Già, per Kevin Schwantz, il mito, solo quel numero e quella moto (la suzuki rgv) sono il suo segno di riconoscimento. Perché dunque questo titolo? Per due motivi: il primo è perché di numeri uno c’è ne sono stati tanti, da Agostini a Roberts, da Lawson a Sheene, da Rainey a Doohan, ma di numero 34 c’è ne stato uno solo e, questo è il secondo motivo, c’e ne sarà solo uno, visto che la Dorna decise di ritirarlo dalla classe regina dopo il suo ritiro dalle corse avvenuto nel 1995. Come il Milan fece con Baresi, ritirando la maglia numero 6, segno non solo di un ciclo che finiva, ma di sincera dimostrazione di affetto verso un campione, così tutto il popolo delle due ruote rese omaggio a Schwantz, facendolo entrare di diritto nella leggenda del motociclismo.
La storia inizia nel Texas, dove Kevin nasce e cresce a suon di trial, cross e dirt-track. Ma è la pista il suo destino, e anche grazie al padre rivenditore di moto, esordisce nella velocità con una suzuki 600, marca che non lascerà mai più. Dopo campionati AMA e Superbike, approda in Europa nel 1986, al campionato TT ( Transatlantic Trophy ), sorta di sfida tra piloti statunitensi ed europei dove si fa notare per la sua grinta e per la sua propensione alle cadute. E’ poi dello stesso anno il debutto in motomondiale grazie alla supervisione di B. Sheene, che lo scova al TT e lo porta, in 500 ovviamente, sempre in sella alla suzuki, ad Assen, pista con la quale avrà sempre un rapporto particolare. L’anno seguente lo troviamo ancora impegnato nel campionato inglese, dove prende familiarità con piste quali Brands Hatch e Donington Park, ma soprattutto con un pilota, W. Rainey, che nel bene e nel male lo accompagnerà per tutta la sua carriera.
Dopo alcuni GP disputati, è il 1988 l’anno del debutto con una moto ufficiale, la famosa RGV a colorazione Pepsi, e i risultati si vedono subito con la prima vittoria a Suzuka. Anno che vede Lawson campione e….. Schwantz in clinica mobile per una clavicola rotta. Gli anni 89-90 servono a Kevin per fare esperienza, senza però abbandonare lo spirito combattivo ed imprevedibile che rimarrà il suo marchio di fabbrica, e che non gli risparmierà numerose cadute (spesso quando era in testa all’ultimo giro!), che gli procureranno sì la prima rottura del polso a Laguna Seca, ma anche numerose vittorie ed il secondo posto nel mondiale dietro all’acerrimo amico-rivale Rainey.
Siamo arrivati al 1991, e sebbene Schwantz non disponga di un mezzo pari a quello degli avversari, non nasconde le sue mire per il titolo, che gli sfugge comunque, anche se nella memoria di tutti rimane il sorpasso all’ingresso del Motodrom ad Hockenheim ai danni di Rainey, con la sua moto che perde nei lunghi rettifili del circuito tedesco, ma che al momento della staccata tira fuori tutto il suo talento misto a pazzia, con gli occhi fissi sulla mano destra dell’avversario, per cercare di frenare quell’attimo dopo, che porta si lui e la sua suzuki a ripetuti ondeggiamenti, ma che gli permette di passare primo sul traguardo. Intanto finisce terzo nel mondiale, dove si affaccia anche un giovane Doohan, senza però scoraggiarsi, e si prepara al mondiale del 1992, con la livrea divenuta ormai mitica della Lucky Strike. Anno di transizione questo, dove Kevin si frattura ancora la mano destra e finisce quarto nel mondiale. Nell’ambiente si vocifera che un pilota come schwantz, non potrà mai vincere un mondiale, perché troppo irruento, incapace di fare calcoli e di guardare più alla classifica del campionato che non a quella del singolo gran premio; insomma, un pilota bello da vedere, che fa impazzire la gente, ma non vincente.
La smentita arriva subito, infatti il 1993 è l’anno del mondiale, grazie anche ad una suzuki che migliora sul piano del motore, e ad un team che gli affianca un giovane pilota emergente: A. Barros.
Anche la sorte lo aiuta, o quantomeno la jella per una anno sembra guardare altrove, almeno fino al GP di Donington Park dove Schwantz, in piena rincorsa su Rainey per il titolo finale, viene tamponato da un irruente Doohan, che nella carambola tira dentro anche l’incolpevole Barros, facendo terra bruciata dell’intera squadra suzuki. Sembra ormai finita per Schwantz, che torna dall’Inghilterra senza neanche un punto e con un fisico estremamente provato dalla brutta caduta.
Ma si riprende subito, con vittorie (saranno 4 alla fine della stagione) e numerosi podi.Ma l’annata è macchiata dal gravissimo incidente a Rainey,proprio in Italia e a Misano per la precisione.
Quel giorno vince Cadalora, Kevin è sul podio, ma nessuno festeggia;il grande Rainey passerà il resto della sua vita su di una sedia a rotelle. Come ho già detto,a fine anno Schwantz vincerà il mondiale,ma la perdita agonistica del suo grande rivale gli lascia una ferita profondissima, dalla quale non si riprenderà più interamente.
Il 1994 inizia con il numero 1 per Schwantz, ma è una stagione difficilissima: si rompe per l’ennesima volta la mano tanto martoriata e centra l’ultima vittoria a Donington. L’epilogo è dietro l’angolo, e il destino, beffardo, lo porta fino a casa sua, nel gran premio di Laguna Seca, dove in seguito di un incidente si rompe ancora il polso e l’anca sinistra. Mentre inizia l’era Doohan, la stella di Schwantz è in declino. Segnato tanto nel corpo e nel fisico, ma soprattutto nella mente, decide di iniziare comunque la stagione 1995, ma di fermarsi, e l’annuncio del suo ritiro ha come sede il la sala stampa del Mugello.
Quanto avrebbe potuto vincere se avesse avuto una Honda? o se fosse stato più attento ai calcoli d’alta classifica? Sono domande che lasciano il tempo che trovano. Schwantz è e rimane un mito, a prescindere dal numero delle sue vittorie, perché il campione è tale quando è la gente a dirlo, e se provate a chiedere a qualsiasi appassionato di motociclismo chi è stato il più forte pilota della storia, alcuni vi risponderanno Agostani, altri Doohan, altri ancora Spencer o Nieto; ma se chiederete chi li ha fatti emozionare di più, facendoli amare questo sport, la risposta è una sola: Kevin Schwantz.
La storia inizia nel Texas, dove Kevin nasce e cresce a suon di trial, cross e dirt-track. Ma è la pista il suo destino, e anche grazie al padre rivenditore di moto, esordisce nella velocità con una suzuki 600, marca che non lascerà mai più. Dopo campionati AMA e Superbike, approda in Europa nel 1986, al campionato TT ( Transatlantic Trophy ), sorta di sfida tra piloti statunitensi ed europei dove si fa notare per la sua grinta e per la sua propensione alle cadute. E’ poi dello stesso anno il debutto in motomondiale grazie alla supervisione di B. Sheene, che lo scova al TT e lo porta, in 500 ovviamente, sempre in sella alla suzuki, ad Assen, pista con la quale avrà sempre un rapporto particolare. L’anno seguente lo troviamo ancora impegnato nel campionato inglese, dove prende familiarità con piste quali Brands Hatch e Donington Park, ma soprattutto con un pilota, W. Rainey, che nel bene e nel male lo accompagnerà per tutta la sua carriera.
Dopo alcuni GP disputati, è il 1988 l’anno del debutto con una moto ufficiale, la famosa RGV a colorazione Pepsi, e i risultati si vedono subito con la prima vittoria a Suzuka. Anno che vede Lawson campione e….. Schwantz in clinica mobile per una clavicola rotta. Gli anni 89-90 servono a Kevin per fare esperienza, senza però abbandonare lo spirito combattivo ed imprevedibile che rimarrà il suo marchio di fabbrica, e che non gli risparmierà numerose cadute (spesso quando era in testa all’ultimo giro!), che gli procureranno sì la prima rottura del polso a Laguna Seca, ma anche numerose vittorie ed il secondo posto nel mondiale dietro all’acerrimo amico-rivale Rainey.
Siamo arrivati al 1991, e sebbene Schwantz non disponga di un mezzo pari a quello degli avversari, non nasconde le sue mire per il titolo, che gli sfugge comunque, anche se nella memoria di tutti rimane il sorpasso all’ingresso del Motodrom ad Hockenheim ai danni di Rainey, con la sua moto che perde nei lunghi rettifili del circuito tedesco, ma che al momento della staccata tira fuori tutto il suo talento misto a pazzia, con gli occhi fissi sulla mano destra dell’avversario, per cercare di frenare quell’attimo dopo, che porta si lui e la sua suzuki a ripetuti ondeggiamenti, ma che gli permette di passare primo sul traguardo. Intanto finisce terzo nel mondiale, dove si affaccia anche un giovane Doohan, senza però scoraggiarsi, e si prepara al mondiale del 1992, con la livrea divenuta ormai mitica della Lucky Strike. Anno di transizione questo, dove Kevin si frattura ancora la mano destra e finisce quarto nel mondiale. Nell’ambiente si vocifera che un pilota come schwantz, non potrà mai vincere un mondiale, perché troppo irruento, incapace di fare calcoli e di guardare più alla classifica del campionato che non a quella del singolo gran premio; insomma, un pilota bello da vedere, che fa impazzire la gente, ma non vincente.
La smentita arriva subito, infatti il 1993 è l’anno del mondiale, grazie anche ad una suzuki che migliora sul piano del motore, e ad un team che gli affianca un giovane pilota emergente: A. Barros.
Anche la sorte lo aiuta, o quantomeno la jella per una anno sembra guardare altrove, almeno fino al GP di Donington Park dove Schwantz, in piena rincorsa su Rainey per il titolo finale, viene tamponato da un irruente Doohan, che nella carambola tira dentro anche l’incolpevole Barros, facendo terra bruciata dell’intera squadra suzuki. Sembra ormai finita per Schwantz, che torna dall’Inghilterra senza neanche un punto e con un fisico estremamente provato dalla brutta caduta.
Ma si riprende subito, con vittorie (saranno 4 alla fine della stagione) e numerosi podi.Ma l’annata è macchiata dal gravissimo incidente a Rainey,proprio in Italia e a Misano per la precisione.
Quel giorno vince Cadalora, Kevin è sul podio, ma nessuno festeggia;il grande Rainey passerà il resto della sua vita su di una sedia a rotelle. Come ho già detto,a fine anno Schwantz vincerà il mondiale,ma la perdita agonistica del suo grande rivale gli lascia una ferita profondissima, dalla quale non si riprenderà più interamente.
Il 1994 inizia con il numero 1 per Schwantz, ma è una stagione difficilissima: si rompe per l’ennesima volta la mano tanto martoriata e centra l’ultima vittoria a Donington. L’epilogo è dietro l’angolo, e il destino, beffardo, lo porta fino a casa sua, nel gran premio di Laguna Seca, dove in seguito di un incidente si rompe ancora il polso e l’anca sinistra. Mentre inizia l’era Doohan, la stella di Schwantz è in declino. Segnato tanto nel corpo e nel fisico, ma soprattutto nella mente, decide di iniziare comunque la stagione 1995, ma di fermarsi, e l’annuncio del suo ritiro ha come sede il la sala stampa del Mugello.
Quanto avrebbe potuto vincere se avesse avuto una Honda? o se fosse stato più attento ai calcoli d’alta classifica? Sono domande che lasciano il tempo che trovano. Schwantz è e rimane un mito, a prescindere dal numero delle sue vittorie, perché il campione è tale quando è la gente a dirlo, e se provate a chiedere a qualsiasi appassionato di motociclismo chi è stato il più forte pilota della storia, alcuni vi risponderanno Agostani, altri Doohan, altri ancora Spencer o Nieto; ma se chiederete chi li ha fatti emozionare di più, facendoli amare questo sport, la risposta è una sola: Kevin Schwantz.
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