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Microplastiche: ecco come le ritroviamo nel piatto

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    Microplastiche: ecco come le ritroviamo nel piatto

    Le microplastiche e le nanoplastiche sono dappertutto nella catena alimentare e potrebbero comportare rischi per la salute su scala globale. È l’amara conclusione di uno studio pubblicato lo scorso aprile su Trends in Analytical Chemistry dai ricercatori dell’Agenzia scientifica nazionale australiana (Csiro), che hanno analizzato la letteratura scientifica disponibile sulle microplastiche dal punto di vista della sicurezza alimentare.

    Lo studio mostra come la plastica e gli additivi in essa contenuti (come gli ftalati e il Bpa) possono essere trovati a diverse concentrazioni in molti alimenti: oltre al pesce, micro- e nanoplastiche sono state rilevate nella carne, nel riso, nell’acqua, nel cibo d’asporto e in frutta e verdura fresche. Le particelle di plastica, infatti, possono entrare nella catena alimentare in diversi modi, ad esempio per ingestione, come accade nel caso dei pesci, ma anche attraverso il packaging e la lavorazione.





    Il cibo fresco, per esempio, può essere plastic free quando è raccolto o catturato, ma contenere plastiche nel momento in cui è maneggiato, confezionato e arriva nelle nostre mani. – spiega Joost ‘Jordi’ Nelis, ricercatore dello Csiro e autore dello studio – Macchinari, taglieri, imballaggi di plastica possono tutti depositare micro- e nanoplastiche sul cibo che poi consumiamo. Questo studio evidenzia la necessità di capire quale plastica può finire nel cibo per gestire la sicurezza alimentare”.

    L’ingestione da parte dei pesci e la contaminazione durante la lavorazione e il confezionamento non sono le uniche vie di ingresso delle microplastiche nella catena alimentare. Un’altra strada è quella dell’agricoltura, attraverso i fanghi di depurazione utilizzati come fertilizzanti, che però possono contenere plastiche provenienti, ad esempio, dai vestiti in fibre sintetiche. Queste particelle possono accumularsi nel suolo, con possibili effetti deleteri sulle rese agricole e sugli ecosistemi.

    Come se la presenza in sé di micro e nanoplastiche nel cibo non fosse abbastanza preoccupante, bisogna considerare anche i possibili effetti degli additivi contenuti nella plastica (ritardanti di fiamma, metalli pesanti, ftalati, indurenti, ecc…) che possono migrare nell’ambiente e potenzialmente contaminare gli alimenti.

    Al momento, nessuno studio ha ancora dimostrato, in maniera chiara e definitiva, se le microplastiche nell’ambiente causino effetti negativi per la salute umana e quali danni provochino. Tuttavia la ricerca continua in tutto il mondo, anche per mettere a punto metodi per monitorare i livelli di micro- e nanoplastiche nell’ambiente e stabilire soglie di sicurezza per alimenti e bevande.

    L’informazione chiave mancante è la determinazione di livelli di sicurezza per le microplastiche. – sostiene Nelis – Al momento non sappiamo esattamente quale sia il flusso di microplastiche attraverso il sistema alimentare o quali livelli possano essere considerati sicuri”. Nel frattempo consumatrici e consumatori possono aiutare a ridurre l’ingresso di plastica nell’ambiente, scegliendo prodotti sfusi o con imballaggi plastic free, quando possibile, e lavando i vestiti sintetici un po’ meno spesso e usando cicli più corti.

    notizia da:ilfattoalimentare.it

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