Jason Momoa torna nei panni di Arthur Curry in Aquaman e il Regno Perduto, condotto in porto ancora una volta da James Wan. La nostra recensione del cinecomic DC / Warner Bros.
Diviso tra la vita sulla terraferma, al fianco del suo bambino appena nato, e il suo (noioso!) ruolo di Re di Atlantide, Arthur Curry alias Aquaman (Jason Momoa) forse si diverte persino, quando David Kane alias Black Manta(Yahya Abdul-Mateen II) mette le mani sul Tridente Nero e rischia di risvegliare un'antica minaccia. Una minaccia che mette a rischio l'intero pianeta, da sventare. Unica maniera per rintracciare il reo sarebbe chiedere al fratello Orm(Patrick Wilson), imprigionato dopo i fatti raccontati nel primo capitolo: ma nel mondo dei supereroi non c'è mai niente di definitivo, lo sappiamo... e il buddy movie è assicurato.
Si è fatto attendere diversi anni questo Aquaman e il Regno Perduto, sequel di quell'Aquaman che nel 2018 fu uno dei pochi film del DC Extended Universe a non floppare o comunque ad andare al di là delle aspettative, totalizzando 1.150.000.000 miliardi di dollari nel mondo: "numeri da Marvel" disse qualcuno. Sono questi altri tempi, per il cinema e per il genere del cinecomic?
In attesa della risposta del botteghino, una risposta provvisoria ce la dà orgogliosamente il regista James Wan, coautore del soggetto con lo stesso Jason Momoa. Per quanto riguarda la squadra dietro a questo come al precedente lungometraggio, nulla è cambiato: l'approccio di Wan verso il blockbuster non è diverso da quello per l'horror a basso costo. James punta il mirino sugli stereotipi di un genere, e preme il grilletto: anzi, non alza mai il dito dal grilletto di quella mitragliatrice.
Avete presente quando, davanti a un film con supereroi, il pubblico più esigente magari apprezza anche qualche risvolto della storia o dei temi, ma fa cadere le braccia sconfortato di fronte all'ennesima scena con un chiassoso scontro in computer grafica, un po' rintronante? Ecco, quel pubblico farebbe bene a tenersi alla larga da Aquaman 2, perché il rapporto d'importanza tra la narrazione e quelle scene in questo caso è ribaltato: se si vuole vedere il film, lo si fa per proprio per quella saturazione sensoriale, e molto meno per seguire la storia.
Storia che, beninteso, è davvero semplice ed elementare: se mai ci fossero dubbi o non si fosse ripassato lo "universe" di turno, ci sono occasionali spiegoni e flashback che ci ricollegano a quanto accaduto in precedenza. Tutto sommato Aquaman e il Regno Perduto mostra anche il pregio di una certa autosufficienza e un sapore conclusivo, non sappiamo quanto cercato apposta e quanto generato da una svolta, dal DC Universe che sta per ricevere il reboot dei nuovi DC Studios. Senza spoiler, c'è il sapore di un discorso chiuso, quasi Momoa e i suoi sapessero che in futuro qualche equilibrio narrativo (e produttivo) cambierà.
Nel frattempo si divertono a suon di "Born to Be Wild" e una sfacciataggine fuori controllo dello stesso Jason Momoa, che a volte sembra riecheggiare il Thor un po' sfatto di Chris Hemsworth nel climax degli Avengers, ma con soddisfazione. La Marvel viene puntualmente presa in giro, perché dopotutto il rapporto col fratello Orm non può non ricordare quello tra Thor e Loki, e così Arthur non si fa mancare di sfotterlo con l'appellativo di "Loki". Già che c'è, cita la prigione di Azkaban, per rimanere nella famiglia Warner Bros.
Se questo approccio scanzonato fosse più metodico si potrebbe chiudere la recensione in modo un po' intellettuale, vedendoci chissà quale provocazione autoriale, con quelle ipotesi apocalittiche stile "siamo arrivati all'implosione del cinecomic, è la fine". Ma la verità è che Wan e Momoa costruiscono un cinema semplice e leggerissimo, d'intrattenimento puro, con un tema ambientale che pare inserito quasi per scrupolo di coscienza in un oceano di cazzeggio. Punto. Ci vuol poco però a trasformare la leggerezza in evanescenza, per un'esperienza che rischia di essere rimossa dieci minuti dopo averla vissuta.
notizia da•comingsoon.it
Diviso tra la vita sulla terraferma, al fianco del suo bambino appena nato, e il suo (noioso!) ruolo di Re di Atlantide, Arthur Curry alias Aquaman (Jason Momoa) forse si diverte persino, quando David Kane alias Black Manta(Yahya Abdul-Mateen II) mette le mani sul Tridente Nero e rischia di risvegliare un'antica minaccia. Una minaccia che mette a rischio l'intero pianeta, da sventare. Unica maniera per rintracciare il reo sarebbe chiedere al fratello Orm(Patrick Wilson), imprigionato dopo i fatti raccontati nel primo capitolo: ma nel mondo dei supereroi non c'è mai niente di definitivo, lo sappiamo... e il buddy movie è assicurato.
Si è fatto attendere diversi anni questo Aquaman e il Regno Perduto, sequel di quell'Aquaman che nel 2018 fu uno dei pochi film del DC Extended Universe a non floppare o comunque ad andare al di là delle aspettative, totalizzando 1.150.000.000 miliardi di dollari nel mondo: "numeri da Marvel" disse qualcuno. Sono questi altri tempi, per il cinema e per il genere del cinecomic?
In attesa della risposta del botteghino, una risposta provvisoria ce la dà orgogliosamente il regista James Wan, coautore del soggetto con lo stesso Jason Momoa. Per quanto riguarda la squadra dietro a questo come al precedente lungometraggio, nulla è cambiato: l'approccio di Wan verso il blockbuster non è diverso da quello per l'horror a basso costo. James punta il mirino sugli stereotipi di un genere, e preme il grilletto: anzi, non alza mai il dito dal grilletto di quella mitragliatrice.
Avete presente quando, davanti a un film con supereroi, il pubblico più esigente magari apprezza anche qualche risvolto della storia o dei temi, ma fa cadere le braccia sconfortato di fronte all'ennesima scena con un chiassoso scontro in computer grafica, un po' rintronante? Ecco, quel pubblico farebbe bene a tenersi alla larga da Aquaman 2, perché il rapporto d'importanza tra la narrazione e quelle scene in questo caso è ribaltato: se si vuole vedere il film, lo si fa per proprio per quella saturazione sensoriale, e molto meno per seguire la storia.
Storia che, beninteso, è davvero semplice ed elementare: se mai ci fossero dubbi o non si fosse ripassato lo "universe" di turno, ci sono occasionali spiegoni e flashback che ci ricollegano a quanto accaduto in precedenza. Tutto sommato Aquaman e il Regno Perduto mostra anche il pregio di una certa autosufficienza e un sapore conclusivo, non sappiamo quanto cercato apposta e quanto generato da una svolta, dal DC Universe che sta per ricevere il reboot dei nuovi DC Studios. Senza spoiler, c'è il sapore di un discorso chiuso, quasi Momoa e i suoi sapessero che in futuro qualche equilibrio narrativo (e produttivo) cambierà.
Nel frattempo si divertono a suon di "Born to Be Wild" e una sfacciataggine fuori controllo dello stesso Jason Momoa, che a volte sembra riecheggiare il Thor un po' sfatto di Chris Hemsworth nel climax degli Avengers, ma con soddisfazione. La Marvel viene puntualmente presa in giro, perché dopotutto il rapporto col fratello Orm non può non ricordare quello tra Thor e Loki, e così Arthur non si fa mancare di sfotterlo con l'appellativo di "Loki". Già che c'è, cita la prigione di Azkaban, per rimanere nella famiglia Warner Bros.
Se questo approccio scanzonato fosse più metodico si potrebbe chiudere la recensione in modo un po' intellettuale, vedendoci chissà quale provocazione autoriale, con quelle ipotesi apocalittiche stile "siamo arrivati all'implosione del cinecomic, è la fine". Ma la verità è che Wan e Momoa costruiscono un cinema semplice e leggerissimo, d'intrattenimento puro, con un tema ambientale che pare inserito quasi per scrupolo di coscienza in un oceano di cazzeggio. Punto. Ci vuol poco però a trasformare la leggerezza in evanescenza, per un'esperienza che rischia di essere rimossa dieci minuti dopo averla vissuta.
notizia da•comingsoon.it
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