Sta avendo un grande successo “Hanno ucciso l’uomo ragno - la leggendaria storia degli 883” diretta da Sydney Sibilia.
Arrivata su Sky con un importante lancio pubblicitario - ma senza le faraoniche fanfare a cui siamo stati abituati di recente - la serie racconta del successo del duo formato da Max Pezzali e Mauro Repetto, interpretati rispettivamente da Elia Nuzzolo e Matteo Giuggioli, due bravissimi attori in ascesa sentiremo parlare ancora a lungo (di recente Nuzzolo è stato anche il giovane Mike Bongiorno nell’omonima fiction di Rai 1).
In un’epoca in cui è difficile misurare il successo di una serie on demand, quello della serie sugli 883 è un fenomeno innegabile. Basta guardare a un fattore che fa gola alle piattaforme che infatti su questo spendono buona parte dei loro investimenti per la promozione: i social. Intorno alla serie sono nati meme, fancam, video su TikTok e si è generata anche qualche polemica, vera e propria cartina di tornasole della riuscita di una serie.
È diventato virale un post su X in cui si minimizzava l’impatto degli 883 nell’industria musicale degli anni novanta: in poco tempo il contenuto ha generato moltissimi commenti, risposte e interazioni, segno che l’argomento sta destando moltissimo interesse anche fuori dai circuiti in cui di solito si parla di serie televisive.
Quello di Hanno ucciso l’uomo ragno è successo non scontato dato che, a fronte di grossi investimenti sia nella produzione che nella promozione (cartellonistica, social, lavoro con gli influencer), molto spesso serie che possono godere di una promozione decisamente più importante fanno registrare risultati molto al di sotto delle aspettative, soprattutto se consideriamo che in questo caso i protagonisti sono due attori molto bravi ma praticamente sconosciuti al grande pubblico.
Scritta e diretta da Sydney Sibilia, la serie è decisamente ben scritta e ben girata, ma questi due fattori da soli non bastano a spiegarne il successo, dato che al fronte di una produzione di serie sempre che (possiamo definire senza timore di smentita) si rivelano prodotti scadenti, ce ne sono altre che sono obiettivamente ottime come Prisma, The Bad Guy, Pesci piccoli e altre serie di alto livello targate Sky.
I tre segreti del successo
Se la qualità non è solo l’unico elemento a spostare il favore del pubblico, perché Hanno ucciso l’uomo ragno sta piacendo così tanto?
C’entrano tre fattori che sicuramente saranno stati studiati a tavolino da produttori e network e che hanno contribuito alla riuscita di tutta l’operazione, uno di questi è sicuramente l’effetto nostalgia. Chi era molto giovane o addirittura bambino negli anni novanta, ora è una persona adulta e quindi un consumatore o una consumatrice in grado di spendere, specie se ha un abbonamento Sky.
Stiamo parlando dunque di un segmento di pubblico molto ghiotto per sponsor e inserzionisti che potrebbe in qualche modo giustificare l’investimento su un prodotto ambientato in quegli anni. Ma non basta. Già perché Hanno ucciso l’uomo ragno è anche una serie teen: parla infatti di due giovani ragazzi di provincia un po’ sfigati che, anche grazie al loro talento, riescono a raggiungere la fama e il successo; il fatto che sia una storia vera è un elemento in più, ma è quello decisivo: se è innegabile che l’argomento abbia generato un minimo di curiosità e che abbia portato molte persone a guardare i primi episodi, ciò che ha tenuto incollato il pubblico è il fatto di potersi immedesimare nei suoi protagonisti.
Impossibile non riconoscersi nella goffaggine del personaggio di Max Pezzali, nelle sue cotte non corrisposte, nella sua scarsa fiducia in sé stesso; impossibile non desiderare di avere accanto un amico come Mauro Repetto, sempre pronto a smorzare le tensioni con una battuta o un balletto sempre mosso da un sincero affetto nei confronti del suo amico Max. Volendo dirlo in una frase: Mauro Repetto è l’amico che tutte e tutti vorremmo.
E qui veniamo al vero ingrediente speciale, il tema attorno a cui ruota tutta la serie e che ha conquistato il pubblico: l’amicizia. È questo l’elemento centrale di Hanno ucciso l’uomo ragno, l’argomento che ci fa emozionare, palpitare e riconoscere anche quando questo si incrina. Basti pensare a un altro grande successo degli ultimi decenni, ovvero L’amica geniale di Elena Ferrante, saga che parla proprio di due amiche e di come il loro rapporto si sia evoluto negli anni.
Anche lì il fattore temporale è determinante - dato che le vicende di Lila e Lenù si intrecciano con i fatti storici che attraversano - e anche in quel caso la nostalgia e il ricordo fanno da cornice al racconto. Ma è l’amicizia tra le protagoniste che tiene tutto insieme come, a ben guardare, accade nella serie sugli 883 e nel documentario sugli Wham che arrivò su Netflix quasi un anno fa.
Ci sarà una seconda stagione (e magari una terza)
Sydney Sibilia ha già annunciato che ci sarà una seconda stagione di Hanno ucciso l’uomo ragno ma è difficile immaginare che la serie possa averne una terza. Resta da sperare che produttori e piattaforme abbiano capito la lezione: il pubblico vuole storie scritte bene, con un tema forte e che li colpisca al cuore. Tutto il resto è contorno e, forse, non vale la pena investire in campagne di promozione faraoniche se alla base di tutto non c’è una storia in grado di farci emozionare.
notizia da:today.it
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