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Alfredo Ravaldini, il "Valentino" dell'Urss

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    Alfredo Ravaldini, il "Valentino" dell'Urss

    copio ed incollo un bell'articolo scritto da Massimiliano Castellani, "stranamente" pubblicato sul quotidiano cattolico l'Avvenire


    Un Valentino Rossi nella "rossa" Russia comunista. Cinquant’anni fa per i motodromi dell’ex Unione Sovietica, impazzava in sella alla sua Isch 350 il romagnolo Alfredo Ravaldini.

    Un nome che ai più dice ben poco, del resto Ravaldini era sconosciuto persino alla memoria storica del motociclismo, Carlo Perrelli, il quale avrebbe continuato ad ignorarlo se nel 2002 a Mosca non fosse entrato casualmente in possesso di un volumetto, Fatti e cifre dello sport motociclistico sovietico. Grazie a quei dati statistici, ben annotati dalla vecchia nomenklatura dei soviet, ecco riaffiorare dal più gelido degli oblii la figura di quell’imprevedibile ragazzo di Gatteo Mare, classe 1919, di cui si erano perse le tracce in Italia dal 29 dicembre del 1942. Il giorno in cui il soldato Ravaldini in forza alle truppe del CSIR (Corpo Spedizioni Italiano in Russia) venne fatto prigioniero nella zona del Don. Per tre lunghi anni e altrettanti interminabili inverni, venne internato in Siberia come addetto al disboscamento e solo la grande pratica con i trattori gli consentì di uscire vivo da quella drammatica esperienza.

    «Eravamo 70 militari prigionieri quando entrammo nel '42, uscimmo sani e salvi solo in due il 3 marzo del 1946», raccontava commosso il centauro di Romagna che scampò alla morte per congelamento riscaldandosi con il motore del trattore e grazie alle cure di una donna che ricorda la protagonista del film I girasoli di Vittorio De Sica, in cui il soldato italiano Marcello Mastroianni venne salvato da una splendida ragazza russa. L’eroina che trasse in salvo Ravaldini come nel miglior plot di un romanzo rosa era stata la sua "carceriera" , la sottotenente dell’Armata Rossa Zinaida, che poi sposò e dalla quale ebbe tre figli.

    Come una bella favola a lieto fine, Alfredo una volta libero tornò a Gatteo per far conoscere alla sua famiglia la bella Zinaida e i figli. «Avevo 14 anni quando vidi Ravaldini per la prima volta - racconta Pietro Zani, direttore del Museo Amarcord di Gatteo. Per noi ragazzi del paese era quasi un personaggio eroico, una faccia d’attore con alle spalle una vita avventurosa. Tornò per aprire un’officina qui a Gatteo, ma gli affari non andarono bene e così si trasferì a Terni dove conobbe il campione di motociclismo Libero Liberati». Da Liberati, Ravaldini centauro e guzzista della domenica apprese i segreti del motociclismo professionistico e avrebbe sicuramente preso parte ai Gran premi del campionato del mondo se non fosse stato costretto a rientrare in Unione Sovietica. Sua moglie Zinaida, a causa dell’impegno politico con il partito comunista era stata bollata come "indesiderata" e immediato scattò il foglio di via dall’Italia. Cosi, quando nell’autunno del 1956 i carrarmati russi entrarono a Budapest, Ravaldini era già stato tesserato dal Moto Club di Leningrado. Un pilota di talento, fedele all’ottima tradizione italica che in quegli anni assisteva ai successi iridati nella 250 di Carlo Ubbiali in sella alla Mondial e Tarquinio Provini su Mv Agusta.

    E nel 1957 ci fu il trionfo mondiale sulla Gilera di Libero Liberati nella classe regina, la 500. Grazie proprio alla lezione di Liberati, Ravaldini si fece largo nell’arcipelago agonistico del campionato sovietico. Sfide tra eroi solitari del motociclismo, distanti nella loro galassia del socialismo reale dal resto del mondo, anche sportivo. Squadre rimediate e messe su in ristrettezza di mezzi con i piloti muniti di equipaggiamenti di fortuna. «Solo i piloti dell’Estonia - raccontava Ravaldini -, quindi più vicini all’area finlandese, riuscivano a procurarsi un miglior equipaggiamento. Noi per stivali avevamo quelli che erano serviti ai soldati dell’Armata Rossa». Ma con quegli stivali «il compagno Alfredo» pigiava sul pedale del gas sfrecciando in sella alla Isch 350 che con maestria da meccanico aveva elaborato con le sue stesse mani. «Prima che un pilota - dice Pietro Zani -, Ravaldini era un genio della meccanica. Alla fine della guerra si era messo ad elaborare anche i motori dei carri armati, trasformandoli da benzina in gasolio ed era riuscito a convertirli persino a carbone». La sua Isch era un portento da 30 cavalli e Ravaldini fiero si vantava: «A 7.000 giri raggiungeva fino ai 155 km/h». Un bolide che lo portava spesso a tagliare per primo il traguardo e alla fine di una carriera durata 12 anni (fino al 1969) ne collezionerà 40. Un fenomeno in sella alla sua rossa che i russi decisero di immortalare per sempre in un francobollo da 10 copechi emesso dal governo sovietico nel 1961. Con 12 successi si diventava "maestro dello sport" e quel riconoscimento Ravaldini se lo guadagnò ampiamente. Un titolo rarissimo per uno che non era nato nell’Unione Sovietica e che gli consenti di diventare anche "istruttore". «Ci davano 60 rubli in più per tenere lezioni di alta velocità - disse Ravaldini -. Le davo anche alle donne che avevano un loro campionato a parte, ma potevano gareggiare al massimo su una 125». Tutto era limitato sotto il regime comunista e anche i 60 rubli extra che percepiva da istruttore vennero presto requisiti da Krusciov che considerava quella somma «superflua». Ma a Ravaldini erano sufficienti i rubli che guadagnava con i piazzamenti e le vittorie nei motodromi di Riga, Tallin, Kiev, Kaunas, Viliandi e molti altri in cui la sua moto veniva salutata da migliaia di tifosi, gli appassionati dell’«Italiano». Anche quando poi passò alla bicilindrica S 358 nella classe 350, il campionato si svolgeva solo all’interno dei confini sovietici con qualche sconfinamento nei paesi socialisti come la ex Cecoslovacchia. Gran Premi spettacolari quanto quelli oltrecortina animati dai testa a testa dell’«Italiano» con il capitano dell’Armata Rossa, il campionissimo Sevastianov (vinse 7 titoli nella 350) e i forti Pilaev, Kiisa e Randla.

    Piloti sconosciuti al di là del muro di Berlino che ricevevano frammenti di notizie sulle gesta dei loro colleghi più ricchi e fortunati: gli inglesi John Surtees, Mike Hailwood, il rhodesiano Jim Redman e quel futuro recordman di Giacomo Agostini che si sarebbe laureato campione del mondo della 350 nell’ultima stagione in cui corse Ravaldini. Da lì in poi, l’«Italiano» per i russi sarebbe diventato l’ingegner Ravaldini. Sei anni di studi intensi e 65 esami sostenuti in russo perfetto all’università di Puskin gli permisero di laurearsi a 56 anni. Un titolo in più, dei tanti conseguiti sulle piste per continuare a lavorare fino alla pensione nell’Istituto Tecnico di Leningrado come specialista di pompe e iniettori per motori diesel. A differenza di un diesel, però, Ravaldini aveva vissuto sempre scattando subito rapido in pole, pigiando forte il piede sull’acceleratore fino all’ultima curva della vita che cinque anni fa lo riportò nella sua Romagna. Ora riposa per sempre nel piccolo cimitero di Gambettola e la poca gente che passa davanti alla sua tomba non sa che è quella dell’«Italiano», un Valentino di Russia del secolo scorso, che in sella a una moto era riuscito a superare anche la storia.


    E Gatteo gli dedica un museo

    Le gesta e soprattutto le moto dell’epoca in cui correva Alfredo Ravaldini rivivono nelle sale del Museo Amarcord (sito: www. hobbyautoemoto.it) nel suo paese natale, Gatteo (Fc). Uno spazio molto suggestivo dal nome felliniano che consente di fare un salto nel passato per toccare con mano quei bolidi, gioielli del motociclismo degli anni '50-'60. Il museo è stato ideato da Pietro Zani che in collaborazione con i figli Alessandro e Werther ogni anno accolgono quattromila visitatori appassionati di moto storiche a cominciare dalle sovietiche Mz, lo scooter Cz e una rarità come il sidecar ungherese Pannonia. Inoltre il Museo vanta una splendida collezione di Microcar , le antenate della Smart, come la sovietica tre ruote Velorex ,motore Yawa del 1955 completamente in pelle, l’Isetta Bmw, la Messerschmitt e la Kpr 200.
    Last edited by Potanik74; 30-07-07, 16:34.

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    #2
    bellissima questa storia e sicuramente un grande uomo e pilota

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      #3
      PHIL, VIRGILIO LO CONOSCETE VOI???

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