È diventata fondamentale e sta cambiando il modo di progettare una MotoGP. In passato le ali erano degli “accessori”. Oggi, insieme a sistemi più o meno visibili, sembrano nascere insieme al progetto
Flussi
Innanzitutto le ali, per funzionare bene, hanno bisogno di essere esposte a un “flusso indisturbato” e avere il maggiore allungamento possibile. Bisogna quindi ricavare dei volumi dedicati nel veicolo. Nelle vetture di F1, pur con tutti i limiti regolamentari, è possibile, montando le ali in posizione avanzata, all’anteriore vicino al terreno e a posteriore in posizione quanto più possibile elevata per accedere a un flusso “pulito”. Inoltre si può sfruttare la superficie del fondo vettura per generare ulteriore carico. In una moto è tutto più difficile per due motivi.
In primo luogo il corpo del pilota, che non può essere “scolpito” dagli ingegneri e si muove in continuazione, “sporcando” il flusso nella parte posteriore, rendendo questa parte del veicolo poco o affatto utilizzabile ai fini aerodinamici (ciò rende però i codini posteriori delle ottime “scatole” per contenere componenti di vario genere!). Oltre a ciò, a differenza delle auto, la moto cambia radicalmente inclinazione durante la percorrenza della curva. Questo rende difficilmente utilizzabili le ali ai fini di generare grip laterale. Ecco quindi spiegato perché la maggior parte delle appendici sono concentrate nella parte anteriore, salvo il cosiddetto “cucchiaio”, inserito nella parte inferiore del forcellone.
Le soluzioni adottate dai costruttori, a un occhio non esperto, appaiono molto diverse; alcune molto più simili alle ali tradizionali viste in F1, altre invece, sembrano condotti o deviatori di flusso, più che superfici alari. Come mai queste differenze? In parte incide il regolamento e le varie interpretazioni in merito al requisito di non avere superfici “taglienti” esposte, regola che ha contribuito alla comparsa di “scatole chiuse”.
Da corrieredellosport
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