iniziato a fare qui, a Noale. E questa è una cosa che c’è ancora».

    Questo si riallaccia al discorso sull’utilità delle esperienze fatte grazie alla Cube?

    «Serve ad affermare che non sono stati soldi buttati. Ed è servito anche lo studio sul controllo del nostro sistema Ride by wire: abbiamo imparato tante cose, e le abbiamo trasferite su tutti i motori fatti fino ad oggi».

    L’albero motore controrotante è un’altra caratteristica oggi presente ovunque, ma nei primi anni 2000 molto meno.

    «L’abbiamo adottato perché eravamo convinti che, per fare in modo che la moto fosse più efficace in ingresso curva, bisognasse contrastare l’effetto giroscopico delle ruote. L’albero motore della Cube era veramente leggero, e questo non ci ha aiutato. Non avendo ancora una gestione elettronica raffinata, e dovendo gestire una curva di coppia così violenta, avere un albero leggero faceva in modo che l’erogazione fosse troppo aggressiva alla risposta dell’apertura del gas. E questo non aiutava nemmeno il lavoro in pista. È un altro effetto collaterale del concetto di quel motore pensato per le auto: in campo automobilistico si va alla ricerca di alberi motore leggeri perché la gestione in pista è completamente diversa da quella della moto. Noi, col passare degli anni, abbiamo capito che si poteva addolcire l’erogazione aiutandoci anche con l’albero motore».

    Oggi, come vent’anni fa, si torna sempre al problema del motore violentissimo.

    «Eh sì, perché ci siamo ritrovati tra le mani un motore da moto derivato dalla Formula 1, quindi aveva una potenza molto più alta rispetto a quella dei competitor: parliamo di oltre 250 CV. E si è rivelato molto difficile da gestire perché non c’era l’elettronica che abbiamo avuto in seguito. Quindi era molto avanti per quegli anni, ma anche per noi».

    Gli altri ci sono arrivati 3 o 4 anni dopo, a quelle potenze.

    «Quando infatti c’era un’elettronica diversa, che permetteva di gestirle. Parliamo di pochissimi anni di differenza, ma sufficienti a cambiare tutto. E bisogna considerare che l’elettronica e il carattere del motore sono importantissimi per gestire la potenza. Infatti quando si dice “motore inguidabile” devi chiederti se lo è di carattere, oppure se non si è ancora riusciti a gestirlo con l’elettronica».

    Cosa mancava, all’epoca?

    «Ad esempio, non c’era la piattaforma inerziale. Almeno, non era ai livelli degli ultimi 10 anni. Era quindi difficile gestire a livello di software la fase della piega, dell’impennata, oppure della derapata: era quasi tutto in mano al pilota. Ecco perché in quegli anni bisognava fare un motore guidabile: doveva essere gestito dall’uomo. Nel mondo dell’auto il campo di utilizzo di giri e della farfalla è molto diverso rispetto al campo moto, dove serve una curva di coppia molto più docile e molto più estesa, per dare in mano al pilota una coppia adeguata per gli alti angoli di piega, oppure quando c’è poco contatto della gomma a terra».

    In pratica, anche i piloti dell’epoca sono stati dei pionieri: a loro è toccato sopportare tutti quei problemi.

    «Infatti vanno ringraziati. È merito di tutti, per ripeto: quelle esperienze sono state fondamentali per l’azienda, per il reparto corse. E per il mio reparto, cioè quello elettronico. È in quel periodo che noi, in Aprilia, abbiamo iniziato a studiare davvero la materia, e a progettare software. E quel lavoro di progettazione è iniziato appena dopo la mia famosa tesi. Tra l’altro, anche con me hanno fatto come coi piloti: mi hanno gettato nella mischia!».

    Quindi ti hanno messo subito in pista.

    «Sì, perché mi hanno inserito nel reparto elettronica, che stava nascendo, in modo da sviluppare il firmware di quella centralina che è stata sviluppata sulla Cube: la Poker. È stata realizzata a partire dal 2001, appositamente per la Cube. Era fatta in collaborazione con un’azienda di elettronica che si chiamava Digitec, e che ora è la MTA. Tutti insieme realizzammo una centralina che aveva una parte di acquisizione dati e una parte di controllo motore. La parte software per le analisi dei dati era fornita da Win-Tax (di Magneti Marelli), mentre il controllo motore era in mano nostra. Io ho iniziato a lavorare sul firmware di controllo motore, che gestisce tutto quello che è relativo all’accensione, all’iniezione e al Ride by wire. Siamo stati i primi a mettere un sistema tanto evoluto su una moto. Avevo già anche tutta la gestione delle diagnostiche sulla moto».

    Da dove sei partito, per affrontare una cosa così?

    «Ho iniziato a gestire le mappe del Ride by wire, sulla base dei commenti dei piloti e poi delle prove al banco. Quel motore ha richiesto un grossissimo lavoro, che abbiamo svolto mentre bisognava fare crescere tutto il progetto: perché se hai un motore docile, è più facile capire le sensazioni che provengono da un telaio o da un forcellone; ma quando hai un motore così poco trattabile, non si capisce esattamente dove sono i problemi. Tutto è più complicato. Infatti adattare un motore così tanto potente e con una curva di coppia così ristretta è stato molto complicato».

    Quindi?

    «Abbiamo cercato di mettere la potenza a terra il più possibile, cercando di limitare l’impennata causata dall’erogazione aggressiva. Perché nel 2002 non c’era a disposizione nemmeno l’anti-wheeling. Abbiamo provato a rendere più docile l’erogazione, per tenere la ruota anteriore più bassa possibile. Diciamo, per sintesi, che i problemi contro cui ci siamo scontrati durante tutti gli anni di sviluppo hanno riguardato essenzialmente il modo di far lavorare al meglio la gomma posteriore, per sfruttare il grip della gomma. E noi, che venivamo dal mondo del due tempi, non avevamo mai affrontato quel tipo di problemi».





    Per addolcire il più possibile quella fase su cosa bisogna lavorare?

    «Motore, coppia, elettronica, ciclistica. È un insieme di cose. Perché rendere il più dolce possibile la transizione tra spin (rotazione) negativo e spin positivo vuol dire trattare meglio la gomma. Quando sei ad alti angoli di spiega e arriva quel picco, si genera uno slide (scivolamento della gomma) laterale. Il pilota tante volte deve chiudere il gas, cala il grado di piega, consuma di più la gomma e perciò a fine gara ha meno grip. In più, se non tieni sotto controllo lo spin in maniera continuativa, arrivi alla fase che gergalmente definiamo “rompere il grip”: diventa difficile tenere la gomma nella condizione ideale di lavoro. È molto importante tenere lo spin sotto controllo, a partire dal primo tocco del gas e fino a tutto l’arco di utilizzo del gas. Abbiamo lavorato tanto su quello».

    Perché la differenza la fa chi riesce a sfruttare meglio la gomma.

    «Esatto. L’obiettivo è sfruttare il potenziale della gomma, perciò il segreto è far lavorare le gomme nel range di temperatura corretto. Quindi, nella maniera corretta in termini di spin e slide. Lo definiamo “segreto”, perché è difficile capire da dove nasce la perdita di grip».

    Come si arriva a quel punto ideale?

    «Con un motore docile: un range di utilizzo largo e una coppia che il pilota può controllare. Si lavora su aspirazione e scarico, ma anche sulle inerzie del motore, come i volani esterni che si vedono soprattutto sui V4: servono a rendere più fluida l’erogazione e prendere i giri più velocemente. Quindi per migliorare la guidabilità».

    È il cosiddetto grip meccanico?

    «Sì, è la capacità di trasferire la coppia tra gomma e asfalto. Dipende da tanti fattori: da quanto sei piegato, dalla rugosità dell’asfalto, dalle temperature, dal modo in cui la coppia viene distribuita a terra. E anche dai carichi applicati: non dimentichiamo che sopra la moto c’è un pilota che agisce come un “peso” che va ad impattare sulla gomma».

    Pare che non vi siete fatti mancare neppure i guai prodotti dalla frizione in carbonio.

    «Ed è stata un’altra tecnologia innovativa, che però mise in crisi i piloti».

    Cosa accadde, in questo caso?

    «Con quella frizione era impossibile partire bene, soprattutto nella prima versione. E poi, c’era un disco solo e molto piccolo: Regis Laconi alla prima uscita a Jerez, nel dicembre 2001, l’ha bruciata subito. Quindi, partire è stato uno dei principali problemi di quella moto, soprattutto nella versione 2002. Negli anni abbiamo aumentato il numero dei dischi, per rendere più modulabile la coppia di erogazione al rilascio della frizione».

    In conclusione: è corretto affermare che quando si parla della Cube ci si riferisce anche degli albori dell’elettronica?

    «Guarda, per rendersi conto dell’importanza del progetto Cube, posso dire questo: per quella moto è iniziato, in Aprilia Racing, un grande piano di investimenti per costruire un reparto dedicato solo all’elettronica».

    Quando sei arrivato non c’era ancora?

    «Siamo partiti, eravamo io e Lorenzo Nardo, poi si è aggiunto Marco Bertinato, Marco Stevanato, e diversi altri. Tutti insieme, partendo da zero, abbiamo creato un reparto di eccellenza tenendo come base il progetto RS Cube: tutto quello che abbiamo sviluppato sulla Cube è diventato la base per progettare internamente tutta la gestione elettronica, compresa la parte acquisizione. Dal 2005, archiviato il progetto Cube, avevamo riempito il paddock di 125 e 250 caratterizzate da un alto livello tecnologico. E le idee che trovammo per gestire la Cube le abbiamo poi trasferite anche sulla RSV4. A quel punto, la centralina era diventata la APX, realizzata nel 2007. Quindi iI salto di qualità l’abbiamo fatto nel 2006, quando è arrivata la piattaforma inerziale e abbiamo cominciato a sviluppare veramente il controllo di trazione. Ecco, lì è iniziata una nuova epoca».


    da slick

  • Font Size
    #2
    Queste interviste con i tecnici mi piacciono molto!!
    Traspirano passione e dedizione per il risultato... esistono ancora giovani così appassionati??

    Comment


    • Font Size
      #3
      Originally posted by Stringa View Post
      Queste interviste con i tecnici mi piacciono molto!!
      Traspirano passione e dedizione per il risultato... esistono ancora giovani così appassionati??
      Penso sia per gente di una certa...

      I giovani non la leggono manco tutta... sei matto?

      Comment


      • Font Size
        #4
        Ho letto anche altro di questa rivista, gran bei articoli.

        Comment


        • Font Size
          #5
          Originally posted by andrea nadiani View Post
          Ho letto anche altro di questa rivista, gran bei articoli.
          Eh si.. idem... peccato che siano cose di SUPERNICHIA ormai.....


          Citofonare supermototecnica 30 anni fa..

          Comment


          • Font Size
            #6
            Originally posted by Stringa View Post
            Queste interviste con i tecnici mi piacciono molto!!
            Traspirano passione e dedizione per il risultato... esistono ancora giovani così appassionati??
            non so ma l'ho trovata e postata subito... sono abbastanza fan della Rs3

            Comment


            • Font Size
              #7
              Originally posted by mito22 View Post

              Penso sia per gente di una certa...

              I giovani non la leggono manco tutta... sei matto?
              era divisa in due parti l'ho riassemblata

              Comment


              • Font Size
                #8
                State dicendo che simo vecchi?!

                Comment


                • Font Size
                  #9
                  Originally posted by Stringa View Post
                  State dicendo che simo vecchi?!
                  Parla per te, Sacco Nero!

                  Comment


                  • Font Size
                    #10
                    E poi arriva Honda che mette tre cilindri davanti e due dietro, sezione frontale stretta e peso come le 4 in linea

                    Comment


                    • Font Size
                      #11
                      Originally posted by andrea nadiani View Post

                      Parla per te, Sacco Nero!
                      Avessi la metà della mia vecchiaia saresti bello che sepolto!!
                      Omaccione da Bar...

                      Comment


                      • Font Size
                        #12
                        Originally posted by Stringa View Post

                        Avessi la metà della mia vecchiaia saresti bello che sepolto!!
                        Omaccione da Bar...

                        Comment


                        • Font Size
                          #13
                          Originally posted by Stringa View Post
                          State dicendo che simo vecchi?!
                          Te e il conte andrea nadiani siete giovini, io cosa dovrei dire?

                          Comment


                          • Font Size
                            #14
                            Originally posted by Hotslider View Post

                            Te e il conte andrea nadiani siete giovini, io cosa dovrei dire?
                            Hai ragione OLDslider ​​​​​​

                            E qua la Frenchiu cappotta

                            Comment


                            • Font Size
                              #15
                              Originally posted by luciocabrio View Post

                              Hai ragione OLDslider ​​​​​​

                              E qua la Frenchiu cappotta
                              Hai sentito il tonfo?

                              Non ero io sempregggiOOOvane



                              Comment

                              X
                              Working...
                              X