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Aneddoti,interviste e storie curiose del MOTOMONDIALE

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    #76
    Dopo aver vinto, in anticipo, il mondiale Superbike con la Ducati 999 F06 a Borgo Panigale ebbero la felice idea di regalargli una partecipazione in motogp al posto dell'infortunato Sete Gibernau.
    In casa Ducati, addirittura, avevano pensato oltre: affidargli la nuova Desmosedici GP7 per fare un raffronto pratico tra la nuova 800cc e la 1000cc visto che era l'ultimo Gp della stagione e che la Illmor aveva portato la loro X3 da 800cc proprio per l'ultima gara dell'anno.


    2006 valencia troy bayliss motogp ducati

    Solo la mancanza di ricambi fece desistere il team rosso a portare in pista la nuova belva, quindi si ripiegò sulla GP6 con l'australiano fresco vincitore della Sbk e con la malsana idea di fare lo sgambetto agli ex colleghi.
    Sappiamo tutti come andò e Troy si prese una bella soddisfazione personale.
    da wheels and chassis

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      #77
      Ducati MotoGP e il motore PORTANTE

      Il lavoro nel box Ducati non era per nulla semplice, sin dalla Desmosedici GP3 si scelse la strada del motore portante quindi era lui il cuore e la parte centrale dell'ossatura.
      Una volta smontato "cascava" tutto quindi era un lavoro molto complesso e con tempi lunghi.
      Ricordo una intervista a Jeremy Burgess una volta arrivato nel box Ducati durante i test a Valencia nel 2010 dopo l'ultima gara della stagione, si sconcertò per la mole di lavoro che attendevano i suoi uomini (i componenti del team di Rossi passati dalla Yamaha alla Ducati) perché nel box Yamaha erano abituati a ricevere parti già assemblate e di doverle solo collocare sul telaio mentre in casa Ducati si smontava di tutto e di più e di pre-assemblato non c'era quasi nulla.


      ducati motogp gp3 motore portante

      L'anno dopo, nel 2011, sempre l'australiano dichiarò che il passaggio ad un telaio perimetrale in alluminio servì per due motivi: il primo per creare una moto con delle quote ciclistiche, ed annesse rigidezze, simili alle giapponesi visto che il regime di monogomma non lasciava spazio ad ardite scelte. Il secondo motivo era quello di facilitare le operazioni ai box, velocizzandole.
      In foto una Ducati Desmosedici GP6 che ritrae alla perfezione la mole di lavoro, ad occhio, che spettava ai meccanici di Borgo Panigale.
      da wheels and chassis

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        #78
        "Dar gas ogni giro e ogni curva, guidando con il cuore.
        Penso che questa sia la caratteristica che per me ha fatto la differenza rispetto ad altri. Molti piloti hanno guidato con la testa o pensando ai soldi. Io volevo vincere, essere veloce ogni giro e fare la pole ogni gara.



        Questo approccio forse non è stato il più intelligente ma è stato il modo con cui ho scelto di fare le cose. Difficilmente un team manager accetta una caduta quando hai 5 secondi di vantaggio sul secondo e tu vuoi portarli a 6, ma se poi alla fine da questi errori trai degli insegnamenti la settimana successiva l’episodio è già dimenticato. Certamente ci sono gare che rifarei in modo diverso se potessi tornare indietro. Gare in cui ho fatto errori ma, come ho detto prima, se dai tuoi errori trai insegnamenti allora è giusto che tu compia quegli errori.
        Io ho gareggiato a livello professionistico per meno di 10 anni e i risultati vengono per quello che si è fatto, credo di aver fatto bene."
        - Kevin Schwantz

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          #79
          "La moto aveva i suoi punti di di forza e i suoi punti di debolezza. Non aveva i valori di coppia motrice come le altre, non era reattiva in uscita di curva e, contrariamente a quello che tutti pensavano, non era facile da gestire.



          Aveva però moltissima potenza nel medio regime e cercai di sfruttare questa caratteristica quando potevo, per esempio lungo il rettilineo di partenza del Qatar nella gara d'apertura della stagione. Avevamo fatto un test soddisfacente la settimana prima, quindi sapevo di avere un buon potenziale, e lo confermai nelle qualifiche, quando mancai di appena 0,003 secondi la pole position conquistata da Valentino Rossi.



          La corsa fu praticamente un bagarre tra noi due lunga 22 giri, con Valentino che mi sorpassava nelle parti più strette dove io non riuscivo a piegare bene, e io che lo riagguantavo sul rettilineo semplicemente perchè non riuscivo ad avvicinarmi abbastanza per tentare il sorpasso all'uscita delle curve. Ogni volta che Valentino mi superava dovevo spingere al massimo anche solo per stargli sotto e poterlo passare di nuovo sul rettilineo. Sapevo che se non ci fossi riuscito il distacco sarebbe aumentato per il resto del giro e avrei perso il contatto. Pian piano lo stancai e negli ultimi tre giri cominciò a non starmi più dietro. Non mi resi conto che gli avevo dato un distacco, cosi continuai a spingere e nell'ultimissimo giro stabilii il mio miglior tempo in gara.
          Il vantaggio della Ducati sulla Yamaha in termini di velocità sul rettilineo era evidente, ma dall'esterno non si riesce a capire se una moto si comporta male in curva, quindi fan e giornalisti sentenziavano: <<Stoner poteva superarlo solo sul rettilineo>>.


          2007 casey stoner valentino rossi losail motogp

          Si, lo superavo li perchè era l'unico posto dove potevo farlo. Semplice." CASEY STONER

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            #80
            Mick Doohan: “Nel 1989, Eddie Lawson, quando arrivò alla Honda, dalla Yamaha, cambiò 11 telai: quella moto non piegava, non frenava, lo sterzo si scuoteva così tanto, che bisognava frenare due o tre volte prima che le pastiglie si riattaccassero ai dischi… In questi casi, non bisogna lamentarsi, ma alzare l’asticella e guidare oltre i limiti della moto. Ho grande rispetto per Lawson che riuscì a conquistare il titolo con quella moto."

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              #81
              dottor Costa su Barry Sheene: "Lo conobbi nel '72, ero a Imola per la prima volta in veste di medico. Allora c'era l'abitudine di visitare i piloti prima di ogni gara. Lui era ragazzino, venne dentro spavaldo e mi disse che era offensivo fargli una visita perchè, disse, 'io sono fantastico'. Rimasi affascinato,lo misi in guardia sui pericoli di Imola e gli chiesi solo il gruppo sanguigno. Lui mi rispose: 'Dottore, sei simpatico, ti faccio vedere che entro e faccio il record'. Allora chiamai i medici del Tamburello avvertendoli che un inglese con il numero 7 sarebbe caduto di lì a poco. Ma lui passò indenne. Mi chiamarono e mi dissero che mi ero sbagliato. Poi arrivò accompagnato dai medici della Piratella con una flebo e una clavicola rotta. Era la curva successiva. Tornando al posto medico mi sorrise e disse: ' non sono poi così fantastico'. L'amicizia tra noi si cementò anni dopo, quando nel marzo del '75 cadde a Daytona a 300 all'ora. Lo soccorsi io. Fu operato al femore. Rimasi con lui in ospedale per tre giorni. Poi smettemmo di contare le fratture. Quaranta giorni dopo tornò in moto a Salisburgo, ma allora si partiva a spinta e lui aveva il femore non ancora a posto. Chiese di partire per ultimo con la spinta di un meccanico. Glielo vietarono. Fu allora che capii che gli uomini con le loro leggi non comprendono la grandezza dei motociclisti".

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                #82
                dottor Costa su Franco Uncini: "In tanti vengono a dimostrarmi il loro affetto, compreso un altro ex pilota che mi rende orgoglioso della mia storia. Il suo dolce sorriso arriva prima delle parole. Ci abbracciamo e in quell'abbraccio mi assale prepotente un ricordo. Mi inerpico con il fiato corto lungo il pendio della curva Fahrerlager del circuito di Salisburgo, i cani poliziotti e i gendarmi in uniforme mi assalgono e mi minacciano, ma le poche parole in tedesco imparate in Germania quando ero ragazzo mi salvano. I gendarmi mi fanno passare ed entro in pista. La scena è sconvolgente: paglia sparsa dappertutto, moto qua e la ridotte in rottami. Cinque piloti sono distesi a terra in modo innaturale, cinque corpi gravemente feriti. Attraverso in un baleno la pista e li raggiungo. L'ansia mi assale, ma diventa subito mansueta, pronta ad aiutarmi forse più di ogni decisione razionale. Mi avvicino al primo corpo esanime, disteso su un letto di paglia, erba e terra. Sembra dormire. Il colorito blu-nerastro del volto e le labbra cianotiche mi fanno pensare che potrebbe non risvergliarsi più dal crinale di questa collina, dove la folla, sbigottita, non crede a quello che è appena successo. Poso le mie labbra sulle sue, socchiuse e immobili. Sospingo con forza il mio respiro dentro il suo torace che, espandendosi, timidamente si solleva. Ripeto più volte il gesto attendendo quel momento magico che vive ogni madre quando mette al mondo un figlio. Quell'attimo arriva, ma senza l'urlo che accompagna il primo respiro del neonato, perchè quando si nasce per la seconda volta non si grida più. Dopo che la vita ha ripreso ad abitare quel corpo mi rialzo dal bordo della curva, e sporco di paglia, erba e terra, mi incammino verso la Clinica Mobile, che esordisce proprio in quel drammatico giorno, il 1° maggio 1977, con l'orgoglio di aver salvato una vita umana. Dalla curva Fahrerlager del circuito di Salisburgo il pilota cui ho donato un soffio di vita si rialza, e camminando lungo il sentiero del coraggio, qualche anno dopo diventerà campione del mondo. Quel pilota, rinato sotto il cielo del circuito Austriaco, è Franco Uncini."

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                  #83
                  “Sognavo un giorno di essere in pista, magari di arrivare ultimo, ma volevo essere in pista."
                  La bella storia di un piccolo, grande uomo, Fausto Gresini: 21 Gran Premi vinti, due titoli mondiali da pilota in 125 e tre piazze d’onore. Da team manager ha portato all’iride Dajiro Kato nella classe 250, Toni Elias in Moto 2 e Jorge Martín in Moto 3. Nella classe regina, è stato vice campione del mondo in MotoGP con Sete Gibernau nel 2003 e 2004 e Marco Melandri 2005. Non tutti però sanno che, figlio di una famiglia operosa ma tutt’altro che benestante, spinto dalla passionaccia “de mutor” ha iniziato giovanissimo a lavorare come aiuto meccanico, nell’officina dei fratelli Guerra ad Imola. Per sgrassare le mani, ha consumato sapone in quantità industriale e ancora ringrazia gli amici che gli hanno permesso di gareggiare.



                  “Con la vittoria del primo Campionato del Mondo in 125cc, coronai un grande sogno. Sono stato felice di quello che ho fatto come pilota, avrei potuto fare di più ma la mia è stata una bella esperienza. Poi per un pilota non è facile decidere di finire la carriera e pensare di farsene un’altra: non avevo nulla se non la passione e un bel progetto sulla carta. Da team manager ho avuto l’onore e la soddisfazione di lavorare con tanti grandi campioni, Loris Capirossi, Alex Barros, Edwards, anche Gibernau, che per noi ha rappresentato tantissimo, come anche Marco Melandri, che in quegli anni con noi ha fatto grandissime cose. E poi naturalmente Marco Simoncelli e Kato, che erano davvero due piloti fantastici.
                  Quando accolsi al box il giovane Daijiro Kato noi parlavamo italiano e inglese, lui solo giapponese ma la cosa funzionava. Il primo anno fece una bella stagione e il secondo vinse il titolo con ampio margine. E dopo salimmo nella classe regina e fece subito dei buoni risultati. Ma al primo Gran Premio del suo secondo anno perse la vita. Quello fu un momento difficile. Ti chiedi fino a che punto ti piace davvero quel lavoro, se potevi fare qualcosa di diverso, t’interroghi su ogni azione che hai fatto per capire sei hai commesso qualche errore. Davanti ad un evento così drammatico, la mia fortuna è stata quella di essere stato un pilota e i piloti sanno qual è il rischio. Ho sempre pensato che lui ci avrebbe chiesto di continuare a correre. E alla gara successiva vinse il suo compagno di squadra, Sete Gibernau. Fu la nostra prima vittoria in classe regina come squadra.
                  Nel 2010 arrivò Marco Simoncelli ed eravamo felici di avere un ragazzo e pilota come lui – che al suo secondo anno iniziò a raccogliere i primi risultati - Fece due podi. Ma anche lì arrivò una domenica maledetta a portarselo via. Ho perso due piloti. Non è stata facile nemmeno la mia carriera da team manager. Non è mai semplice venire fuori da queste situazioni.
                  In questi 20 anni da team manager abbiamo scritto tante pagine di storia, rappresentiamo qualcosa di importante e ne siamo orgogliosi. Abbiamo riempito tutte le nostre giornate di motociclismo. Questo sport oggi è completamente diverso da com’era quando iniziai, ho vissuto l’evoluzione da pilota e da team manager. Si è fatto tanto per la sicurezza e per fare moto migliori. Tutti quelli che fanno il mio mestiere hanno contribuito a rendere il motociclismo migliore e ne sono orgoglioso perché ne faccio parte. Questa è la cosa più importante”.

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                    #84
                    "Cosa penso del dolore? Non mi piace. Ma lo sopporto. È inutile lamentarsi. Lo sopporto in silenzio. Diobò è meglio così. Il dolore dell'anima? È brutto, tanto brutto, ma dopo lo sconforto che deriva da questa cosa brutta, mi viene come una carica. Mi sento meglio e guido meglio la moto. Contro chi corro? Mi verrebbe da dire per battere gli altri. Poche pugnette non voglio stare dietro. Poi, se ci penso ti dico che corro perchè provo una sensazione unica, non te lo so spiegare, ma è qualcosa di speciale, nascosto dentro di me".
                    - Marco Simoncelli -

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                      #85
                      "Io non sono nato come medico. Sono nato all'amore per questo mondo, il mondo delle corse, e solo dopo ho dedicato a esso la mia professione. E quando mi sono accorto che i risultati, le riparazioni, le guarigioni avvenivano per le risorse che erano nascoste nell'essere umano, questa cosa mi ha esaltato ancora di più, perchè mi faceva pensare che se tanta ricchezza esiste negli esseri umani, poteva esistere anche dentro di me e dentro tutti gli altri che non correvano in moto. Quindi la moto diventava non solo un insegnamento di vita ma anche una testimonianza di come può essere vera la vita anche portandovi una cosa che oggi si aborrisce, il rischio." CLAUDIO COSTA

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                        #86
                        Originally posted by mito22 View Post
                        "Come mai in Ducati andava forte solo Stoner e gli altri no? Anche noi eravamo un pò sconcertati e non sapevamo spiegarcelo, gli altri piloti erano in difficoltà, non sentivano il davanti, la moto in curva faceva fatica a girare... e lui invece... cioè, lui piano piano... perchè comunque se guardi la sua storia in Ducati, il primo test che abbiamo fatto in Malesia aveva fatto pena, eh! Era andato pianissimo. Poi dopo, dopo l'inverno, siamo tornati in Malesia a fare i test, e da li ha cominciato a evolversi, ad andare forte.



                        Ma il primo test proprio, era stato penoso eh. Forse venendo dalla Honda doveva ancora abituarsi. Poi dal secondo test ha cambiato mentalità. Lui è bravo, come è bravo adesso Marquez, a adattarsi alla motocicletta. Cioè non sono più come i piloti di una volta, come ad esempio Valentino Rossi, che si costruiscono la moto intorno a loro. Questi vengono, montano sopra la motocicletta, ma sono loro che si adattano alla motocicletta. Ed è il metodo migliore per andare forte, adesso come adesso, perchè comunque una moto a questi livelli, con queste velocità, con questi cavalli che hanno... se non ti abitui tu alla moto non la cambi più, non la cambi assolutamente. Perchè comunque è impossibile avere una moto perfetta, e quindi bisogna che sia tu, pilota, a sopperire i problemi della moto."

                        Bruno Leoni (Capomeccanico di Stoner, in Ducati e poi in Honda).
                        ahahah ricordo ancora che all aprima vittoria 2007 (prima gara) ero un po' dspiaciuto che non avesse vinto capirossi...perchè li per li ,per me, quello da titolo era il capirex non stoner

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                          #87
                          Originally posted by luciocabrio View Post

                          ahahah ricordo ancora che all aprima vittoria 2007 (prima gara) ero un po' dspiaciuto che non avesse vinto capirossi...perchè li per li ,per me, quello da titolo era il capirex non stoner
                          Ma capirossi avevan ben GIA' vinto.. con Ducati...

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                            #88
                            Originally posted by mito22 View Post

                            Ma capirossi avevan ben GIA' vinto.. con Ducati...
                            nel senso che per il 2007 (visto il 2006 che per sfiga non ha lottato per il mondiale) puntavo su di lui...stoner chi caxxo era a confronto?
                            E la prima gara,vedendo stoner vincere,ricordo che pensai fosse meglio,per il mondiale,fosse arrivato primo capirossi...

                            "piccolo" errore di valutazione...

                            Alla terza gara avevo già sostituito nel mio cuoricino desmodromico il capirex con l'aussie

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                              #89
                              Originally posted by mito22 View Post
                              Dopo essere stato licenziato dal Team Yamaha ufficiale di Kenny Roberts, a causa del suo carattere turbolento e la difficilissima convivenza ai box Yamaha con il tre volte iridato Wayne Rainey, che lo rendevano difficile da gestire, nel 1993 Kocisnk cedette alle lusinghe della Suzuki, la quale, con la promessa di affiancarlo a Kevin Schwantz l’anno successivo, lo ingaggiò per correre la stagione nella 250cc. La Suzuki infatti sebbene da anni fosse presente nella classe regina, in 250cc non aveva mai ottenuto risultati di rilievo. Inoltre la 250cc rappresentava un ottimo veicolo commerciale per la casa nipponica che al tempo in catalogo aveva ancora la famosissima RGV gamma 250cc. John nei test invernali con la quarto di litro nipponica, si dimostrò velocissimo e venne considerato un vero “ammazza record”. La moto si dimostrò da subito dotata di una ottima ciclistica, ma con delle carenze nel propulsore. Nonostante tutto John Kocisnki e la Suzuki, iniziarono la stagione convinti di dominare la categoria. La verità si dimostrò invece differente: Tetsuya Harada, in sella alla competitiva Yamaha TZM si rivelò imbattibile anche per il fortissimo pilota dell’Arkansas. John si trovò quindi ad affrontare una situazione che non aveva considerato, aggravata dal fatto che Honda aveva schierato per quella stagione diverse moto ufficiali, tutte in mano a piloti giovani e competitivi (Loris Capirossi, Doriano Romboni e Max Biaggi), che fecero sì che Kocinski, dovesse lottare oltremodo semplicemente per agguantare un podio. Al GP di Assen del 1993, dopo un soffertissimo terzo posto John Kocinski appena tagliato il traguardo mandò volutamente fuorigiri il motore della propria moto, facendolo “esplodere”. Questo comportamento fu giustamente giudicato dai vertici Suzuki, altamente lesivo per l’immagine della Casa nipponica e Jonh Kocinski venne immediatamente licenziato. A quattro GP dalla fine del mondiale,



                              Per sua fortuna, la Cagiva, delusa dalle prestazioni dei suoi piloti, gli propose di terminare la stagione in sella alla C593 e John Kocinski ottenne per la casa italiana due quarti posti e la mitica vittoria di Laguna Seca.
                              In questa foto... l'ultima partenza.. in sella alla Suzuki di John Kocinski


                              1993 assen gp250 john kocinski suzuki rgv 250

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                                #90
                                Mick Doohan: "Non vincere il titolo 1992 è stato positivo perché mi ha dato la motivazione necessaria per ritornare a vincere."



                                - Dottor Costa: ''È una favola incredibile. Quanto in Olanda nel '92 cadde e si ruppe una gamba, aveva già vinto 5 gare. Gli proposi di venire in Italia a curarsi da noi, in un mese l'avrei rimesso in sella, invece si fece operare in Olanda. Sorsero delle complicazioni che portarono i medici a pensare all'amputazione della gamba. Mi chiamò, allora io noleggiai un aereo privato e andai a prenderlo. Avevo un amico in Olanda che mi procurò un'ambulanza e due infermieri: entrammo in ospedale, caricammo Mick e uscimmo per andare all'aeroporto. La cosa non destò sospetti, tranne che in Kevin Schwantz. Era anche lui lì, con un polso rotto e un'anca lussata. Disse: 'Dottore, vengo anch'io'. Portai tutti e due in Italia."
                                Giunto in Italia, il dottor Costa unì le due gambe di Doohan permettendo a quella sana di guarire quella ferita e ospitò il pilota australiano a casa sua, a Imola.
                                - Mick Doohan: "Avevo un enorme buco nella caviglia. Ci sarebbero voluti mesi per fare un trapianto di pelle tradizionale, oppure si potevano cucire le mie gambe assieme. Era una cosa abbastanza barbara e non era stata fatta da diversi anni, però era necessario. Normalmente, si devono anche avvitare le gambe, ma non andava bene per me perché avevo bisogno di risalire sulla moto. Dopo che le mie gambe rimasero cucite assieme per 14 o 15 giorni, mi fecero un piccolo taglio per vedere se la pelle sarebbe sopravvissuta e per fortuna fu così. Quindi poterono separare le mie gambe. Dopo un tempo che ci sembrò interminabile riuscimmo a salvare l’arto malconcio, e le due gambe, entrambe ferite e rattrappite, continuarono a vivere. Quell'anno, ero in testa al campionato e provai a tornare il prima possibile. Sul momento, uno non ci pensa tanto e va avanti".
                                Rientrato miracolosamente alle gare in Brasile, il pilota della Honda ottenne un dodicesimo e un sesto posto, che non gli bastarono per evitare il sorpasso in extremis di Wayne Rainey.
                                - Dottor Costa: ''Tornò a guidare che neanche camminava. Perse il titolo per un niente e io la ritenni un'ingiustizia, ma se non avesse perso, non avrebbe vinto così tanto dopo. È da quella sconfitta, da quella frustrazione, che è nato Mick Doohan. Sono le avversità, le ferite che ti fanno crescere''.

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