Autodromo di Monza, tutti i segreti della gara per bolidi senza pilota
Se fra qualche giorno, camminando nel Parco di Monza, vi capiterà di vedere monoposto che sfrecciano in pista senza nessuno dentro, non preoccupatevi. È normale (si fa per dire). Saranno le prove generali, al via dal 13 aprile, della Indy Autonomous Challenge, la competizione per mezzi robot riservata alle migliori università scientifiche del mondo. Gara a cui parteciperanno riunite in 7 o 8 team.
Per la prima volta si terrà su un circuito non americano: a gennaio a Las Vegas ha vinto il Politecnico di Milano. Fra il 16 e il 18 giugno andrà in scena in concomitanza con il Mimo (Milano Monza Open-Air Motorshow),dagli Usa nei giorni scorsi è arrivato il presidente della Indy Autonomous per i sopralluoghi: Paul Mitchell, fra i suoi tanti incarichi, è stato direttore dello sviluppo economico in Michigan e in Indiana.
Al primo anno sarà una sfida contro il cronometro nella quale ogni vettura si lancerà da sola come fosse una qualifica, da quello successivo, la partnership è triennale, si farà sul serio con una gara vera nel Tempio della Velocità. «Abbiamo iniziato con le competizioni nel 2020, finora soltanto su circuiti ovali, come Indianapolis o Texas Speedway. Il passo successivo per testare questo tipo di tecnologia va fatto su un tracciato completamente diverso.
Aiuterà a capire meglio come un computer sia in grado di guidare, e di prendere decisioni a 250-300 chilometri orari in una frazione di secondo. Tutto questo avrà grosse ricadute sull’industria automobilistica e non solo, per mettere a punto sistemi di sicurezza e di aiuto al guidatore». Le macchine derivano da quelle della serie americana Indy, i telai sono progettati dall’italiana Dallara. A governarle sono sofisticati algoritmi, laser, telecamere ad altissima risoluzione, visori. A programmarle sono i ricercatori universitari, è un Gp di cervelli dove vince chi sbaglia meno. «Ci serviva un posto adatto e Monza è stata la scelta naturale, non c’è una pista più famosa al mondo. Con Indianapolis, dove abbiamo cominciato, rappresenta la storia delle corse». E ora anche di quelle senza conducente.
Quali saranno le difficoltà che i supercomputer dovranno affrontare? «Rispetto a un ovale, le curve hanno cambi di traiettoria molto più insidiosi, ci sono forti frenate e lunghe accelerazioni. E anche i sorpassi sono diversi: devi calcolare il momento esatto della staccata, seguire un’altra vettura in scia, spostarsi di continuo. Per l’intelligenza artificiale è molto più impegnativo prevedere questo genere di scenari.
È un’attività ad altissima concentrazione di dati: ogni volta che una monoposto gira produce tre Terabyte». Quelli raccolti nel debutto a Monza saranno analizzati e inseriti nei simulatori, il segreto è nella correlazione fra il mondo reale e quello dell’asfalto. Un divertimento per soli ingegneri o c’è di più? «La maggior parte delle squadre sono formate da esperti di computer-science e di intelligenza artificiale, alcuni di loro nemmeno guidano un’auto in strada e non
avevano mai visto una corsa in tv. Adesso invece le seguono; le studiano per imparare le migliori strategie, per ricavare dati». E magari un giorno in F1, al posto di Verstappen, dominerà un computer. Mitchell ride: «Non credo proprio, forse in un futuro lontanissimo. Il pilota resta e resterà centrale, tuttavia credo che la nostra tecnologia possa aiutare la F1 a migliorare la sicurezza e a girare ancora più veloce di adesso. Se una F1 oggi avesse telecamere a 360 gradi in grado di trasmettere informazioni, come già avviene su un caccia militare, il pilota potrebbe prendere decisioni ancora più rapide ed essere più pronto in caso di incidente». Monza, qui comincia il futuro.
notizia da: Corriere della Sera (Milano) 31 marzo 2023
Se fra qualche giorno, camminando nel Parco di Monza, vi capiterà di vedere monoposto che sfrecciano in pista senza nessuno dentro, non preoccupatevi. È normale (si fa per dire). Saranno le prove generali, al via dal 13 aprile, della Indy Autonomous Challenge, la competizione per mezzi robot riservata alle migliori università scientifiche del mondo. Gara a cui parteciperanno riunite in 7 o 8 team.
Per la prima volta si terrà su un circuito non americano: a gennaio a Las Vegas ha vinto il Politecnico di Milano. Fra il 16 e il 18 giugno andrà in scena in concomitanza con il Mimo (Milano Monza Open-Air Motorshow),dagli Usa nei giorni scorsi è arrivato il presidente della Indy Autonomous per i sopralluoghi: Paul Mitchell, fra i suoi tanti incarichi, è stato direttore dello sviluppo economico in Michigan e in Indiana.
Al primo anno sarà una sfida contro il cronometro nella quale ogni vettura si lancerà da sola come fosse una qualifica, da quello successivo, la partnership è triennale, si farà sul serio con una gara vera nel Tempio della Velocità. «Abbiamo iniziato con le competizioni nel 2020, finora soltanto su circuiti ovali, come Indianapolis o Texas Speedway. Il passo successivo per testare questo tipo di tecnologia va fatto su un tracciato completamente diverso.
Aiuterà a capire meglio come un computer sia in grado di guidare, e di prendere decisioni a 250-300 chilometri orari in una frazione di secondo. Tutto questo avrà grosse ricadute sull’industria automobilistica e non solo, per mettere a punto sistemi di sicurezza e di aiuto al guidatore». Le macchine derivano da quelle della serie americana Indy, i telai sono progettati dall’italiana Dallara. A governarle sono sofisticati algoritmi, laser, telecamere ad altissima risoluzione, visori. A programmarle sono i ricercatori universitari, è un Gp di cervelli dove vince chi sbaglia meno. «Ci serviva un posto adatto e Monza è stata la scelta naturale, non c’è una pista più famosa al mondo. Con Indianapolis, dove abbiamo cominciato, rappresenta la storia delle corse». E ora anche di quelle senza conducente.
Quali saranno le difficoltà che i supercomputer dovranno affrontare? «Rispetto a un ovale, le curve hanno cambi di traiettoria molto più insidiosi, ci sono forti frenate e lunghe accelerazioni. E anche i sorpassi sono diversi: devi calcolare il momento esatto della staccata, seguire un’altra vettura in scia, spostarsi di continuo. Per l’intelligenza artificiale è molto più impegnativo prevedere questo genere di scenari.
È un’attività ad altissima concentrazione di dati: ogni volta che una monoposto gira produce tre Terabyte». Quelli raccolti nel debutto a Monza saranno analizzati e inseriti nei simulatori, il segreto è nella correlazione fra il mondo reale e quello dell’asfalto. Un divertimento per soli ingegneri o c’è di più? «La maggior parte delle squadre sono formate da esperti di computer-science e di intelligenza artificiale, alcuni di loro nemmeno guidano un’auto in strada e non
avevano mai visto una corsa in tv. Adesso invece le seguono; le studiano per imparare le migliori strategie, per ricavare dati». E magari un giorno in F1, al posto di Verstappen, dominerà un computer. Mitchell ride: «Non credo proprio, forse in un futuro lontanissimo. Il pilota resta e resterà centrale, tuttavia credo che la nostra tecnologia possa aiutare la F1 a migliorare la sicurezza e a girare ancora più veloce di adesso. Se una F1 oggi avesse telecamere a 360 gradi in grado di trasmettere informazioni, come già avviene su un caccia militare, il pilota potrebbe prendere decisioni ancora più rapide ed essere più pronto in caso di incidente». Monza, qui comincia il futuro.
notizia da: Corriere della Sera (Milano) 31 marzo 2023