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Aneddoti,interviste e storie curiose del MOTOMONDIALE

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    #256
    CASEY STONER e LORIS CAPIROSSI





    Quando Stoner arrivo' alla Ducati e vide Loris Capirossi, gli ando' incontro con un foglio ed una penna per chiedergli un'autografo : "E' per un tuo amico?" - chiese Capirossi - "No" - rispose Casey - "e' per me!"

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      #257
      NICKY HAYDEN





      “Da bambino avevo un grande desiderio, non ho mai detto di voler diventare astronauta o presidente della repubblica, volevo solo essere un pilota di moto."

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        #258
        CASEY STONER



        Sono felice di ciò che ho realizzato, è molto più di quanto tante altre persone possano aver sognato e le opportunità che ho avuto sono state incredibili. Ad esempio ho potuto guidare una 500cc per la prima volta a Goodwood, era di Kenny Roberts Junior del 2002. Semplicemente incredibile.

        Sono deluso dal fatto che quando sono arrivato in MotoGP le 500cc non c’erano più. Credo che guidare un 2 tempi sia una forma d’arte. Tutte le mie moto sono a 2 tempi: la KX 500 del ’93, la CR 500 del ’96, la CR 250 del 2007 e la TM 300. La sensazione del 2 tempi rispetto a un 4 tempi è semplicemente diversa. Sono più difficili da guidare ma anche più eccitanti.”

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          #259
          MARCO SIMONCELLI



          "Secondo me una cosa che aiuta a vivere in modo comunque più coraggioso è avere un obiettivo.
          Che sia di qualsiasi tipo, di sport o di lavoro.
          Però Diobò se te hai nella testa un obiettivo, un qualcosa che devi raggiungere, secondo me ti aiuta ad andare avanti senza paura".

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            #260
            WAYNE RAINEY



            "Sono rimasto sorpreso dalla mia continuità del 1990: in fondo era soltanto il mio terzo anno in 500, e avevo un compagno del livello di Eddie Lawson, proveniente dalla Honda con cui aveva vinto il titolo. Il cambiamento fu legato a due fattori, il passaggio alle gomme Michelin, dopo due anni con le Dunlop: fui scioccato dal livello di prestazioni delle gomme francesi. E poi il cambio di sponsor del tabacco. Quando hai il marchio Marlboro, sei quasi obbligato a vincere. Mi sentivo a mio agio su quella Yamaha, ero pronto a giocarmela con Lawson e con chiunque altro.
            Con Lawson ci conoscevamo quasi dall’infanzia, sin dalle gare di Flat Track, anche perché veniamo dalla stessa zona. Lui si trasferì in Europa prima di me, seppe affermarsi e quando facemmo coppia nel Team Roberts, Eddie era già quattro volte campione, quindi sapeva cosa serviva per vincere, non si curava di chi fosse il compagno di team. Quindi i rapporti personali erano buoni, ma c’era inevitabile tensione: volevamo batterci a vicenda. Sin dai test invernali in Australia, studiavo i suoi cronologici, volevo batterlo, perché avrebbe significato vincere. Test o gara che fosse. Si vide dal mio primo GP in Giappone, decollai sin dalla partenza, gli altri mi videro soltanto al traguardo.
            Eddie però si infortunò subito: dopo i problemi fisici per la caduta di Suzuka con Mick Doohan, Eddie ebbe quell’incredibile incidente a Laguna Seca, dove rimase senza freni. Alla fine restarono Kevin Schwantz e anche Doohan: Mick finì alla grande.
            Di Brno, quando la vittoria mi diede il titolo, ricordo che soltanto sotto la bandiera a scacchi realizzai di essere campione. Ricordo che Lawson era rientrato e pensava che il team mi fornisse materiale migliore, quindi era arrabbiato con la squadra. Io proposi di mettere la mia carena sulla sua moto, così avrei guidato con il suo materiale, e a Eddie quell’idea non piacque. A me sarebbero bastati pochi punti per ottenere il titolo, ma volevo vincere. E lo feci. Eddie finì terzo e si rifiutò di salire sul podio.
            Era arrabbiato perché ero campione, o forse perché gli avevo detto che avrei guidato la sua moto, o perché forse gli piaceva essere arrabbiato. Non saprei.
            I titoli del 1991 e soprattutto del 1992 furono decisamente meno scontati: nel ‘91 tornammo alle Dunlop e andò bene perché la Michelin decise di limitare il proprio coinvolgimento nel Mondiale, mentre Lawson passò alla Cagiva. Credo di non aver mai guidato così bene come in quella stagione, non ho mai avuto tanta fiducia nei nostri mezzi come quell’anno. Non credo di essermi mai divertito tanto. Ma il titolo che mi ha emozionato di più resta il primo nel 1990, fu proprio un dominio: andai sempre sul podio a parte l’Ungheria, quando testammo nuovi freni e ci fu un guasto durante la gara. Nel 1990 fu tutto favorevole a me. Ricordo invece che gli altri piloti finivano spesso a terra in modo violento, con high side dovuti alla potenza delle moto, al grip e alla sensibilità delle gomme. La Honda propose di limitare la cilindrata a 375 cm³, con tre cilindri, per limitare le nostre performance. Noi opponemmo un rifiuto totale anche perché sapevamo che la Honda avrebbe potuto rivincere con il tre cilindri. Per fortuna si rimase con le 500. Il titolo del 1991 è stato il più divertente. Quello del 1992 il più impegnativo, a livello fisico. Mi infortunasti a fine 1991 nei test: una gamba fratturata, e faticai a ritrovare la forza e la mobilità alla guida. Poi nel precampionato commisi un altro errore, che mi costò un dito. Iniziò il Mondiale e Doohan e la Honda volarono via con il loro motore “big bang”, mentre la Yamaha fu l’ultima a realizzarne uno. Compresi che tutti, io, il team e la Yamaha, dopo due anni di dominio avevamo perso il passo. Poi Doohan ebbe l’incidente in Olanda, e io ebbi la possibilità di rimontare fino a sorpassarlo.
            Nel 1993 Kevin Schwantz era maturato, e questa volta la storica rivalità con lui non era per un GP, ma per il Mondiale. Tra noi i rapporti non erano fantastici, e ognuno ci teneva a battere l’altro. Alla fine commisi un errore, che mi è costato caro, fino a quel giorno ero stato in grado di indurre lui a sbagliare.
            Dopo l’incidente è stato difficile tornare nel paddock come team manager. Potessi tornare indietro, quella è una fase della mia vita in cui agirei diversamente. Utilizzai la disabilità come una sfida da vincere, come quando correvo. A me piacevano le sfide, se andavo male in qualifica, questo mi dava l’adrenalina per la gara. Dopo l’incidente, ebbi tante opportunità, tante persone erano pronte ad aiutarmi, e così decisi di tornare alle gare. Anche su una sedia a rotelle. Ma era una cosa differente, non essere più pilota ma lavorare con i piloti. A distanza di 25 anni, dico che avrei dovuto essere più paziente e comprensivo, perché ognuno fa le cose secondo il proprio modo. Era frustrante per me, a quei tempi, e allora decisi di tornare a casa. E mi sentii più leggero. Ma iniziai a fare i conti con la realtà e la vita di tutti i giorni, non fu un processo facile".

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              #261
              CASEY STONER





              “Nicky lo conoscevo da prima che diventassimo compagni di squadra, mi ha sempre concesso molto tempo, anche quando ero in 125 e 250 e lui correva già in MotoGP. Insomma Nicky c’era anche quando non ero nessuno. Era sempre felice di fermarsi per una chiacchierata e non aveva mai smesso di farlo.
              Come compagno di squadra era fantastico, ci siamo sempre divertiti molto. Abbiamo sempre apprezzato la nostra reciproca compagnia. Non smetteva mai di sorridere, neanche nei momenti più duri per lui, inoltre come pilota era sempre pronto nel giorno della gara. Sicuramente ci mancherà, nessuno ha mai detto niente di male nei suoi confronti. Ha sempre messo tutto quello che aveva nel suo lavoro ed era molto vicino alla sua famiglia. Questo diceva molto del suo carattere. Tutti volevano bene a Nicky ."

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                #262
                VALENTINO ROSSI





                "C'è stato un grande riavvicinamento con Casey Stoner, che mi manda spesso messaggi dall’Australia, mi chiede della bambina, ci siamo anche visti. E pure con Jorge Lorenzo, ormai è un amico, è venuto alla 100 km del Ranch, alla sera eravamo a ballare assieme. E persino un riavvicinamento con Max Biaggi. La rivalità con lui è stata forte. Ora ci salutiamo, parliamo reciprocamente bene l’uno dell’altro. È bello.
                Se crescendo ho capito il fastidio provato da Max vedendo un Rossi ragazzino arrivare a rubargli la scena? Sììììì, alla grande. Anche perché io non ero nessuno e lui era il numero uno in Italia e uno dei più forti al mondo e ho cominciato a rompergli le palle. Ero una carogna. Ma adesso tutto è passato, ci siamo riavvicinati. È stata una bellissima rivalità sportiva".

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                  #263
                  CASEY STONER





                  "Inizio stagione ...era la terza gara su cinque che chiudevo davanti a uno, se non entrambi, i piloti ufficiali Honda...diventai presto vittima del mio successo. La Michelin aveva iniziato a capire che me la cavavo con i tempi sul giro, soprattutto con le gomme consumate, cosi iniziarono ad usarmi come cavia. Mi facevano testare un determinato set di gomme per le prove libere e io ero contento e mi adeguavo subito. Poi, il giorno della gara, mi dicevano: "non puoi usare quelle, non resisterebbero fino alla fine". Insistevano perchè usassi delle gomme diverse e poi sulla griglia scoprivo che Dani o Nicky o qualcun altro montava le gomme con le quali avevo pensato di correre io. Per contratto ero obbligato a usare qualsiasi pneumatico decidesse Michelin.
                  Non era come oggi, dove a ogni pilota viene assegnato un set di pneumatici identici per tutto il weekend. All'epoca era lotta aperta. Davi il tuo feedback a Michelin e loro in teoria avrebbero dovuto decidere qual era la gomma migliore per ogni sessione. Potevamo testarne alcune nelle prove, ma per la gara erano loro a scegliere per noi. Non sapevamo mai che cosa ci sarebbe capitato: usavamo una gomma con un certo codice per tutto il fine settimana e poi in gara ci ritrovavamo un set con un codice diverso. Spesso capitava addirittura che la ruota anteriore non fosse accoppiata con quella posteriore. A volte nelle prove tutto funzionava bene, ma poi in gara inboccavo una curva e l'anteriore si piegava. Altre volte la gomma posteriore aveva troppa aderenza rispetto a quella anteriore. Io continuavo a spingere perchè ingenuamente mi fidavo di loro, ma questo mi causò alcuni gravi incidenti. Il primo fu al Mugello...La stessa cosa si ripete nella tappa successiva in Catalogna...quando l'anteriore si piegò ancora una volta. Mio padre racconta: "Quando ancora non eravamo entrati in MotoGP, guardando i Gran Premi avevamo sentito parlare di queste cosidette <guerre delle gomme> ma non avevamo mai capito quante implicazioni tattiche ci fossero dietro. In sostanza Michelin controllava il campionato e praticamente decideva chi doveva vincere, Per alcuni piloti facevano addirittura arrivare le gomme dalla francia in aereo nel giro di una notte! Casey non ha mai ricevuto questo trattamento di favore, lo so per certo. Se nelle prove montava delle gomme che lo rendevano tre o quattro decimi più veloce degli altri - e ci sono le tabelle a testimoniarlo se non ci credete, perchè questa è la verità - gliele ritiravano e le davano a un altro pilota. Poi andava in gara e quasi sempre gli si piegava l'anteriore. E il punto era che non lo mettevano nemmeno in guardia! ".
                  Papà aveva ragione. Cominciavo a sentirmi come un manichino da crash test e, via via che la stagione procedeva, la situazione peggiorava, finchè mi arrabbiai e iniziai a dare segni di insofferenza, guadagnandomi la reputazione del moccioso viziato. Non sto cercando scuse, ma ero veramente demoralizzato.
                  ....Continuai a lavorare sodo come facevo da una vita, e naturalmente continuai a cadere, attirandomi critiche feroci da parte della stampa e degli addetti ai lavori e conquistandomi il soprannome di "Rolling Stoner", che mi irritava parecchio. Ma io non ho mai voluto essere uno di quei piloti che galleggia intorno al decimo posto perchè non riescono a gestire l'anteriore e non capiscono perchè."

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                    #264
                    CASEY STONER





                    "La corsa al titolo si era ristretta a una lotta all'ultimo sangue tra Valentino Rossi e Nicky Hayden, con Valentino in testa di otto punti. In sostanza a Nicky sarebbe servito uno scenario alquanto improbabile - un incidente di Rossi - per vincere un campionato che aveva dominato per gran parte della stagione finché non era stato messo fuori gioco da Dani all'Estoril. Valentino era in gran forma quel weekend e si era qualificato in pole per qualche decimo di secondo, con Nicky quinto in griglia, perciò sembrava che fosse la sua grande occasione.
                    Ma non appena le luci si spensero, Valentino si trovò nei guai. Fui uno dei sei piloti che lo superarono al primo giro e se si guarda il filmato si vede quanta fatica faccia Valentino anche solo a tenere il nostro passo. Le gomme anteriori e posteriori non volevano saperne di collaborare tra loro, e al quinto giro quella anteriore inspiegabilmente si piegò e lui cadde, proprio dietro di me. È soltanto una mia teoria, ma credo che gli avessero dato una gomma difettosa. Non so perché qualcuno avrebbe dovuto farlo. Nello sport ci sono moltissimi interessi commerciali e potrebbero esserci centinaia di motivi per cui è accaduto, ma sono convinto che Valentino sia stato incastrato. Ricordo di aver rivisto la gara in motorhome quella sera pensando: 'Benvenuto nel mio mondo, amico.' ".
                    Last edited by mito22; 19-03-24, 09:08.

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                      #265
                      Originally posted by mito22 View Post
                      WAYNE RAINEY



                      "Sono rimasto sorpreso dalla mia continuità del 1990: in fondo era soltanto il mio terzo anno in 500, e avevo un compagno del livello di Eddie Lawson, proveniente dalla Honda con cui aveva vinto il titolo. Il cambiamento fu legato a due fattori, il passaggio alle gomme Michelin, dopo due anni con le Dunlop: fui scioccato dal livello di prestazioni delle gomme francesi. E poi il cambio di sponsor del tabacco. Quando hai il marchio Marlboro, sei quasi obbligato a vincere. Mi sentivo a mio agio su quella Yamaha, ero pronto a giocarmela con Lawson e con chiunque altro.
                      Con Lawson ci conoscevamo quasi dall’infanzia, sin dalle gare di Flat Track, anche perché veniamo dalla stessa zona. Lui si trasferì in Europa prima di me, seppe affermarsi e quando facemmo coppia nel Team Roberts, Eddie era già quattro volte campione, quindi sapeva cosa serviva per vincere, non si curava di chi fosse il compagno di team. Quindi i rapporti personali erano buoni, ma c’era inevitabile tensione: volevamo batterci a vicenda. Sin dai test invernali in Australia, studiavo i suoi cronologici, volevo batterlo, perché avrebbe significato vincere. Test o gara che fosse. Si vide dal mio primo GP in Giappone, decollai sin dalla partenza, gli altri mi videro soltanto al traguardo.
                      Eddie però si infortunò subito: dopo i problemi fisici per la caduta di Suzuka con Mick Doohan, Eddie ebbe quell’incredibile incidente a Laguna Seca, dove rimase senza freni. Alla fine restarono Kevin Schwantz e anche Doohan: Mick finì alla grande.
                      Di Brno, quando la vittoria mi diede il titolo, ricordo che soltanto sotto la bandiera a scacchi realizzai di essere campione. Ricordo che Lawson era rientrato e pensava che il team mi fornisse materiale migliore, quindi era arrabbiato con la squadra. Io proposi di mettere la mia carena sulla sua moto, così avrei guidato con il suo materiale, e a Eddie quell’idea non piacque. A me sarebbero bastati pochi punti per ottenere il titolo, ma volevo vincere. E lo feci. Eddie finì terzo e si rifiutò di salire sul podio.
                      Era arrabbiato perché ero campione, o forse perché gli avevo detto che avrei guidato la sua moto, o perché forse gli piaceva essere arrabbiato. Non saprei.
                      I titoli del 1991 e soprattutto del 1992 furono decisamente meno scontati: nel ‘91 tornammo alle Dunlop e andò bene perché la Michelin decise di limitare il proprio coinvolgimento nel Mondiale, mentre Lawson passò alla Cagiva. Credo di non aver mai guidato così bene come in quella stagione, non ho mai avuto tanta fiducia nei nostri mezzi come quell’anno. Non credo di essermi mai divertito tanto. Ma il titolo che mi ha emozionato di più resta il primo nel 1990, fu proprio un dominio: andai sempre sul podio a parte l’Ungheria, quando testammo nuovi freni e ci fu un guasto durante la gara. Nel 1990 fu tutto favorevole a me. Ricordo invece che gli altri piloti finivano spesso a terra in modo violento, con high side dovuti alla potenza delle moto, al grip e alla sensibilità delle gomme. La Honda propose di limitare la cilindrata a 375 cm³, con tre cilindri, per limitare le nostre performance. Noi opponemmo un rifiuto totale anche perché sapevamo che la Honda avrebbe potuto rivincere con il tre cilindri. Per fortuna si rimase con le 500. Il titolo del 1991 è stato il più divertente. Quello del 1992 il più impegnativo, a livello fisico. Mi infortunasti a fine 1991 nei test: una gamba fratturata, e faticai a ritrovare la forza e la mobilità alla guida. Poi nel precampionato commisi un altro errore, che mi costò un dito. Iniziò il Mondiale e Doohan e la Honda volarono via con il loro motore “big bang”, mentre la Yamaha fu l’ultima a realizzarne uno. Compresi che tutti, io, il team e la Yamaha, dopo due anni di dominio avevamo perso il passo. Poi Doohan ebbe l’incidente in Olanda, e io ebbi la possibilità di rimontare fino a sorpassarlo.
                      Nel 1993 Kevin Schwantz era maturato, e questa volta la storica rivalità con lui non era per un GP, ma per il Mondiale. Tra noi i rapporti non erano fantastici, e ognuno ci teneva a battere l’altro. Alla fine commisi un errore, che mi è costato caro, fino a quel giorno ero stato in grado di indurre lui a sbagliare.
                      Dopo l’incidente è stato difficile tornare nel paddock come team manager. Potessi tornare indietro, quella è una fase della mia vita in cui agirei diversamente. Utilizzai la disabilità come una sfida da vincere, come quando correvo. A me piacevano le sfide, se andavo male in qualifica, questo mi dava l’adrenalina per la gara. Dopo l’incidente, ebbi tante opportunità, tante persone erano pronte ad aiutarmi, e così decisi di tornare alle gare. Anche su una sedia a rotelle. Ma era una cosa differente, non essere più pilota ma lavorare con i piloti. A distanza di 25 anni, dico che avrei dovuto essere più paziente e comprensivo, perché ognuno fa le cose secondo il proprio modo. Era frustrante per me, a quei tempi, e allora decisi di tornare a casa. E mi sentii più leggero. Ma iniziai a fare i conti con la realtà e la vita di tutti i giorni, non fu un processo facile".
                      Amo quest'uomo. E anche Lawson, di cui prese il posto in Yamaha. Resto convinto che senza quell'incidente ai freni e il passaggio in Cagiva di Eddie, la lotta per il titolo nel '90, '91 e '92 sarebbe stata più difficile, per tutti. Ma va bene così, ognuno ha la sua epoca, e vincere quattro mondiali con le 500 2T di quei tempi, senza rimediare grossi problemi fisici e vincendo anche con Case diverse è stata una impresa vera.

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                        #266
                        Originally posted by mike1964 View Post

                        Amo quest'uomo. E anche Lawson, di cui prese il posto in Yamaha. Resto convinto che senza quell'incidente ai freni e il passaggio in Cagiva di Eddie, la lotta per il titolo nel '90, '91 e '92 sarebbe stata più difficile, per tutti. Ma va bene così, ognuno ha la sua epoca, e vincere quattro mondiali con le 500 2T di quei tempi, senza rimediare grossi problemi fisici e vincendo anche con Case diverse è stata una impresa vera.
                        Eravamo anche giovani e quindi si ha più nostalgia.....

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                          #267
                          CASEY STONER





                          “Durante la mia carriera, la gente ha fatto fatica a capirmi e io faticavo ad accettare la fama. Sono una persona tranquilla e non ho mai voluto essere famoso. Prima di tutto sono un pilota, non mi aspettavo le attenzioni della gente. Questa pressione mi ha tolto energie, ci ho messo un po’ ad abituarmi. Ora però la gente si è resa conto del fatto che io sono sempre stato onesto e diretto. All’epoca questa cosa non piaceva.

                          La stagione 2023 è stata bella. Osservare l'eccellenza è quello che preferisco. Bisognerebbe essere contenti quando si assiste all’ascesa di talenti generazionali. Se Dani, Jorge, Valentino mi hanno battuto all’epoca è perché non potevo dare meglio di quello che hanno dato loro”.

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                            #268
                            CLAUDIO COSTA DOTTORCOSTA





                            "Un pilota che, per la brillantezza e l'eccezionalità della sua guida si avvicina molto a Marquez, anche se la sua guida è più pulita, è Stoner. Casey l'ho conosciuto a fondo, perchè quando arrivò in Europa, ancora bambino venne a casa mia. Lo tenni con me per fargli capire che nutrivo nei suoi confronti lo stesso riguardo che avevo avuto per Mick (Doohan) e soprattutto perchè cadeva spesso, come Marquez agli inizi. Casey non aveva paura. Sicuro delle sue possibilità, si fidava della moto, anche nella parte più difficile, quella anteriore. Come Marquez, riusciva a mettere dritta la moto quando la ruota anteriore sembrava andarsene o se n'era già andata. Perchè più vai forte, più la ruota davanti vuole stendersi a terra e tu puoi correggerla solo con la forza del corpo e con l'abilità del talento speciale ma non sempre ci riesci. Stoner era uno di quelli capaci di farlo e come lui, Marquez. Qualcosa però ha minato la grandezza di Stoner: il mancato riconoscimento della propria grandezza.
                            E' successo anche ad alcuni grandi artisti... Tutti abbiamo bisogno del riconoscimento della grandezza, del talento... Se Stoner fosse stato italiano e si fosse chiamato Valentino Rossi, quanto sarebbe stato osannato dalla stampa, dalla televisone e dalla storia per quello che ha fatto? Sarebbe stato trattato come qualcosa di eccezionale, forse più di Valentino Rossi, perchè Stoner, come pilota era ancora più forte. Eppure nessuno si è impegnato a cantare le gesta di Stoner, ad applaudirlo pubblicamente. Non solo: tutti hanno continuato a riconoscere solo la grandezza di V.R. anche quando Stoner stava vincendo con la Ducati. Sono state dette molte cattiverie sul motivo per cui Stoner avrebbe lasciato il mondo delle corse. Dopo la guarigione dalla malattia scoperta per la mancanza dell'enzima che serve per digerire il latte e' tornato dopo aver rimarginato le sue ferite nel fisico e nella psiche - per tutte le cattiverie subite - ed ha dimostrato la sua grandezza vincendo un mondiale anche con la Honda. Di nuovo però nessuno ha riconosciuto la sua statura, il suo talento. Gli è stato riservato un trattamento ancora più crudele ed ingiusto di quello con la Ducati. A quel punto Stoner si è ritirato da quel mondo privando il motociclismo di uno dei maggiori talenti della nostra epoca."

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                              #269
                              EDDIE LAWSON





                              "Guardo sempre la MotoGP, è un bello spettacolo. Anche se a volte ci sono troppe investigazioni, limiti di pista ... Noi non avevamo niente di tutto ciò, a volte ci siamo toccati ma era concorrenza. Competiamo. Correre è questo. A volte si va lungo, ci si tocca. Penso che non sia giusto seguire la Formula 1 in queste cose. Non mi sarebbe piaciuto correre ora anche per tutta l'elettronica. Molti ragazzi adesso mi dicono 'Wow! Sarebbe bello guidare una 500 ...' Avevamo 3000 giri a disposizione. Ed eri tu a controllarli, non c'era l'elettronica. Solo tu e il tuo meccanico. Oggi le squadre sono enormi e costano molto. Ciò è dovuto anche all'elettronica. Quando il pilota si ferma, appare immediatamente un computer . 'Togliamo un po' di controllo di trazione, mettiamo più antiwheelie ...' Quelle cose li. Prima eravamo noi e il nostro meccanico. Eri tu a dover far funzionare la moto. Oggi sono tutti vicini, ma ai miei tempi la 500 era difficile da pilotare. Oggi penso che si può passare dalla Moto3 alla MotoGP e raggiungere tempi accettabili. È vero non vicinissimo ai tempi dei piloti migliori, ma più vicino di quanto fosse possibile ai miei tempi. Allora era difficile, ci ho messo un anno ad imparare. Anche se tu fossi stato Schwantz, Rainey, Gardner, Doohan… avevamo tutti bisogno di un anno per imparare a guidare una 500cc.
                              Al mio debutto nel Mondiale trovai Kenny Roberts ed è stato fondamentale per me. Mi disse: 'Penso che tu sia pronto per la 500.' Io ero impaurito. A Laguna la provai: si impennò a bandiera, chiusi il gas di colpo andando a sbattere il casco contro il cupolino e pensai: 'diavolo, ho firmato due anni per guidare questa moto!' Kenny mi tranquillizzò. KR scherza sempre ma quando c'è da lavorare è perfetto. Mi ha insegnato tutto facendomi partecipare ai suoi debriefing. Lui si fermava e diceva: 'Voglio la moto più bassa di cinque millimetri dietro, e tre click in compressione sulla forcella. E poi cambiatemi la terza marcia'. Imparai a fare lo stesso."

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                                #270
                                TROY BAYLISS





                                “Avevo già festeggiato il secondo dei miei tre Mondiali Superbike, ero già in vacanza quando mi squilla il telefono: “Sete Gibernau non può disputare l’ultima gara MotoGP a Valencia, facciamo correre te.” Non me la sono fatta ripetere due volte. Ero stato io, con Loris Capirossi, a far debuttare la Ducati Desmosedici. Avevo 37 anni, pensai che non avrei mai più avuto una simile opportunità in vita mia e che sarebbe stato un bel modo per chiudere la mia breve storia in MotoGP (ci ha corso dal 2003 al 2005, due anni con Ducati e l’ultimo in Honda, ndr). Ho chiesto di portare con me l’intero gruppo della Superbike: Davide (Tardozzi, il ds), Paolo (Ciabatti, responsabile progetto) ed Ernie (Marinelli, direttore tecnico). Sono partito da casa con l’idea che fossimo una squadra imbattibile, capace di qualunque impresa. Nel 2006 avevo corso solo con la Ducati 999 e non salivo sulla Desmosedici da due anni ma ho ripreso perfetta confidenza in pochi giri. Mi sentivo bene in sella. Neanche con le Bridgestone avevo mai girato, ma non c’è stato problema: in Superbike avevamo gomme stradali e con quelle della MotoGP mi sentivo in paradiso. Ho fatto tempi che non immaginavo, conquistando il secondo posto in griglia dietro Valentino Rossi che quella domenica si giocava il Mondiale contro Nicky Hayden. Nel warm up però non andava bene più niente, la moto non voltava, ero lentissimo. Avrei voluto ribaltare tutto ma Tardozzi mi ha tenuto calmo, secondo lui l’unico problema è che con il freddo del mattino le gomme non funzionavano bene. Intuizione vincente. Ho fatto una delle migliori partenze della mia vita e sono andato subito in testa. Che sta succedendo?, mi sono detto. Dopo qualche giro ho capito che mi sarei potuto giocare la vittoria, la mia prima vittoria in MotoGP. Che avrei potuto farli secchi. Ho messo la testa sotto al cupolino e ci ho dato dentro senza mai voltarmi, senza un attimo di indecisione. Volavo. Quando ho tagliato il traguardo il primo pensiero è stato: “Okay Troy, stai facendo felici un sacco di persone.” Mi sono venuti in mente Davide, Paolo e Ernie che intanto stavano impazzendo di gioia al muretto. E anche i miei avversari della Superbike avranno gonfiato il petto dicendosi che se ci ero riuscito io, un giorno ce l’avrebbero potuta fare anche loro. Avevo sempre sentito dire che in MotoGP c’erano marziani. Invece si potevano battere eccome, bastavano le condizioni. E il pilota giusto.
                                Se mi guardo indietro, posso dire che il 2006 sia stata la migliore annata della carriera. Ho chiuso con la MotoGP salutando tutti dal gradino più alto di Valencia. E mi è successa la stessa cosa due anni più tardi a Portimao: ho lasciato le corse da campione del Mondo (per la terza volta, ndr) sbaragliando l’ultima gara. Ritirarsi da vincenti è una sensazione indescrivibile, momenti che nessuno mi potrà mai portare via. Quella sera a Valencia ho festeggiato come mille altre volte: una cena e paio di birre (eufemismo) con gli amici stretti. Ero felice perchè sapevo che non era finita lì, che avrei continuato a vincere molto.”

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