IL TORMENTO DI IEVA L' UOMO CHE SCOPRI' MAX
ROMA - Dice che ha avuto paura. Lo dice con queste parole: "Ho avuto paura".
Alberto Ieva, tre volte campione italiano, erano gli anni Settanta. Nelle foto ? quello steso fuori dal sidecar, un prodiere senza trapezio e sotto non c' ? il mare, c' ? l' asfalto che corre a duecento all' ora. E' anche quello con la Malanca 50, venti centimetri fra la sua testa e lo spigolo d' un muro, i circuiti erano cos?, allora.
"Ma non ? stato l?, no l? non ci pensavo. E' successo un' altra volta, un giorno, in Germania, ero arrivato la mattina coi meccanici, avevo preso la moto che restava, l' ultima di tre.
Un freddo da non crederci, e io l? con due maglioni addosso.
Il circuito non lo conoscevo, l' ho imboccato alla rovescia. Fermati, riparti. Mi fermo, riparto. Ventitr? chilometri a giro, 180 curve. Era ghiacciato. Un po' pioveva un po' nevicava, mi ero messo in coda a un tedesco e quello spariva dietro ai dossi. Poi per sette, otto chilometri non incontro nessuno. Penso: e se casco, chi mi raccoglie qui? Arrivo al box, e mi fanno: a posto Ieva, quanti giri hai fatto? Uno. Come uno? Andiamo bene...". Dice che si sentiva un' uggia dentro, e rabbia. Allora ha preso la moto, l' ha buttata l? e ha detto ai tedeschi che non lo capivano, e agli italiani che lo capivano benissimo: "Andiamo male, invece. Qui ci correte voi, arrivederci". Nurburgring, primo maggio 1972.
"Ho avuto paura, e non me l' hanno perdonata. Morbidelli mi ha pagato la stagione, ? vero, era una persona seria. Per? dopo niente ? stato pi? come prima". Dice che ? contento ora di fare il capo dei motociclisti del Senato, a dicembre va in pensione e sono stati anni belli, questi, a girare per Roma a trenta all' ora dopo aver corso la vita a 300.
"L' ho fatto per la mia famiglia, quando ? nato mio figlio non c' ero, non ci sono stato mai.
I titoli, s?, e poi in squadra con Angel Nieto, 13 volte campione del mondo. Ma ora guardo Marco che ha 25 anni e penso: chiss?, magari era di questo che avevo paura. Di una vita normale".
Perch? la paura - dice Alberto Ieva che ci ? entrato dentro e si ? fermato a guardarla - "la paura ti corre accanto tutta la vita e non ? vero che devi solo essere pi? veloce di lei, in moto. Te la porti in sella sempre, accanto sempre, ed ? quando te ne accorgi che hai vinto davvero. Questi ragazzi, adesso, che dicono di non conoscerla dicono una bugia: per un fatto semplice, perch? se non hai paura, non puoi avere coraggio". Questi ragazzi sono soprattutto uno, Massimo - lo chiama lui: Massimiliano Biaggi. "E' una brutta storia, mi pesa e non so se ho voglia di parlarne.
E' che gli devo tanto, forse pi? di quanto lui deve a me. Io avevo chiuso con le moto, dopo aver visto morire Buscherini e Tordi, al Mugello, dopo la Germania. La mia stagione era finita: quando ho cominciato, nel '64 arrivavo a Vallelunga con una Morini, levavo la targa e il faro e partivo. Dopo le gare - c' era Agostini, c' era Pasolini - si andava al cinema, e il luned? a lavorare, in officina. Era un' altra storia. Poi sono arrivati i soldi, e quella roba l? ? finita.
Dall' 81 all' 89 non ho voluto nemmeno pi? leggere un giornale, niente. Poi ? successo che questo ragazzino che ci girava per casa, Massimo, mi ha detto portami a fare un giro, Alberto. Lui viveva da noi, praticamente, da quando i suoi si erano separati. Eravamo vicini di casa, facevamo le vacanze insieme, a Ventotene, lui e Marco erano sempre attaccati. Allora il padre gli prese una Cagiva C10, e io lo portavo a Vallelunga a vedere le corse.
Le avevo sepolte e sbagliavo: avevo un conto in sospeso con le moto, l' ho chiuso con lui. Eravamo sulla Sacrofanese, un giorno, lui aveva gi? l' Honda 125 ma non ancora 18 anni, io ero su una mille. Mi stava attaccato, ero al limite e non lo scollavo. Mi venne quasi paura". Appunto, paura. E allora? "Allora dissi al padre: Pietro, il ragazzo deve correre. E lui: ma no, far? come coi computer, poi si stufa. E invece non si stufava. Ma con le moto si possono anche fare i soldi?, mi chiedeva. Si pu?, si pu?. Il primo giro sul circuito di Vallelunga l' ha fatto con una tuta che aveva scritto 'Ieva' , e col mio casco. Un giorno gli ho detto: prendiamo un' Aprilia. Siamo andati a Firenze, da Mauro Noccioli, e in un pomeriggio per 250 mila lire ci hanno fatto un motore che era una bomba. Era l' 89".
Non ? una brutta storia, Ieva, ? bella. "Diventa brutta ora. Massimo era un guascone. Mangiava quando aveva tempo, dormiva quando si ricordava. Non si allenava, e alle gare dopo otto o nove giri si stancava, allungava le frenate, e cadeva. Fin? due gare sole, quell' anno. Io lo trattavo male, forse anche troppo. Poi il padre prese a dirmi: se cade ? per colpa tua. Non lo potevo sopportare che mi dicesse cos?, una volta ci siamo quasi picchiati.
Lo portai al motoclub di Ponte Milvio, loro ci videro dentro, se lo presero.
C' era una gara a Bari, Massimo mi disse: Alberto, io mi avvio con loro, tu vieni in treno. In treno? Era chiusa, la partita finiva cos?. Interessi, rivalit?: fiutavano l' affare in tanti, e faceva gola. Non l' abbiamo pi? visto, e sa cos' ? che mi dispiace ora, sa cosa?". Cosa. "Mi dispiace per lui. Perch? ? vero che adesso ? diverso, per correre devi avere i soldi, essere un figlio di *******. Ma non ? per tutti cos?, per Rossi non ? cos?.
Massimo invece ha fatto piazza pulita di tutto, ? rimasto solo. Lo vedo: deve dimostrare ogni minuto che vince, perch? se si ferma lo stritolano.
Mi chiedo, anche: dov' erano tutti quelli che ora gli stanno intorno quando aveva 12 anni, e stava tutti i giorni a casa nostra, a mangiare con noi, al mare con noi e se si tagliava con una bottiglia e gli mettevano i punti ero io a toglierglieli? Si ? fatto di ghiaccio, lo capisco. Ha detto: devo fare senza? Far? senza, del tutto. Mia moglie ci ha sofferto, mio figlio pure. Io son stato zitto. Per? mi dispiace, perch? la vita non sono Frizzi e Fiorello, quelli lo usano come passerella: quando non sar? pi? nessuno questi qua non li vede pi?. C' ? qualcuno che glielo spiega, a Massimo?".
Non saprei, Ieva. Forse. "Forse no. Mi scusi lo sfogo. Ecco vede, sono stato zitto otto anni e ora magari questa roba vista sul giornale sembrer? un' accusa, o un appello, una cosa interessata.
Io invece non voglio niente, voglio che le cose vadano bene per lui. Me la fa una cortesia?". Quale. "Lo scriva che ? venuta lei a cercarmi, che non l' ho chiamata io. Perch? ho paura che Massimo non capisca, ho paura che se ne abbia a male". Ha paura, certo.
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IL TORMENTO DI IEVA L' UOMO CHE SCOPRI' MAX - la Repubblica.it
ROMA - Dice che ha avuto paura. Lo dice con queste parole: "Ho avuto paura".
Alberto Ieva, tre volte campione italiano, erano gli anni Settanta. Nelle foto ? quello steso fuori dal sidecar, un prodiere senza trapezio e sotto non c' ? il mare, c' ? l' asfalto che corre a duecento all' ora. E' anche quello con la Malanca 50, venti centimetri fra la sua testa e lo spigolo d' un muro, i circuiti erano cos?, allora.
"Ma non ? stato l?, no l? non ci pensavo. E' successo un' altra volta, un giorno, in Germania, ero arrivato la mattina coi meccanici, avevo preso la moto che restava, l' ultima di tre.
Un freddo da non crederci, e io l? con due maglioni addosso.
Il circuito non lo conoscevo, l' ho imboccato alla rovescia. Fermati, riparti. Mi fermo, riparto. Ventitr? chilometri a giro, 180 curve. Era ghiacciato. Un po' pioveva un po' nevicava, mi ero messo in coda a un tedesco e quello spariva dietro ai dossi. Poi per sette, otto chilometri non incontro nessuno. Penso: e se casco, chi mi raccoglie qui? Arrivo al box, e mi fanno: a posto Ieva, quanti giri hai fatto? Uno. Come uno? Andiamo bene...". Dice che si sentiva un' uggia dentro, e rabbia. Allora ha preso la moto, l' ha buttata l? e ha detto ai tedeschi che non lo capivano, e agli italiani che lo capivano benissimo: "Andiamo male, invece. Qui ci correte voi, arrivederci". Nurburgring, primo maggio 1972.
"Ho avuto paura, e non me l' hanno perdonata. Morbidelli mi ha pagato la stagione, ? vero, era una persona seria. Per? dopo niente ? stato pi? come prima". Dice che ? contento ora di fare il capo dei motociclisti del Senato, a dicembre va in pensione e sono stati anni belli, questi, a girare per Roma a trenta all' ora dopo aver corso la vita a 300.
"L' ho fatto per la mia famiglia, quando ? nato mio figlio non c' ero, non ci sono stato mai.
I titoli, s?, e poi in squadra con Angel Nieto, 13 volte campione del mondo. Ma ora guardo Marco che ha 25 anni e penso: chiss?, magari era di questo che avevo paura. Di una vita normale".
Perch? la paura - dice Alberto Ieva che ci ? entrato dentro e si ? fermato a guardarla - "la paura ti corre accanto tutta la vita e non ? vero che devi solo essere pi? veloce di lei, in moto. Te la porti in sella sempre, accanto sempre, ed ? quando te ne accorgi che hai vinto davvero. Questi ragazzi, adesso, che dicono di non conoscerla dicono una bugia: per un fatto semplice, perch? se non hai paura, non puoi avere coraggio". Questi ragazzi sono soprattutto uno, Massimo - lo chiama lui: Massimiliano Biaggi. "E' una brutta storia, mi pesa e non so se ho voglia di parlarne.
E' che gli devo tanto, forse pi? di quanto lui deve a me. Io avevo chiuso con le moto, dopo aver visto morire Buscherini e Tordi, al Mugello, dopo la Germania. La mia stagione era finita: quando ho cominciato, nel '64 arrivavo a Vallelunga con una Morini, levavo la targa e il faro e partivo. Dopo le gare - c' era Agostini, c' era Pasolini - si andava al cinema, e il luned? a lavorare, in officina. Era un' altra storia. Poi sono arrivati i soldi, e quella roba l? ? finita.
Dall' 81 all' 89 non ho voluto nemmeno pi? leggere un giornale, niente. Poi ? successo che questo ragazzino che ci girava per casa, Massimo, mi ha detto portami a fare un giro, Alberto. Lui viveva da noi, praticamente, da quando i suoi si erano separati. Eravamo vicini di casa, facevamo le vacanze insieme, a Ventotene, lui e Marco erano sempre attaccati. Allora il padre gli prese una Cagiva C10, e io lo portavo a Vallelunga a vedere le corse.
Le avevo sepolte e sbagliavo: avevo un conto in sospeso con le moto, l' ho chiuso con lui. Eravamo sulla Sacrofanese, un giorno, lui aveva gi? l' Honda 125 ma non ancora 18 anni, io ero su una mille. Mi stava attaccato, ero al limite e non lo scollavo. Mi venne quasi paura". Appunto, paura. E allora? "Allora dissi al padre: Pietro, il ragazzo deve correre. E lui: ma no, far? come coi computer, poi si stufa. E invece non si stufava. Ma con le moto si possono anche fare i soldi?, mi chiedeva. Si pu?, si pu?. Il primo giro sul circuito di Vallelunga l' ha fatto con una tuta che aveva scritto 'Ieva' , e col mio casco. Un giorno gli ho detto: prendiamo un' Aprilia. Siamo andati a Firenze, da Mauro Noccioli, e in un pomeriggio per 250 mila lire ci hanno fatto un motore che era una bomba. Era l' 89".
Non ? una brutta storia, Ieva, ? bella. "Diventa brutta ora. Massimo era un guascone. Mangiava quando aveva tempo, dormiva quando si ricordava. Non si allenava, e alle gare dopo otto o nove giri si stancava, allungava le frenate, e cadeva. Fin? due gare sole, quell' anno. Io lo trattavo male, forse anche troppo. Poi il padre prese a dirmi: se cade ? per colpa tua. Non lo potevo sopportare che mi dicesse cos?, una volta ci siamo quasi picchiati.
Lo portai al motoclub di Ponte Milvio, loro ci videro dentro, se lo presero.
C' era una gara a Bari, Massimo mi disse: Alberto, io mi avvio con loro, tu vieni in treno. In treno? Era chiusa, la partita finiva cos?. Interessi, rivalit?: fiutavano l' affare in tanti, e faceva gola. Non l' abbiamo pi? visto, e sa cos' ? che mi dispiace ora, sa cosa?". Cosa. "Mi dispiace per lui. Perch? ? vero che adesso ? diverso, per correre devi avere i soldi, essere un figlio di *******. Ma non ? per tutti cos?, per Rossi non ? cos?.
Massimo invece ha fatto piazza pulita di tutto, ? rimasto solo. Lo vedo: deve dimostrare ogni minuto che vince, perch? se si ferma lo stritolano.
Mi chiedo, anche: dov' erano tutti quelli che ora gli stanno intorno quando aveva 12 anni, e stava tutti i giorni a casa nostra, a mangiare con noi, al mare con noi e se si tagliava con una bottiglia e gli mettevano i punti ero io a toglierglieli? Si ? fatto di ghiaccio, lo capisco. Ha detto: devo fare senza? Far? senza, del tutto. Mia moglie ci ha sofferto, mio figlio pure. Io son stato zitto. Per? mi dispiace, perch? la vita non sono Frizzi e Fiorello, quelli lo usano come passerella: quando non sar? pi? nessuno questi qua non li vede pi?. C' ? qualcuno che glielo spiega, a Massimo?".
Non saprei, Ieva. Forse. "Forse no. Mi scusi lo sfogo. Ecco vede, sono stato zitto otto anni e ora magari questa roba vista sul giornale sembrer? un' accusa, o un appello, una cosa interessata.
Io invece non voglio niente, voglio che le cose vadano bene per lui. Me la fa una cortesia?". Quale. "Lo scriva che ? venuta lei a cercarmi, che non l' ho chiamata io. Perch? ho paura che Massimo non capisca, ho paura che se ne abbia a male". Ha paura, certo.
fonte
IL TORMENTO DI IEVA L' UOMO CHE SCOPRI' MAX - la Repubblica.it
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