Aerodinamica, freni, elettronica e potenza: le MotoGP vanno sempre più forte, riducendo lo spazio fisico per i sorpassi. Un problema che aveva messo in crisi la F1, e che Dorna deve risolvere in fretta. Le voci di tecnici, piloti e gommisti
La regola fondamentale di ogni sport è semplice: spostare costantemente il limite più avanti. Nel caso del motociclismo, quello dei piloti e quello delle moto: i mezzi diventano sempre più veloci e sofisticati, chi li guida deve essere capace di sfruttarli al massimo, in un giro secco come in gara.
Fin qui la poesia, poi si arriva all’immancabile prosa. Perché, nel caso di un campionato come quello della MotoGP, gli interessi in gioco sono molteplici e grande peso hanno quelli economici: non basta pensare alla massima prestazione, serve anche offrire uno spettacolo che piaccia, altrimenti i circuiti si svuotano, le TV non versano soldi nelle casse dell'organizzatore, gli sponsor se ne vanno e il gioco si rompe.
La MotoGP ha raggiunto un livello incredibile. Basti pensare che dei 24 piloti sullo schieramento di partenza in questa stagione, 14 di loro hanno vinto almeno un titolo iridato in una delle tre classi del Motomondiale. Le moto, poi, sono un concentrato di tecnologia, veri prototipi con soluzioni innovative, ultime in ordine di tempo gli spoiler aerodinamici e gli "abbassatori" che permettono di variare l'altezza del posteriore anche in corsa (Ducati ne ha sviluppato uno che agisce pure sull'anteriore, ma dal prossimo anno non sarà più permesso).
Per capirci, Pecco Bagnaia quest'anno ha conquistato la pole position al Sachsenring (circuito tortuoso, dove la potenza conta fino a un certo punto) con il tempo di 1'19"931; Olivier Jacque nel 2002 ottenne lo stesso risultato in 1'25"750.
Quasi 6 secondi di differenza in 20 anni, un'enormità su una pista che misura poco più di 3 chilometri e mezzo. Da questo punto di vista, la MotoGP sembrerebbe godere di ottima salute, invece qualcuno inizia a storcere il naso e ad avvertire che si è presa una china che sta facendo più male che bene al campionato.
Il tutto si può tradurre con mancanza di sorpassi, che poi significa mancanza di spettacolo, con tutto quello che ne consegue. Non che le lotte manchino, ma non sono mai per la vittoria, o almeno è quello che è successo nella prima metà del 2022, fino al Gran Premio d'Olanda ad Assen. In Qatar ha vinto Bastianini, sverniciando sul dritto Pol Espargaró a 4 giri dalla fine e poi gestendo Brad Binder. In Indonesia, sulla pioggia, Oliveira se ne è andato; in Argentina Aleix Espargaró non ha dato scampo a Martin; ad Austin ancora Bastianini ha vinto in solitaria. A Portimao lo ha fatto Quartararo, che invece a Jerez è stato incollato dal primo all'ultimo giro a Bagnaia senza mai attaccarlo. In Francia la caduta di Pecco ha lasciato via libera a Bastianini. In Italia di nuovo Bagnaia a dominare, come Quartararo a Barcellona e al Sachsenring; infine, stesso stile per Bagnaia ad Assen.
Questo il riassunto della prima parte dell'anno in cui i sorpassi a dire il vero si sono anche visti. Ci sono almeno 3 rimonte da segnalare: quella nel GP delle Americhe di Marquez dal 18° al 6° posto, quella di Bagnaia in Portogallo dall'ultimo all'8° posto e infine quella di Espargaró in Olanda, dal 15° al 4° posto. In questi casi, però, parliamo di piloti che si erano trovati a dovere recuperare per disavventure assortite (un guasto in partenza per Marc, una caduta in qualifica per Pecco, un incidente in gara per Aleix) avendo un passo nettamente più veloce di quello degli altri piloti.
Va da sé che quando le differenze sul passo sono macroscopiche (e magari si hanno anche motori capaci di dare una mano in rettilineo) il sorpasso è possibile. Quando però il ritmo è simile, allora le cose si complicano. Un altro esempio: a Jerez Aleix Espargaró è stato nella scia di Jack Miller e Alex Marquez per 20 giri, è riuscito a passarli solo per un loro errore e in 5 giri ha rifilato loro più di un secondo e mezzo, segno che il pilota di Aprilia era più veloce della coppia che lo seguiva, ma non riusciva ad attaccare.
Meno 40 metri alla San Donato
Insomma, le moto si sono avvicinate alla F1 nella difficoltà dei sorpassi. Perché? In molti (compreso qualche pilota) puntano il dito sull'aerodinamica e sui sistemi che abbassano il posteriore della moto in accelerazione. Si tratta di due innovazioni tecnologiche che hanno cambiato il modo di correre e aumentato le prestazioni, ma per alcuni rendono più difficile superare.
Le ali limitano l'impennamento in accelerazione e aiutano in frenata generando carico sull'anteriore, contribuendo anche alla sicurezza. Come spiega Mattia Tombolan di Brembo, lo spazio di frenata alla prima curva del Mugello (la famosa San Donato, a cui le migliori MotoGP arrivano a più di 360 km/h) si è ridotto di quasi 40 metri da quando le moto hanno gli spoiler. A quella velocità, significa togliere possibilità fisica di spazio di sorpasso.
Un'altra lamentela è legata alle turbolenze e al risucchio creato dalle ali. Bagnaia ha spiegato questo effetto: «Accade solo ad altissime velocità, quando sei in scia è come se la moto accelerasse nel momento in cui freni». Quindi la scia, che di solito dovrebbe aiutare a superare, può diventare controproducente. Senza contare che non riuscire a sopravanzare chi precede porta a un altro problema: l'innalzamento della temperatura e della pressione della gomma anteriore che vede così le sue prestazioni decadere.
Se in frenata è più difficile attaccare, anche fare la differenza in accelerazione è complicato. Il “rear ride height device” (come chiamano gli inglesi l'abbassatore) ottimizza infatti questa fase e guadagnare metri è difficile. Romano Albesiano, direttore tecnico di Aprilia spiega però che dare tutta la (presunta) colpa alle ali è sbagliato. Semmai è il livello generale che si è alzato e tutte le nuove invenzioni hanno portato a quella che lui stesso definisce come «un'ottimizzazione delle prestazioni».
In un certo senso è più difficile fare la differenza perché il livello è simile e tutte le innovazioni (relative all'aerodinamica, agli abbassatori, all'elettronica) rendono facilmente ripetibile la prestazione, con la conseguenza che il pilota può fare meno la differenza, e non per colpa sua. Poi c'è il discorso gomme: le Michelin sono ottime, ma i suoi pneumatici anteriori soffrono quando seguono altre moto, con la pressione che si alza e le prestazioni decadono. Altro aspetto che complica i sorpassi.
L'intervento di Repsol
«La tecnologia sta uccidendo lo spettacolo». A sostenerlo è stato uno dei più munifici sponsor nel paddock, Repsol, dal 1995 sulle carene delle Honda ufficiali. In un lungo intervento sul proprio blog, parla di moto sempre più prestanti e affaticanti per i piloti, di un calendario lunghissimo che non consente di prendere rischi, e ha dato la colpa in primis ad ali e abbassatori. Quando un investitore così importante si prende la briga di lanciare un allarme del genere va ascoltato, anche se la mancanza di risultati della Honda ha sicuramente aiutato certe riflessioni (chi si lamenta quando vince?).
Dorna, negli ultimi anni, ha introdotto delle novità regolamentari per aumentare lo spettacolo livellando le prestazioni e nello stesso tempo contenere i costi. Avere fornitori unici per gomme e centralina elettronica è una scelta che va in questo senso, lo stesso si può dire per i regolamenti tecnici sui motori, così se agli esordi della MotoGP in pista c'erano tante architetture diverse (dai 3 ai 5 cilindri) ora si è arrivati a solo due: 4 cilindri, a V o in linea.
Il fatto che tutti e 6 i costruttori presenti siano riusciti a vincere almeno una gara nelle ultime stagioni è positivo, ma ora bisogna guardare oltre. Se il lavoro dei piloti è quello di portare al limite le moto, quello degli ingegneri è cercare lo spazio che le regole concedono per innovare. Ducati lo ha fatto e ha costretto gli avversari a seguirla. La scelta di vietare determinati dispositivi diventa quindi una decisione politica ancora prima che tecnica. Come successo in F1, dove si è deciso di tornare alle monoposto a effetto suolo per vedere di nuovo i sorpassi. La Dorna, però, al momento ha le mani legate perché ha appena firmato un nuovo accordo quinquennale con i costruttori fino al 2026 e per modificare il regolamento (a meno di ragioni di sicurezza) servirebbe il loro consenso unanime. Quindi la prima finestra è quella del 2027, vale a dire altri 4 anni senza poter cambiare nulla.
Dorna è comunque al lavoro e, nel peggiore dei casi, ci sarebbe la possibilità di fare alcuni interventi anche senza avere l'unanimità della Case. Tutti sanno che non è il secondo in più o in meno sul giro a interessare il pubblico, ma le battaglie, e che spesso alcune novità tecnologiche non vengono neanche avvertite, se non da un ristretto numero di appassionati. D'altra parte, ridurre le prestazioni non significa automaticamente aumentare la bagarre. Bisogna decidere cosa togliere, coscienti che una MotoGP attuale ha bisogno di alcuni "aiuti" per essere guidata in sicurezza. Far scomparire le ali non è pensabile, ridurre il loro effetto sì, magari intervenendo anche sulle prestazioni dei prototipi della classe regina, che stanno crescendo a ogni anno, tanto che alcuni circuiti potrebbero diventare presto inadeguati.
Come sempre in questi casi, l'arte del compromesso è essenziale. Gli ingegneri devono avere una certa libertà (perché le corse non sono uno strumento soltanto di marketing ma anche di sviluppo tecnologico), e ai piloti serve poter fare la differenza senza affidarsi totalmente alla tecnologia. Il rebus è di difficile soluzione, ma in ballo c'è il futuro della MotoGP.
notizia da: motociclismo.it
La regola fondamentale di ogni sport è semplice: spostare costantemente il limite più avanti. Nel caso del motociclismo, quello dei piloti e quello delle moto: i mezzi diventano sempre più veloci e sofisticati, chi li guida deve essere capace di sfruttarli al massimo, in un giro secco come in gara.
Fin qui la poesia, poi si arriva all’immancabile prosa. Perché, nel caso di un campionato come quello della MotoGP, gli interessi in gioco sono molteplici e grande peso hanno quelli economici: non basta pensare alla massima prestazione, serve anche offrire uno spettacolo che piaccia, altrimenti i circuiti si svuotano, le TV non versano soldi nelle casse dell'organizzatore, gli sponsor se ne vanno e il gioco si rompe.
La MotoGP ha raggiunto un livello incredibile. Basti pensare che dei 24 piloti sullo schieramento di partenza in questa stagione, 14 di loro hanno vinto almeno un titolo iridato in una delle tre classi del Motomondiale. Le moto, poi, sono un concentrato di tecnologia, veri prototipi con soluzioni innovative, ultime in ordine di tempo gli spoiler aerodinamici e gli "abbassatori" che permettono di variare l'altezza del posteriore anche in corsa (Ducati ne ha sviluppato uno che agisce pure sull'anteriore, ma dal prossimo anno non sarà più permesso).
Per capirci, Pecco Bagnaia quest'anno ha conquistato la pole position al Sachsenring (circuito tortuoso, dove la potenza conta fino a un certo punto) con il tempo di 1'19"931; Olivier Jacque nel 2002 ottenne lo stesso risultato in 1'25"750.
Quasi 6 secondi di differenza in 20 anni, un'enormità su una pista che misura poco più di 3 chilometri e mezzo. Da questo punto di vista, la MotoGP sembrerebbe godere di ottima salute, invece qualcuno inizia a storcere il naso e ad avvertire che si è presa una china che sta facendo più male che bene al campionato.
Il tutto si può tradurre con mancanza di sorpassi, che poi significa mancanza di spettacolo, con tutto quello che ne consegue. Non che le lotte manchino, ma non sono mai per la vittoria, o almeno è quello che è successo nella prima metà del 2022, fino al Gran Premio d'Olanda ad Assen. In Qatar ha vinto Bastianini, sverniciando sul dritto Pol Espargaró a 4 giri dalla fine e poi gestendo Brad Binder. In Indonesia, sulla pioggia, Oliveira se ne è andato; in Argentina Aleix Espargaró non ha dato scampo a Martin; ad Austin ancora Bastianini ha vinto in solitaria. A Portimao lo ha fatto Quartararo, che invece a Jerez è stato incollato dal primo all'ultimo giro a Bagnaia senza mai attaccarlo. In Francia la caduta di Pecco ha lasciato via libera a Bastianini. In Italia di nuovo Bagnaia a dominare, come Quartararo a Barcellona e al Sachsenring; infine, stesso stile per Bagnaia ad Assen.
Questo il riassunto della prima parte dell'anno in cui i sorpassi a dire il vero si sono anche visti. Ci sono almeno 3 rimonte da segnalare: quella nel GP delle Americhe di Marquez dal 18° al 6° posto, quella di Bagnaia in Portogallo dall'ultimo all'8° posto e infine quella di Espargaró in Olanda, dal 15° al 4° posto. In questi casi, però, parliamo di piloti che si erano trovati a dovere recuperare per disavventure assortite (un guasto in partenza per Marc, una caduta in qualifica per Pecco, un incidente in gara per Aleix) avendo un passo nettamente più veloce di quello degli altri piloti.
Va da sé che quando le differenze sul passo sono macroscopiche (e magari si hanno anche motori capaci di dare una mano in rettilineo) il sorpasso è possibile. Quando però il ritmo è simile, allora le cose si complicano. Un altro esempio: a Jerez Aleix Espargaró è stato nella scia di Jack Miller e Alex Marquez per 20 giri, è riuscito a passarli solo per un loro errore e in 5 giri ha rifilato loro più di un secondo e mezzo, segno che il pilota di Aprilia era più veloce della coppia che lo seguiva, ma non riusciva ad attaccare.
Meno 40 metri alla San Donato
Insomma, le moto si sono avvicinate alla F1 nella difficoltà dei sorpassi. Perché? In molti (compreso qualche pilota) puntano il dito sull'aerodinamica e sui sistemi che abbassano il posteriore della moto in accelerazione. Si tratta di due innovazioni tecnologiche che hanno cambiato il modo di correre e aumentato le prestazioni, ma per alcuni rendono più difficile superare.
Le ali limitano l'impennamento in accelerazione e aiutano in frenata generando carico sull'anteriore, contribuendo anche alla sicurezza. Come spiega Mattia Tombolan di Brembo, lo spazio di frenata alla prima curva del Mugello (la famosa San Donato, a cui le migliori MotoGP arrivano a più di 360 km/h) si è ridotto di quasi 40 metri da quando le moto hanno gli spoiler. A quella velocità, significa togliere possibilità fisica di spazio di sorpasso.
Un'altra lamentela è legata alle turbolenze e al risucchio creato dalle ali. Bagnaia ha spiegato questo effetto: «Accade solo ad altissime velocità, quando sei in scia è come se la moto accelerasse nel momento in cui freni». Quindi la scia, che di solito dovrebbe aiutare a superare, può diventare controproducente. Senza contare che non riuscire a sopravanzare chi precede porta a un altro problema: l'innalzamento della temperatura e della pressione della gomma anteriore che vede così le sue prestazioni decadere.
Se in frenata è più difficile attaccare, anche fare la differenza in accelerazione è complicato. Il “rear ride height device” (come chiamano gli inglesi l'abbassatore) ottimizza infatti questa fase e guadagnare metri è difficile. Romano Albesiano, direttore tecnico di Aprilia spiega però che dare tutta la (presunta) colpa alle ali è sbagliato. Semmai è il livello generale che si è alzato e tutte le nuove invenzioni hanno portato a quella che lui stesso definisce come «un'ottimizzazione delle prestazioni».
In un certo senso è più difficile fare la differenza perché il livello è simile e tutte le innovazioni (relative all'aerodinamica, agli abbassatori, all'elettronica) rendono facilmente ripetibile la prestazione, con la conseguenza che il pilota può fare meno la differenza, e non per colpa sua. Poi c'è il discorso gomme: le Michelin sono ottime, ma i suoi pneumatici anteriori soffrono quando seguono altre moto, con la pressione che si alza e le prestazioni decadono. Altro aspetto che complica i sorpassi.
L'intervento di Repsol
«La tecnologia sta uccidendo lo spettacolo». A sostenerlo è stato uno dei più munifici sponsor nel paddock, Repsol, dal 1995 sulle carene delle Honda ufficiali. In un lungo intervento sul proprio blog, parla di moto sempre più prestanti e affaticanti per i piloti, di un calendario lunghissimo che non consente di prendere rischi, e ha dato la colpa in primis ad ali e abbassatori. Quando un investitore così importante si prende la briga di lanciare un allarme del genere va ascoltato, anche se la mancanza di risultati della Honda ha sicuramente aiutato certe riflessioni (chi si lamenta quando vince?).
Dorna, negli ultimi anni, ha introdotto delle novità regolamentari per aumentare lo spettacolo livellando le prestazioni e nello stesso tempo contenere i costi. Avere fornitori unici per gomme e centralina elettronica è una scelta che va in questo senso, lo stesso si può dire per i regolamenti tecnici sui motori, così se agli esordi della MotoGP in pista c'erano tante architetture diverse (dai 3 ai 5 cilindri) ora si è arrivati a solo due: 4 cilindri, a V o in linea.
Il fatto che tutti e 6 i costruttori presenti siano riusciti a vincere almeno una gara nelle ultime stagioni è positivo, ma ora bisogna guardare oltre. Se il lavoro dei piloti è quello di portare al limite le moto, quello degli ingegneri è cercare lo spazio che le regole concedono per innovare. Ducati lo ha fatto e ha costretto gli avversari a seguirla. La scelta di vietare determinati dispositivi diventa quindi una decisione politica ancora prima che tecnica. Come successo in F1, dove si è deciso di tornare alle monoposto a effetto suolo per vedere di nuovo i sorpassi. La Dorna, però, al momento ha le mani legate perché ha appena firmato un nuovo accordo quinquennale con i costruttori fino al 2026 e per modificare il regolamento (a meno di ragioni di sicurezza) servirebbe il loro consenso unanime. Quindi la prima finestra è quella del 2027, vale a dire altri 4 anni senza poter cambiare nulla.
Dorna è comunque al lavoro e, nel peggiore dei casi, ci sarebbe la possibilità di fare alcuni interventi anche senza avere l'unanimità della Case. Tutti sanno che non è il secondo in più o in meno sul giro a interessare il pubblico, ma le battaglie, e che spesso alcune novità tecnologiche non vengono neanche avvertite, se non da un ristretto numero di appassionati. D'altra parte, ridurre le prestazioni non significa automaticamente aumentare la bagarre. Bisogna decidere cosa togliere, coscienti che una MotoGP attuale ha bisogno di alcuni "aiuti" per essere guidata in sicurezza. Far scomparire le ali non è pensabile, ridurre il loro effetto sì, magari intervenendo anche sulle prestazioni dei prototipi della classe regina, che stanno crescendo a ogni anno, tanto che alcuni circuiti potrebbero diventare presto inadeguati.
Come sempre in questi casi, l'arte del compromesso è essenziale. Gli ingegneri devono avere una certa libertà (perché le corse non sono uno strumento soltanto di marketing ma anche di sviluppo tecnologico), e ai piloti serve poter fare la differenza senza affidarsi totalmente alla tecnologia. Il rebus è di difficile soluzione, ma in ballo c'è il futuro della MotoGP.
notizia da: motociclismo.it
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