Le case costruttrici giapponesi faticano, in MotoGP dominano le aziende europee: Ducati, Aprilia e KTM. Siamo di fronte a un cambio epocale.
Nella stagione 2023, Ducati, Aprilia e KTM sono pronte a dominare la MotoGP. Con il ritiro di Suzuki dalla massima competizione internazionale, saranno solo due le marche giapponesi nel circus. La prima, Yamaha, con il solo team ufficiale composto da Fabio Quartararo e da Franco Morbidelli, alle prese con un periodo incredibilmente buio. La seconda è Honda, che manterrà due team, l’ufficiale HRC-Repsol e il team satellite LCR di Lucio Cecchinello.
MotoGP, Ducati e Honda (ANSA)
In totale, saranno soltanto sei le moto giapponesi che il prossimo anno correranno in MotoGP contro le sedici europee. Ducati, con otto moto in pista, Aprilia e KTM con quattro prototipi a testa. Un’inversione di marcia che sembra figlia di un modus operandi, di una evoluzione che dall’Asia è arrivata in Europa, soprattutto in Italia.
MotoGP, è finita la supremazia giapponese
Da quando è nata la MotoGP, ossia nel 2002, le uniche marche che sono riuscite a conquistare il titolo piloti sono giapponesi. Ovviamente, al netto della stagione 2007, quando una complicata e selvaggia Ducati è riuscita a portare alla vittoria l’australiano Casey Stoner.
Una mosca bianca. Un unicum. Dal 2002 al 2021, ha sempre vinto un pilota con il team “Made in Japan”. Un’evidenza dello strapotere delle moto giapponesi, certo, ma anche della faticosa rincorsa delle altre case europee. Ma cosa succede se osserviamo anche il titolo costruttori?
Nelle ultime tre stagioni di MotoGP è stata la Ducati a conquistare il titolo a testimonianza del continuo miglioramento, della crescita, delle innovazioni. Mentre Yamaha, Honda e Suzuki erano intente a lottare per vincere il titolo piloti, Ducati (su tutte) ha tracciato una netta linea di evoluzione. Non è un caso che ogni innovazione telaistica, e non solo, sia poi stata “copiata” dalle altre case costruttrici: dal cucchiaio all’abbassatore, dalle ali alla carena aerodinamica.
Le case costruttrici giapponesi faticano, in MotoGP dominano le aziende europee: Ducati, Aprilia e KTM. Siamo di fronte a un cambio epocale.
Nella stagione 2023, Ducati, Aprilia e KTM sono pronte a dominare la MotoGP. Con il ritiro di Suzuki dalla massima competizione internazionale, saranno solo due le marche giapponesi nel circus. La prima, Yamaha, con il solo team ufficiale composto da Fabio Quartararo e da Franco Morbidelli, alle prese con un periodo incredibilmente buio. La seconda è Honda, che manterrà due team, l’ufficiale HRC-Repsol e il team satellite LCR di Lucio Cecchinello.
MotoGP, Ducati e Honda (ANSA)
MotoGP, Ducati e Honda (ANSA)
In totale, saranno soltanto sei le moto giapponesi che il prossimo anno correranno in MotoGP contro le sedici europee. Ducati, con otto moto in pista, Aprilia e KTM con quattro prototipi a testa. Un’inversione di marcia che sembra figlia di un modus operandi, di una evoluzione che dall’Asia è arrivata in Europa, soprattutto in Italia.
MotoGP, è finita la supremazia giapponese
Da quando è nata la MotoGP, ossia nel 2002, le uniche marche che sono riuscite a conquistare il titolo piloti sono giapponesi. Ovviamente, al netto della stagione 2007, quando una complicata e selvaggia Ducati è riuscita a portare alla vittoria l’australiano Casey Stoner.
Una mosca bianca. Un unicum. Dal 2002 al 2021, ha sempre vinto un pilota con il team “Made in Japan”. Un’evidenza dello strapotere delle moto giapponesi, certo, ma anche della faticosa rincorsa delle altre case europee. Ma cosa succede se osserviamo anche il titolo costruttori?
Nelle ultime tre stagioni di MotoGP è stata la Ducati a conquistare il titolo a testimonianza del continuo miglioramento, della crescita, delle innovazioni. Mentre Yamaha, Honda e Suzuki erano intente a lottare per vincere il titolo piloti, Ducati (su tutte) ha tracciato una netta linea di evoluzione. Non è un caso che ogni innovazione telaistica, e non solo, sia poi stata “copiata” dalle altre case costruttrici: dal cucchiaio all’abbassatore, dalle ali alla carena aerodinamica.
L’artefice di tutto è stato evidentemente Gigi Dall’Igna, ma il movimento che ne ha fatto seguito è stata un’onda fortissima che ha travolto la tradizione giapponese come il quadro The Great Wave di Hokusai. Quando Marquez guidava sui problemi, e vinceva, Honda non si è posta il problema della qualità della sua moto, esattamente come ha fatto Yamaha negli anni, prima con Valentino Rossi, poi con Jorge Lorenzo.
Correre sui problemi non può essere la regola, ma deve essere l’eccezione. Quest’anno Ducati, Aprilia e KTM hanno dimostrato di essere arrivate a un livello tale da contare con il contagocce le criticità, mantenendo una continuità tale che ha permesso alle case europee di crescere. Inoltre, Ducati (come KTM e anche Aprilia dal 2023) ha colto l’occasione di avere diversi prototipi in pista, per moltiplicare sensibilmente la quantità di dati dalle performance in pista, così da sfruttarli per continuare a sviluppare la moto in ogni direzione.
MotoGP, Ducati segna la strada
Stiamo andando incontro a un cambio epocale, avvenuto in realtà già da qualche stagione, ma solo quest’anno con la vittoria di Pecco Bagnaia in MotoGP e il ritiro dalle corse di Suzuki è stato possibile evidenziarlo.
Nella stagione appena passata, le aziende europee hanno portato a casa ben quindici successi, nove secondi posti e dieci terzi piazzamenti contro le sole cinque vittorie, sei secondi posti e tre terzi posti delle case giapponesi. In totale, sono trentaquattro podi contro i quattordici delle case giapponesi. Un’umiliazione mai accaduta prima.
Dai primi test a Valencia, né Honda né Yamaha sembrano essere sui binari giusti per provare a raggiungere Ducati. Anzi, la prossima stagione, a meno di sorprese clamorose, andremo incontro a un gap ancora più evidente tra le europee e le giapponesi.
Questa distanza non è solo figlia degli eventi o delle innovazioni, ma di una capacità lavorativa, di un metodo “open mind” che gli europei, gli italiani su tutti, hanno dimostrato di avere rispetto alla rigidità degli ingegneri nipponici. Una fermezza che fino a qualche tempo fa avrebbe pagato, ma che oggi è diventata controproducente. Serve una rivoluzione tra i samurai per tornare in vetta dal punto di vista tecnologico in MotoGP.
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Nella stagione 2023, Ducati, Aprilia e KTM sono pronte a dominare la MotoGP. Con il ritiro di Suzuki dalla massima competizione internazionale, saranno solo due le marche giapponesi nel circus. La prima, Yamaha, con il solo team ufficiale composto da Fabio Quartararo e da Franco Morbidelli, alle prese con un periodo incredibilmente buio. La seconda è Honda, che manterrà due team, l’ufficiale HRC-Repsol e il team satellite LCR di Lucio Cecchinello.
MotoGP, Ducati e Honda (ANSA)
In totale, saranno soltanto sei le moto giapponesi che il prossimo anno correranno in MotoGP contro le sedici europee. Ducati, con otto moto in pista, Aprilia e KTM con quattro prototipi a testa. Un’inversione di marcia che sembra figlia di un modus operandi, di una evoluzione che dall’Asia è arrivata in Europa, soprattutto in Italia.
MotoGP, è finita la supremazia giapponese
Da quando è nata la MotoGP, ossia nel 2002, le uniche marche che sono riuscite a conquistare il titolo piloti sono giapponesi. Ovviamente, al netto della stagione 2007, quando una complicata e selvaggia Ducati è riuscita a portare alla vittoria l’australiano Casey Stoner.
Una mosca bianca. Un unicum. Dal 2002 al 2021, ha sempre vinto un pilota con il team “Made in Japan”. Un’evidenza dello strapotere delle moto giapponesi, certo, ma anche della faticosa rincorsa delle altre case europee. Ma cosa succede se osserviamo anche il titolo costruttori?
Nelle ultime tre stagioni di MotoGP è stata la Ducati a conquistare il titolo a testimonianza del continuo miglioramento, della crescita, delle innovazioni. Mentre Yamaha, Honda e Suzuki erano intente a lottare per vincere il titolo piloti, Ducati (su tutte) ha tracciato una netta linea di evoluzione. Non è un caso che ogni innovazione telaistica, e non solo, sia poi stata “copiata” dalle altre case costruttrici: dal cucchiaio all’abbassatore, dalle ali alla carena aerodinamica.
Le case costruttrici giapponesi faticano, in MotoGP dominano le aziende europee: Ducati, Aprilia e KTM. Siamo di fronte a un cambio epocale.
Nella stagione 2023, Ducati, Aprilia e KTM sono pronte a dominare la MotoGP. Con il ritiro di Suzuki dalla massima competizione internazionale, saranno solo due le marche giapponesi nel circus. La prima, Yamaha, con il solo team ufficiale composto da Fabio Quartararo e da Franco Morbidelli, alle prese con un periodo incredibilmente buio. La seconda è Honda, che manterrà due team, l’ufficiale HRC-Repsol e il team satellite LCR di Lucio Cecchinello.
MotoGP, Ducati e Honda (ANSA)
MotoGP, Ducati e Honda (ANSA)
In totale, saranno soltanto sei le moto giapponesi che il prossimo anno correranno in MotoGP contro le sedici europee. Ducati, con otto moto in pista, Aprilia e KTM con quattro prototipi a testa. Un’inversione di marcia che sembra figlia di un modus operandi, di una evoluzione che dall’Asia è arrivata in Europa, soprattutto in Italia.
MotoGP, è finita la supremazia giapponese
Da quando è nata la MotoGP, ossia nel 2002, le uniche marche che sono riuscite a conquistare il titolo piloti sono giapponesi. Ovviamente, al netto della stagione 2007, quando una complicata e selvaggia Ducati è riuscita a portare alla vittoria l’australiano Casey Stoner.
Una mosca bianca. Un unicum. Dal 2002 al 2021, ha sempre vinto un pilota con il team “Made in Japan”. Un’evidenza dello strapotere delle moto giapponesi, certo, ma anche della faticosa rincorsa delle altre case europee. Ma cosa succede se osserviamo anche il titolo costruttori?
Nelle ultime tre stagioni di MotoGP è stata la Ducati a conquistare il titolo a testimonianza del continuo miglioramento, della crescita, delle innovazioni. Mentre Yamaha, Honda e Suzuki erano intente a lottare per vincere il titolo piloti, Ducati (su tutte) ha tracciato una netta linea di evoluzione. Non è un caso che ogni innovazione telaistica, e non solo, sia poi stata “copiata” dalle altre case costruttrici: dal cucchiaio all’abbassatore, dalle ali alla carena aerodinamica.
L’artefice di tutto è stato evidentemente Gigi Dall’Igna, ma il movimento che ne ha fatto seguito è stata un’onda fortissima che ha travolto la tradizione giapponese come il quadro The Great Wave di Hokusai. Quando Marquez guidava sui problemi, e vinceva, Honda non si è posta il problema della qualità della sua moto, esattamente come ha fatto Yamaha negli anni, prima con Valentino Rossi, poi con Jorge Lorenzo.
Correre sui problemi non può essere la regola, ma deve essere l’eccezione. Quest’anno Ducati, Aprilia e KTM hanno dimostrato di essere arrivate a un livello tale da contare con il contagocce le criticità, mantenendo una continuità tale che ha permesso alle case europee di crescere. Inoltre, Ducati (come KTM e anche Aprilia dal 2023) ha colto l’occasione di avere diversi prototipi in pista, per moltiplicare sensibilmente la quantità di dati dalle performance in pista, così da sfruttarli per continuare a sviluppare la moto in ogni direzione.
MotoGP, Ducati segna la strada
Stiamo andando incontro a un cambio epocale, avvenuto in realtà già da qualche stagione, ma solo quest’anno con la vittoria di Pecco Bagnaia in MotoGP e il ritiro dalle corse di Suzuki è stato possibile evidenziarlo.
Nella stagione appena passata, le aziende europee hanno portato a casa ben quindici successi, nove secondi posti e dieci terzi piazzamenti contro le sole cinque vittorie, sei secondi posti e tre terzi posti delle case giapponesi. In totale, sono trentaquattro podi contro i quattordici delle case giapponesi. Un’umiliazione mai accaduta prima.
Dai primi test a Valencia, né Honda né Yamaha sembrano essere sui binari giusti per provare a raggiungere Ducati. Anzi, la prossima stagione, a meno di sorprese clamorose, andremo incontro a un gap ancora più evidente tra le europee e le giapponesi.
Questa distanza non è solo figlia degli eventi o delle innovazioni, ma di una capacità lavorativa, di un metodo “open mind” che gli europei, gli italiani su tutti, hanno dimostrato di avere rispetto alla rigidità degli ingegneri nipponici. Una fermezza che fino a qualche tempo fa avrebbe pagato, ma che oggi è diventata controproducente. Serve una rivoluzione tra i samurai per tornare in vetta dal punto di vista tecnologico in MotoGP.
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