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    #136
    That Petrol Emotion: Manic Pop Thrill

    C'erano una volta gli Undertones, gruppo di Derry in diretta competizione con i Buzzcoks per il titolo di punk band pi? "poppettara" del Regno Unito: alla voce un giovane e gi? tenorale Feargal Sharkey, alle chitarre i fratelli Damian e John O'Neill, per un coacervo di pop/punk bizzarro ed infettivo. Da quel confronto gli Undertones escono forse sconfitti in popolarit?, ma non certo nella stima della critica, che li considera ancora oggi tra i migliori gruppi Nordirlandesi di ogni tempo: merito di un grande album d'esordio (1979), di un piccolo hit adorato da John Peel ("Teenage Kicks") e di una leggendaria resa dal vivo.

    Gli Undertones si sciolsero nel 1983, e i due fratelli O'Neill (con John che adotta il suo vero nome, Sean) diedero vita gi? l'anno successivo ai That Petrol Emotion, aggregando il concittadino Re?mann O'Gormain alla chitarra, Ciaran McLaughlin alla batteria ed un cantante americano (Steve Mack). Con questa lineup danno alle stampe nel 1986 un album scintillante, quello che ci interessa in questa sede: Manic Pop Thrill.

    Che non ? solo un album punk, n? solo un disco rock, o pop: Manic Pop Thrill non ? nulla che possa essere definito con comode formulette: ? piuttosto sintesi mirabile del lustro che lo ha preceduto temporalmente ed in parte anticipazione del successivo. Qui dentro c'? il pop pi? suadente del decennio (Natural kind of joy, tenerissima ballata per innamorati su base di tastiere in fiore che un Mack ai limiti della sopportazione canta come se avesse il raffreddore), gli echi di un punk rabbioso ed ancora vicinissimo (Can't Stop), furia iconoclasta (il furore di Lifeblood, circondato da suoni di chitarra in esplosioni controllate e poi ricomposte dalla base ritmica); c'? una ballata sognante e perfettissima come A million miles away che scioglie chitarre e tastiere in una massa zuccherina indistinta, c'?, soprattutto, la conclusiva Blindspot, cinque minuti e mezzo di estasti narcotizzante, con basso e batteria ad intrecciare un tessuto ritmico che la chitarra di O'Neill decora con ghirigori di noncurante bellezza. C'? il rock "irlandese" degli U2 e ci sono le derive rockabilly frammentate della splendida Mouthcrazy.

    "Manic Pop Thrill" vibra soprattutto di un'urgenza rabbiosa ed espressiva, un'incazzatura vivissima, un impegno politico militante espresso nei testi e nelle note che accompaganno il disco (un saggio sul malgoverno scritto all'inizio del secolo scorso ed attuale tanto nel 1986 quanto oggi). C'? una base ritmica solida e potente, una chitarra che si fa liquida e concreta con magnifica versatilit?, un cantante eclettico e deciso: tutto il disco esprime nella sua frammentazione un'idea forte ed unificatrice, che ricompone il "rock" da un mosaico di stili ed influenze mentre infila uno dietro l'altro una serie di gioiellini sonori troppo belli per essere veri.

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      #137
      EDO HAI GIA' PARLATO DEI ROCKETS

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        #138
        La storia dei Rockets ha inizio nei primi anni 70, con la nascita dei Crystal, embrione di quello che poi, nel 1975, diventer? il gruppo che abbiamo imparato ad amare nel corso degli anni. Dopo una serie di avvicendamenti, la formazione "storica" dei Rockets ? universalmente riconosciuta in quella composta dal frontman Christian Le Bartz, il chitarrista Alain Maratrat, il bassista e cantante Gerard L'Her, il tastierista Fabrice Quagliotti ed il batterista Alain Groetzinger.

        Nel corso degli anni i Rockets diventano sempre pi? famosi in Italia, tanto da dare vita ad una serie di tour ricchi di date e con enorme successo di pubblico. Il look da alieni argentati, la musica rock con sonorit? elettroniche, gli spettacoli ricchi di effetti speciali innovativi per l'epoca rese i Rockets un fenomeno unico nel panorama musicale mondiale. Gli album Plasteroid e Galaxy saranno per sempre ricordati come tra i migliori del gruppo. Ma i fan sono affezionati anche al primo album omonimo, cos? come all'album On the Road Again, e ai pi? recenti 3,14 ed Atomic.

        Nel 1982 i Rockets cambiano rotta. Le Bartz lascia il gruppo, sostituito dal cantante Sal Solo (ex Classic Nouvox). Rilasciano l'album Interception. In seguito anche Groetzinger e L'Her decidono di ritirarsi. Quagliotti e Maratrat, sempre con Solo, producono One Way. Nel 1992 esce Another Future, che comprende nuovi brani insieme a vecchi successi remixati.

        Nel 2002 Quagliotti rilancia il nome Rockets, realizzando in collaborazione con il cantante Luca Bestetti (LBM) il CD Don't Stop, coprodotto da Fabrice con J.T. Vannelli.

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          #139
          Pierre Boulez (Montbrison, 26 marzo 1925) ? un direttore d'orchestra, compositore e saggista francese.

          Dopo aver iniziato gli studi di Matematica a Lione, li abbandon? per intraprendere quelli musicali presso il Conservatorio di Parigi sotto la direzione di Olivier Messiaen e Andr?e Vaurabourg (moglie di Arthur Honegger). Apprese e approfond? la tecnica dodecafonica sotto la guida di Ren? Leibowitz.

          Nel 1970 il presidente Georges Pompidou chiese a Boulez di creare e dirigere un istituto per l'esplorazione e lo sviluppo della musica moderna: nacque cos? l'IRCAM, di cui rimase direttore fino al 1992.
          Dal 1976 al 1995 Boulez tenne la cattedra di "Invention, technique et langage en musique" presso il prestigioso Coll?ge de France.

          Come direttore d'orchestra egli si prodig? per far conoscere gli autori del Novecento, da Debussy a Mahler a Schoenberg a Stravinsky a Bart?k a Webern a Var?se, e in seguito anche Frank Zappa.

          Dal 1971 al 1977 fu direttore artistico della New York Philarmonic Orchestra.
          Nel 2002 ha ricevuto il prestigioso Glenn Gould Prize per il suo contributo musicale. Attualmente ? il Direttore ospite principale della Chicago Symphony Orchestra. Egli continu? a comporre secondo uno stile seriale post-weberniano, rivelando nel contempo l'ampio influsso del maestro.

          Con il provocatori slogan "Schoenberg est mort!" assieme al tedesco Karlheinz Stockhausen e al belga Henri Pousseur oper? il radicale tentativo di serializzare ogni fattore costitutivo della composizione, non solo le altezze, ma anche durate, dinamiche, timbri, modi di attacco ecc. portando alle estreme conseguenze il puntillismo di Anton Webern.

          Come compositore Boulez torna spesso a revisionare i propri lavori, che restano in molti casi delle "opere aperte", sia per un maniacale perfezionismo, sia in quanto il legame tra composizione e tecnologie elettroniche in rapidissima evoluzione rendono le opere stesse periodicamente aggiornabili. Per esempio, l'ultima delle sue tre sonate per pianoforte ? in costante revisione sin dalla sua prima esecuzione nel 1957, e solo due dei suoi cinque movimenti sono stati pubblicati, cos? come il suo brano per flauto e nastro magnetico ...explosante-fixe... fu scritto nel 1970 e completamente rivisto alla luce della sfruttabilit? del live electronics negli anni '90.

          Il suo catalogo include sia opere vocali che strumentali. Seguendo la strada di Edgar Var?se e Pierre Schaeffer fu pioniere nell'esplorazione della musica elettronica.
          Last edited by edorsv99; 23-02-07, 13:50.

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            #140
            ?Lark?s tongues in aspic? non ? semplicemente un disco. E? una delle espressioni pi? alte del prog mondiale. E? una grande dimostrazione di forza da parte di uno dei pi? leggendari gruppi di tutti i tempi: i King Crimson.

            Gi? l?attacco esotico con il percussionista Jamie Muir ci cala in un?atmosfera magica: inizia la suite omonima che ? divisa in due parti (inizio e fine disco).
            Robert Fripp ? sempre pi? la mente creativa del gruppo e prender? per mano i suoi compagni di viaggio verso sonorit? che vanno dritte all?anima. Che lasciano pensare. Che pongono interrogativi.

            E? musica che unisce perfettamente, o meglio ?crimsoniamente?, arte e tecnica: l?abilit? del batterista ex Yes Bill Bruford si intreccia alle evoluzioni musicali del violino di David Cross: saranno molti, e non solo in ambito prog, a rifarsi a queste sonorit?. Emoziona il vociare confuso con il violino che incalza per dare spazio al mellotron: sembra quasi che questo strumento sia stato inventato per i King Crimson.

            Finisce la prima parte della suite che uno ? ancora l? fermo a pensare: ma non c?? tempo, come in molti dischi dei King, ogni pezzo sembra essere attaccato agli altri, ma allo stesso tempo in grado di farsi strada e stagliarsi il proprio spazio: la voce di Wetton si alterna ad una chitarra delicata. The ?Book of Saturday? ? pura poesia e fa respirare prima dell?attacco cupo di ?Exiles?, altro pezzo da brividi: Wetton non fa rimpiangere il pur grande Lake. Poi ? la volta di ?Easy money?, canzone colta ed impegnata: attacco spietato, risate acide ed un violino che strilla. Dopo ?Easy money? ecco il lungo tappeto musicale ?The talking drum?, che apre le strade al gran finale: la seconda parte di ?Lark?s tongue in aspic?.

            E? un grande affresco questo disco, un grande affresco di musica prog, ma a noi ascoltatori di oggi questa suona come musica classica, nel senso pi? ampio del termine.

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              #141
              Il batterista Lowell "Sly" Dunbar e il bassista Robert "Robbie" Shakespeare sono partner ritmici dal 1974, quando una seduta di registrazione organizzata da Bunny Lee, per la quale Robbie stava lavorando, richiese la presenza di un batterista. Robbie raccomand? Sly, perch? i due si ammiravano reciprocamente da molto tempo. Da quel giorno, Sly & Robbie hanno sempre fatto musica assieme. Le prime influenze di Sly furono i ritmi di Lloyd Knibb (Skatalites), "un artista che suona la batteria come se stesse facendo l?amore con lei". Altri nomi fatti da Sly sono Al Jackson (Booker T and the Mgs), Benny Benjamin (house drummer della Tamla Motown), Steve Gadd e diversi percussionisti latini ascoltati nella vicina Cuba.

              Ai tempi della scuola, Robbie amava ascoltare Led Zeppelin e Rolling Stones, sinch? un giorno ascoltando Jackie Jackson (Treasure Isle) decise che il basso faceva per lui. Prese alcune lezioni da Aston "Family Man" Barrett degli Wailers e si mise in cammino. I Riddim Twins erano membri dei Revolutionaries, la house band del Channel One Studio di Jo Jo Hookim. Da quell?esperienza nacque il sound dei Rockers, con i quali supportarono The Mighty Diamonds, Delroy Wilson, The Gladiators, Gregory Isaacs, Dennis Brown sino a comparire, come musicisti o produttori, in molti dei dischi pi? belli usciti dalla Giamaica negli ultimi 25 anni. Sly&Robbie girarono gli USA in tour come componenti della band "Word, Sound and Power" di Peter Tosh e la loro partnership potenzi? anche i grandi Black Uhuru: "Quelle canzoni le sentivamo in maniera differente" ricorda Sly. "La gente amava i Black Uhuru dal vivo. Suonavamo al Ritz di New York per capire se riuscivamo a dare una scrollata al pavimento e quando iniziavamo a veder cadere qualcosa, Robbie mi guardava e diceva, ci siamo! Quel suono continuava a batterti dentro per pi? di un?ora dopo la fine del concerto".

              Ritmicamente, Sly & Robbie esprimono un groove che macina, capace di esprimere la pulsazione essenziale della musica con una devozione quasi meccanica, un ritmo che ? divenuto un marchio di fabbrica, spingendo diversi artisti a chiederne la collaborazione: da Grace Jones ai Rolling Stones e Bob Dylan, Sly&Robbie hanno lasciato tracce ovunque. Ecco perch? l?importanza di Dunbar e Shakespeare ha valso ai due l?onorificenza "Order of Distinction" del governo dell?isola per lo straordinario contributo culturale fornito alla diffusione della cultura giamaicana nel mondo. I loro pi? grandi successi, come Sly&Robbie per "Boops" (1987) e come produttori per l?album di Chaka Demus e Pliers (Tease Me), partono nel 1979 con "Soon Forward" di Gregory Isaacs per la loro etichetta Taxi Records.

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                #142
                George Ivan Morrison nasce il 31 agosto del 1945 a Belfast, nell?Irlanda del Nord. Dopo avere iniziato a cantare in tenera et? entra a far parte dei Them, gruppo di punta del blues revival inglese; con i Them incide un paio di album trovando il modo di scrivere gi? il suo primo classico, "Gloria".

                Dopo un singolo di successo (?Brown-eyed girl?), il suo vero approccio alla carriera solista avviene con un album capolavoro, ASTRAL WEEKS, nel quale Morrison mette in mostra lo stile di scrittura - fortemente influenzato dal ?flusso di coscienza? tipico della scrittura di James Joyce - che diverr? il marchio di fabbrica del suo lavoro. A quel disco ne seguir? un altro altrettanto acclamato e forse persino pi? bello, MOONDANCE, mentre non altrettanto epocali risultano HIS BAND AND THE STREET CHOIR e TUPELO HONEY.

                A far capire che le cose stanno cambiando arriva un album per molti versi enigmatico nella carriera di Morrison: si tratta di SAINT DOMINIC'S PREVIEW, dove il musicista lascia spazio a lunghe improvvisazioni vocali e strumentali (?Listen to the lion?, ?Almost Independence Day?). IT'S TOO LATE TO STOP NOW ? un doppio disco dal vivo che funge quasi da spartiacque nei confronti del periodo misticheggiante e spirituale che Morrison inaugurer? di l? a poco: VEEDON FLEECE, A PERIOD OF TRANSITION, WAVELENGTH, INTO THE MYSTIC, COMMON ONE, BEAUTIFUL VISION, INARTICULATE SPEECH OF THE HEART e A SENSE OF WONDER sono gli album in cui, con risultati alterni, si assiste all?esposizione di questa vena creativa, mentre un ritorno alle robuste radici della sua musica si celebra con NO GURU, NO METHOD, NO TEACHER, raccolta che segna una vera e propria rinascita artistica.

                Seguono altre opere dal contenuto discontinuo: POETIC CHAMPIONS COMPOSE, AVALON SUNSET e ENLIGHTENMENT non aggiungono n? tolgono molto alla parabola artistica di Morrison mentre decisamente meglio vanno le cose nel compiuto HYMNS TO THE SILENCE, in IRISH HEARTBEAT (rivisitazione della tradizione folk irlandese in compagnia dei Chieftains) e in TOO LONG IN EXILE, recupero delle vecchie radici R&B. DAYS LIKE THIS ? invece il disco forse pi? accessibile del periodo, mentre THE HEALING GAME vede la presenza in veste di ospite di John Lee Hooker.

                Le ultime produzioni discografiche di ?Van the man? lo mostrano pi? incline al divertimento e alla glorificazione delle musiche del passato, tra album dal vivo (THE SKIFFLE SESSIONS, con il re incontrastato del genere, il compianto Lonnie Donegan), duetti (con la sorella di Jerry Lee Lewis, Linda Gail: in repertorio cover di Hank Williams, Fats Domino e Bo Diddley) e nuovi dischi di studio come il recente WHAT?S WRONG WITH THIS PICTURE?, che reca in copertina, per la prima volta, il celebre marchio dell?etichetta jazz Blue Note.

                Il sodalizio, per? dura il tempo di un disco. Infatti il successivo album MAGIC TIME (2005) segna un ritorno presso la Universal (che ora detiene i marchi Polydor e Mercury, per cui Van Morrison ha inciso in passato). Sempre per un?etichetta del gruppo Universal, la Lost Highway, dopo appena un anno pubblica PAY THE DEVIL, disco a tema dedicato al country.

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                  #143
                  John Martyn nasce con il nome di Iain David McGeachy l?11 settembre del 1948 a New Malden, nel Surrey inglese, da una famiglia di musicisti. Trascorsa a Glasgow, in Scozia, l?infanzia e l?adolescenza, a 17 anni inizia la carriera professionistica che giunge ad una svolta quando decide di trasferirsi a Londra e di frequentare i folk club della capitale: l? lo nota Chris Blackwell, patron della Island Records, che lo mette subito sotto contratto.

                  Nel 1967 arriva il primo album, intitolato LONDON CONVERSATION e ancora molto influenzato dallo stile di chitarra folk di Davey Graham e Bert Jansch. Fioccano, da parte di certa stampa, i paragoni con Bob Dylan: forse anche perch?, conosciuta e sposata la cantante Beverley Kutner, Martyn si trasferisce a Woodstock, collabora con Levon Helm della Band e incide con la moglie due dischi, STORMBRINGER e ROAD TO RUIN, influenzati dal cantautorato americano come dal jazz e dal rhythm&blues. Il sodalizio artistico ha tuttavia poca fortuna e Martyn ricomincia a incidere a suo nome, sviluppando nel contempo un forte legame professionale e umano con l?ex contrabbassista dei Pentangle Danny Thompson.

                  Sono i tempi dei primi eccessi alcolici ma anche dei migliori dischi in carriera, BLESS THE WEATHER e SOLID AIR (la cui title track ? ispirata a Nick Drake, suicida di l? a poco), stupende e innovative fusioni di folk acustico, jazz e chill out ante litteram che introducono il caratteristico suono effettato e vibrante della chitarra trattata con l?echoplex, un vero e proprio marchio di fabbrica dell?artista. Lo sperimentale INSIDE OUT e il pi? morbido SUNDAY'S CHILD, ispirato alle gioie della paternit?, non ottengono successo: Martyn, frustrato dal music business, si autoproduce e vende da casa sua, per corrispondenza, l?album dal vivo LIVE AT LEEDS. Nel frattempo, per?, cade nella spirale dell?alcolismo iniziando a complicare anche la sua situazione sentimentale.

                  L?album ONE WORLD, pubblicato nel 1977 e fortemente influenzato dal periodo trascorso in Giamaica alla corte del leggendario produttore reggae Lee ?Scratch? Perry, vede la presenza in studio di Steve Winwood ma non migliora la situazione. Droga e alcol hanno la meglio e Martyn ricompare soltanto nel 1980, dopo aver divorziato, con lo splendido e amaro GRACE AND DANGER, prodotto da Phil Collins, da sempre accanito fan del chitarrista. Un successivo cambio di etichetta lo porta alla WEA dove dischi come GLORIOUS FOOL e WELL KEPT SECRET mostrano un progressivo indebolimento della vena creativa. Poi, registrato un altro live ?casalingo? (PHILENTROPY), Martyn torna alla Island per pubblicare altri titoli di alterna qualit?: ma le grandi speranze commerciali riposte nell?album PIECE BY PIECE si rivelano nuovamente disattese, e l?artista ripiomba nella depressione e nelle consolazioni alcoliche.

                  Nel 1992 esce COULDN'T LOVE YOU MORE, raccolta di canzoni reincise in versione deluxe con la collaborazione di amici vip come Collins e David Gilmour: Martyn, per?, ? insoddisfatto degli arrangiamenti troppo commerciali e rimescola le carte pubblicando poco dopo un progetto analogo sotto il titolo di NO LITTLE BOY. Con AND. (1996) arriva la svolta decisa verso un?originale forma di trip hop cantautorale che d? l?impronta, nel 1998, anche all?ottimo album di cover THE CHURCH WITH ONE BELL, dove Martyn reinterpreta il blues e Randy Newman ma anche giovani autori come Ben Harper e i Portishead. Nel 2000 tocca a GLASGOW WALKER e alla ballata ?You don?t know what love is? che il regista Anthony Minghella inserisce nella colonna sonora del film ?Il talento di Mr. Ripley?. L?anno seguente Martyn entra inopinatamente nella classifica dei singoli inglesi, prestando la voce a ?Deliver me? di Sister Bliss, versione dance di un vecchio successo dei Beloved.

                  Poi, nell?aprile 2003, il dramma: una caduta apparentemente innocua provoca un?infezione ad una gamba che richiede un?amputazione chirurgica al di sotto del ginocchio. Ma Martyn si riprende anche da questo colpo: dopo pochi mesi di riabilitazione ? di nuovo sul palco e nell?aprile 2004, ad un anno esatto di distanza dall?incidente, pubblica il nuovo album ON THE COBBLES con ospiti Paul Weller, Mavis Staples e l?ex Verve Jim McCabe.

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                    #144
                    Selling England by the pound” (“vendendo l’Inghilterra a un tanto al chilo”, per dire una volta per tutte il significato vero) è il vero capolavoro dei Genesis prima maniera, quando erano un gruppo di progressive rock – forse il più rappresentativo, che non significa il migliore, dei gruppi di progressive rock – e non quel gruppo di pop-rock che sono diventati negli anni Ottanta.

                    A “Selling England” i Genesis ci arrivano nel 1973, dopo l’oscuro “From Genesis... to Revelation”, l’inquietante “Trespass” (1970), i due pregevoli “Nursery cryme” (1971) e “Foxtrot” (1972). Di mezzo c’è anche un “Genesis live”, dello stesso 1973, che non può per limiti intrinseci restituire l’esperienza dei concerti della band, con i travestimenti teatrali dell’allora istrionico Gabriel.

                    “Selling England...” doveva essere l’album della consacrazione definitiva, e lo fu: mettendo in mostra senza vergogna virtù e vizi del gruppo e della sua ricetta artistica, mettendo in fila lampi d’ispirazione e vezzi manieristici, riassumendo in tre minuti (i primi tre di “Firth of Fifth”) l’intero senso musicale del prog-rock, fra suoni eterei di pianoforte e muggiti di moog, vocalismi declamatori e pattern batteristici dalla vocazione dispari... e a tre minuti e mezzo parte anche l’assolo di flauto! Proponendo anche nella (bellissima) copertina testi pieni zeppi di puns linguistici alla Lewis Carroll, assolutamente intraducibili per il povero fan italiano che ci provava con il vocabolario alla mano.

                    Insomma, se per un disco si può spendere l’aggettivo “epocale”, “Selling England by the pound” è quel disco. Ognuno dei cinque componenti del gruppo vi trova spazio e palcoscenico: non solo il frontman, che vi impiega tutta la propria vastissima gamma di voci ed espressività (l’album ne è una sorta di catalogo) ma anche il chitarrista Steve Hackett e il bassista Mike Rutherford, il tastierista Tony Banks (qui probabilmente alla sua miglior prova) e quel piccoletto del batterista, Phil Collins, al quale – come i Beatles a Ringo Starr – i Genesis concedono l’onore e l’onere di cantare (maluccio) una canzone, “More fool me”, episodio dal quale Phil trarrà la forza, all’uscita di Gabriel dal gruppo, di mettersi alla prova come cantante solista.

                    Resta abbastanza difficile, oggi, capire come “I know what I like” sia potuta diventare un successo radiofonico tale da facilitare l’accesso dei Genesis al mercato statunitense, così complessa, articolata, “difficile”. "L’album riesce a creare paesaggi immaginari che non esistono al di fuori delle cuffie dell’ascoltatore” ha scritto qualcuno, e sarebbe difficile spiegare meglio il fascino della musica e dei testi dei Genesis del 73-74, quel fascino che si è trasformato in una decisiva influenza – non sempre positiva, a dire il vero – su intere legioni di gruppi “progressive”, compresi quelli odierni.


                    P.S. oggi l’etichetta del disco – del Cd – è Virgin: l’album uscì originariamente per la storica Charisma Label, tanto per dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Tony Stratton-Smith quel che è di Tony Stratton-Smith. Fu lui, ex giornalista musicale, a fondare l’etichetta che diede casa a Nice, Van Der Graaf Generator, Audience, Lindisfarne, Rare Bird, Viv Stanshall, Rick Wakeman.
                    Last edited by edorsv99; 24-02-07, 10:45.

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                      #145
                      Primal Scream ? una band Synthpunk originaria di Glasgow, in Scozia, formatasi nel 1985. Mente e centro dei Primal Scream ? Bobby Gillespie.
                      Caratterizzati da continui cambi stilistici sostanziali, i Primal Scream attingono buona parte della loro forza e risolvono gran parte della loro essenza in tale continuo cambiamento che tocca, anche ad esplicazione nell'ormai considerevole longevit? del gruppo, la stessa formazione, della quale di fequente sono entrate a far parte gente del calibro di Gary "Mani" Mounfield (ex-Stone Roses) e Kevin Shields (My Bloody Valentine).

                      L'esordio avviene con Sonic Flower Groove, disco prodotto da Mayo Thompson dei Red Crayola fortemente caratterizzato da un jangle pop psichedelico che verr? presto abbandonato per far spazio a larghe incursioni negli e nei suoni della Detroit di The Stooges & MC5 nell'omonimo e decisamente pi? "hard" secondo album del gruppo.

                      Il 1991 ? l'anno della pietra miliare Screamadelica, capolavoro di fusione tra la rave-generation/club-culture e il rock. ? la terza trasformazione in tre dischi e senz'altro la pi? compiuta, per un album che ? tra i pi? importanti dischi della storia della musica moderna.

                      Tre anni pi? tardi arriva il quarto disco della band, Give Out But Don't Give Up, caratterizzato dall' "ansia da prestazione" dopo il bagno d'acido e di successo del predecessore che porta in eredit? un'ansia da prestazione che la band consuma in un lungo strascico di blocco di scrittura, accidia ed eroina. La musica ? un rock'n'roll classico, southern e stonesiano, il tutto condito con forti farciture "black" tra soul, funky, &c.

                      Altri tre anni e l'ennesima rinascita della fenice-Primal Scream:
                      Vanishing Point apre una nuova fase della carriera: il nuovo corso ? caratterizzato da un "hi nrg rock'n'roll" (nella citazione di Bobby Gillespie), qui ancora marchiato da rallentamenti dub e in generale da un ritrovato affiatamento & afflato artistico del gruppo, che con l'entrata in formazione al basso di Gary "Mani" Mounfield (e l'affiancamento ora in studio, ora in (re)mixing desk, ora in produzione di Kevin Shields dei My Bloody Valentine) trova finalmente la sua formazione ideale e da il via ai pieni giri del nuovo corso Primal Scream.

                      XTRMNTR (altri tre anni, ? il 2000) ? lo zenit artistico di questa nuova fase della carriera e secondo grande capolavoro - dopo Screamadelica - della formazione scozzese. Album parossisticamente politicizzato e parimenti prodotto, con suoni saturi, accelerazioni costanti ed in generale un disco d'eccesso e rabbia, XTRMNTR ? una testuggine romana di suono, una macchina da guerra che non lascia rilassato l'ascoltatore se non nella ballata Keep Your Dreams.

                      Evil Heat del 2002 prosegue parzialmente il discorso messo a fuoco da XTRMNTR ma senza senso unico, aprendo ad ulteriori contaminazioni kraut, rock'n'roll, blues, &c. Nel 2006 si apre l'ennesima nuova era-Primals, con il ritorno in pompa magna di Riot City Blues, disco pi? che mai (e similmente in questo ad Evil Heat) diverso da s? stesso, dalle mille contaminazioni & suggestioni. Annunciato come ritorno al rock'n'roll di Give Out But Don't Give Up e dintorni, il disco ? in realt? molto pi? variegato e meno statico dello stesso, presentando una diversificazione eclettica e pressoch? isterica in tracce che vanno dall'anthemic-rock di Country Girl, singolo e traccia apripista dell'album, alle derivazioni di fascinazione psichedelica di When The Bomb Drops.

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                        #146
                        dai edo qualche altra chcicca musicale

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                        • Font Size
                          #147
                          Sono troppo depresso al pensiero del concerto dei Genesis di domani...

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                          • Font Size
                            #148
                            Originally posted by edorsv99 View Post
                            Sono troppo depresso al pensiero del concerto dei Genesis di domani...
                            ci vai????
                            io parto per le ferie domattina presto

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                              #149
                              Originally posted by kaciaro View Post
                              ci vai????
                              io parto per le ferie domattina presto
                              E che vado a fare? A sentire Invisible touch e I can't dance?

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                                #150
                                Dimentichiamo i Genesis di oggi e passiamo a qualcuno che il prog ancora lo sa fare:

                                Vi hanno sempre interessato gli album "concept"? Amate il progressive e siete fans di Kansas e Dream Theater? Allora non lasciatevi sfuggire questo disco, ideato e composto da Trent Gardner, cantante e tastierista dei Magellan (una grande band progressive americana), dedicato al nostro Leonardo da Vinci.

                                "Leonardo The Absolute Man" funziona come una sorta di grande musical rock, con tanto di cast stellare: a prestare le loro ugole James La Brie (Dream Theater) nei panni del grande artista toscano, Steve Walsh (Kansas), Bret Douglas (Cairo), Mike Baker (Shadow Gallery) e altri, oltre allo stesso Trent Gardner, come sempre affiancato dal fratello chitarrista Wayne. Un disco corale, con momenti melodici alternati a brani corposi a pi? voci di grande effetto, da seguire con estrema attenzione. La storia racconta le vicende umane di Leonardo dalla sua partenza dal paesino di Vinci fino alla morte in Francia, con tanto di storia con l'enigmatica e misteriosa Mona Lisa.

                                Certo condensare la storia artistica ed umana del grande genio italiano in un CD di quasi settanta minuti pu? apparire pretenzioso, ma Gardner ha voluto offrire all'ascoltatore alcune sue suggestioni personali, colpito dall'arte di uno di quei talenti che tutto il mondo ci invidia. Trend Gardner ha composto quella che potrebbe diventare la sua opera pi? importante, ma anche l'opera pi? significativa del prog metal dell'ultimo decennio. Non a caso ? riuscito a raccogliere attorno a s? un cast impressionante: ogni artista coinvolto ha dato il meglio di s?, James canta divinamente, sicuramente una delle sue performances pi? riuscite e non da meno si esprimono gli altri, sicuramente spronati a dare il meglio. La sezione ritmica unisce tecnica e virtuosismi a vera passione.

                                La musica, ? davvero difficile trovare le parole adatte, ? impressionante, ? una miscela esplosiva di metal e di rock progressivi, teatrali e sinfonici, momenti di grande ispirazione si susseguono senza sosta per tutta la durata del disco, un caleidoscopio di emozioni. A volte si sente qualcosa dei Magellan, ma qui le idee vengono esaltate da delle costruzioni brillanti e coraggiose, nel senso che quanto proposto in precedenza trova qui il naturale compimento.

                                Da italiano non si pu? che provare un grande senso d'orgoglio di fronte a questo sublime omaggio all'arte di Leonardo, sicuramente uno dei pi? grandi artisti che l'umanit? abbia conosciuto e che molto probabilmente rester? insuperato per la sua capacit? di eccellere in campi diversissimi, perfetto rappresentante e ambasciatore dello spirito creativo italiano.

                                Le diciotto tracce raccontano la vita di questo artista, che, nonostante la sua umanit?, ? riuscito a cambiare il mondo, forse questo disco non cambier? il pianeta musica, ma ? destinato a lasciare un segno profondo nel cuore di tutti coloro che dalla musica vogliono emozioni forti, nel cuore dei sognatori e di coloro che credono che la musica possa evocare storie e immagini, raccontare e non solo intrattenere. Un'opera unica, un disco che ogni amante del prog dovrebbe avere, un prodotto davvero ben riuscito, un concentrato di musica con la M maiuscola.
                                Last edited by edorsv99; 30-07-07, 11:14.

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