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    Dati censis

    Roma, 4 dicembre 2014 - Il picco negativo della crisi ? ormai alle spalle, ne ? convinto il 47% degli italiani, il 12% in pi? rispetto allo scorso anno. Ma per oltre il 60% pu? capitare a chiunque di finire in povert?.

    E' quanto emerge dal 48esimo rapporto del Censis sulla situazione del Paese, presentato oggi. A prevalere ora, spiega il Centro Studi Investimenti Sociali, ? l'incertezza. Nel nostro Paese c'? una vulnerabilit? diffusa tanto che il 60% degli italiani ritiene che possa capitare a chiunque di finire in povert?, quota che sale al 67% tra gli operai e al 64% tra i 45-64enni.

    Una delle conferme viene anche dal tasso di natalit?: in Italia si fanno sempre meno figli, per 8 su 10 ? colpa proprio della crisi.

    Pensando al futuro, il 29,2% degli italiani ? inquieto perch? ha un retroterra fragile, il 29% in ansia perch? non ha una rete di copertura, il 24% dice di non avere le idee chiare perch? tutto ? molto incerto e solo poco pi? del 17% dichiara di sentirsi abbastanza sicuro e con le spalle coperte. Tra i giovani (18-34 anni) sale al 43% la quota di chi si sente inquieto e con un retroterra fragile e scende ad appena il 12% la quota di chi si sente al sicuro.

    L'incertezza sul futuro si riflette anche sulla gestione dei soldi da parte delle famiglie. A giugno 2014 ? cresciuta fino a 1.219 miliardi di euro la massa finanziaria liquida di contanti e depositi bancari delle famiglie italiane. Il 44,6% dei nuclei familiari destina il proprio risparmio alla copertura da possibili imprevisti, come la perdita del lavoro o la malattia, il 36,1% lo finalizza alla voglia di sentirsi con le spalle coperte. La parola d'ordine ?: tenere i soldi vicini per ogni evenienza. Secondo le stime del Censis, inoltre, 6,5 milioni di persone negli ultimi 12 mesi, per la prima volta nella loro vita, hanno dovuto integrare il reddito familiare mensile con risparmi, prestiti, anticipi di conto corrente o in altro modo, magari per affrontare una spesa imprevista.

    CAPITALE UMANO INUTILIZZATO - E' di quasi 8 milioni di individui il capitale umano inutilizzato che non si trasforma in energia lavorativa. A questa cifra si arriva se si guarda al numero di disoccupati, che nel 2013 sono pi? di 3 milioni e si aggiungono i circa 1.780.000 cittadini in et? lavorativa inattivi perch? scoraggiati e gli oltre 3 milioni di persone che pur non cercando attivamente lavoro sarebbero disponibili a lavorare. Il Censis sottolinea come i pi? penalizzati siano i giovani. I 15-34enni costituiscono il 50,9% dei disoccupati totali. E i Neet, cio? i 15-29enni che non sono impegnati in percorsi di istruzione o formazione, non hanno un impiego n? lo cercano, sono in continua crescita: da 1.832.000 nel 2007 a 2.435.000 nel 2013. Il potenziale femminile ? anch'esso ampiamente mortificato, prosegue il Censis nella sua analisi. Le donne, infatti, costituiscono il 45,3% dei disoccupati, ma soprattutto il 65,8% degli inattivi scoraggiati e il 60,6% delle persone disponibili a lavorare. Sul fronte dell'occupazione, il Centro Studi Investimenti Sociali evidenzia un disequilibrato e antieconomico utilizzo dell'offerta di lavoro: il capitale umano sottoutilizzato, composto dagli occupati part time involontari (2,5 milioni nel 2013, raddoppiati rispetto al 2007) e dagli occupati in Cassa integrazione, il cui numero di ore ? passato nel periodo 2007-2013 da poco pi? di 184.000 a quasi 1,2 milioni, corrispondenti a 240.000 lavoratori sottoutilizzati. C'e' anche il capitale umano sotto inquadrato, cioe' persone che ricoprono posizioni lavorative per le quali sarebbe sufficiente un titolo di studio inferiore a quello posseduto: sono pi? di 4 milioni di lavoratori, il 19,5% degli occupati. Di questi il 53,3% ? costituito da diplomati (2,3 milioni di lavoratori) e un ulteriore 41,3% da laureati.

    CALANO I CAPITALI STRANIERI, MA BENE TURISMO ED EXPORT - L'Italia piace all'estero ma non attrae capitali stranieri. Se da un lato, infatti, cala la capacit? del nostro paese di attrarre capitali stranieri (nel 2013 sono stati pari a 12,4 miliardi di euro) cresce, invece, l'export dei prodotti made in Italy alimentari, di abbigliamento, arredo e automazione (+30,1% tra il 2009 e il 2013) e il Belpaese ? la quinta destinazione turistica al mondo. Nel 2013 ? diminuita la capacit? dell'Italia di attrarre i capitali stranieri, lo scorso anno sono stati pari a 12,4 miliardi di euro. Una flessione di circa il 60% rispetto il 2007. Nel periodo precedente all'esplosione delle turbolenze finanziarie, i flussi in entrata di investimenti diretti esteri si erano attestati su un livello superiore ai 30 miliardi di euro all'anno e nel 2012 di appena 72 milioni. A pesare, secondo il Censis, un deficit reputazionale. Inoltre, il nostro paese detiene solo l'1,6% dello stock mondiale di investimenti esteri contro il 2,8% della Spagna, il 3,3% della Germania, il 4,2% della Francia, il 6,3% del Regno Unito. L'export delle 4 A del made in Italy (alimentari, abbigliamento, arredo-casa e automazione) ? aumentato del 30,1% in termini nominali tra il 2009 e il 2013. Nel capitolo del Rapporto, dedicato all' "Italian way of life: cosa piace di noi all'estero" si evidenzia come sempre pi? persone parlino la nostra lingua: circa 200 milioni nel mondo. E crescono le reti di aziende italiane in franchising all'estero: 149 reti nel 2013 per un totale di 7.731 punti vendita (+5,3% rispetto al 2011). L'interesse suscitato all'estero dall'Italia, sebbene non adeguatamente sfruttato, non conosce crisi. Siamo la quinta destinazione turistica al mondo, con 186,1 milioni di presenze turistiche straniere nel 2013 e 20,7 miliardi di euro spesi (+6,8% rispetto al 2012).

    MIGRANTI SOCCORSI: 1 SU 5 E' MINORE - Dal primo gennaio a met? ottobre sulle coste italiane sono stati gestiti 918 sbarchi, nel corso dei quali sono arrivati 146.922 migranti, per l'11% donne e per il 21,2% minori. Censis, per l'ultimo anno, parla di una "emergenza senza precedenti" e di "numeri che destano allarme: nel 2011, anno record per gli effetti delle 'primavere arabe', gli arrivi erano stati 63mila, 13mila nel 2012 e 43mila in tutto il 2013". I dati di Frontex indicano una prevalenza di eritrei e siriani tra coloro che hanno attraversato il Mediterraneo nei primi otto mesi del 2014; seguono i cittadini di Mali, Nigeria, Gambia e Somalia. L'Organizzazione internazionale per le migrazioni stima che siano stati oltre 3mila i morti nel Mediterraneo tra gennaio e settembre 2014, e 22.400 quelli che complessivamente hanno perso la vita dal 2000 ad oggi (quasi dieci volte il numero delle vittime degli attentati alle Torri Gemelle). Una tragica media di 1.500 morti ogni anno, che diventano oltre 3mila nei soli primi nove mesi del 2014. Numeri che, secondo il Censis, "mettono a dura prova anche il sistema di accoglienza di chi riesce a giungere a terra". Complessivamente, al 30 settembre le strutture di diversa natura presenti sul territorio nazionale ospitavano 61.536 migranti, collocati per piu' della meta' in soluzioni alloggiative temporanee (il 52,8%, con un maggiore presenza in Sicilia, Lombardia e Campania), per un ulteriore 30% nelle strutture facenti capo allo Sprar (soprattutto nel Lazio, in Sicilia e in Puglia) e per il 17% circa nei centri governativi (i maggiori si trovano in Sicilia, Puglia e Calabria).

    BOOM DI OVER 50 OCCCUPATI - Boom di occupati over 50, giovani con lavori "ibridi" e ripetuti periodi di inattivit? lavorativa. Dal 2011 a oggi si registra un boom di occupati over 50 (+19,1%), in concomitanza del crollo osservato tra quanti hanno un'et? inferiore (-11,5%). Se da un lato - spiega il Centro Studi Investimenti Sociali - ? un effetto diretto delle riforme previdenziali entrate a regime, dall'altro contiene in s? le disfunzioni di un mercato del lavoro che chiude le porte alle nuove leve e le spalanca ai lavoratori pi? anziani, oltre ai numerosi casi di chi sceglie di restare al lavoro pur avendo maturato i requisiti per il pensionamento per non intaccare il livello di reddito e di coloro che si erano chiamati fuori dal mercato del lavoro ma sono stati indotti a rimettersi in gioco dal peggiorare delle condizioni economiche. E' pari al 50,7% la quota dei lavoratori "ibridi" tra gli occupati di et? compresa tra i 15 e i 24 anni. Quest'area di lavoro comprende temporanei, intermittenti, collaboratori, finte partite Iva e prestatori d'opera occasionale. La quota degli "ibridi" scende progressivamente all'aumentare dell'et? (il 22,9% tra i 25 e i 34 anni) e risale in prossimit? dell'uscita definitiva dal mercato del lavoro (il 20,6% tra gli over 65).

    Il 14% degli occupati si ? trovato negli ultimi tre anni a interrompere il proprio percorso professionale, incorrendo in uscite temporanee o ripetute dall'attivit? lavorativa. Tale rischio ? maggiore nelle fasce generazionali pi? giovani (tra i 16 e i 24 anni), dove ben il 20,5% degli occupati si ? trovato a vivere periodi di non lavoro. Lo sottolinea il Censis riportando i dati dell'Istat. Spiragli incoraggianti emergono per? grazie alla voglia di fare dei giovani italiani, i quali aspirano in pi? casi a creare da s? un business. Il 22% di loro, infatti, ha gi? avviato una start up o intende seriamente farlo nei prossimi dati. Il Censis sottolinea che il dato ? perfettamente in linea con il resto d'Europa. Tale universo di giovani intraprendenti sarebbe ancora pi? ampio se solo ci fosse un tessuto di imprese e istituzioni pronto a dare loro sostegno nell'avvio di una nuova attivit?, il 38% sarebbe infatti interessato ad avviare un proprio business ma ritiene che sia troppo complicato mentre in Europa tale quota scende al 22% e in Germania al 12%.

    PER ITALIANI SSN FONDAMENTALE - Il Servizio sanitario nazionale, nonostante i suoi difetti ? "fondamentale per garantire salute e benessere a tutti". Lo ritiene l'86,7% dei cittadini. Il Servizio sanitario rimane dunque "una istituzione essenziale e non puo' essere smantellato o ridimensionato drasticamente". Le manovre sulla sanit?, la spending review e i Piani di rientro nelle regioni in cui sono attivati hanno contributo all'ampliamento delle vecchie disparit? e alla creazione di nuove nelle opportunit? di cura. Il 50,2% degli italiani ? convinto che tali politiche di contenimento abbiano aumentato le disuguaglianze.

    La spesa sanitaria privata ? cresciuta da 29.578 milioni di euro nel 2007 a 31.408 milioni di euro nel 2013, con una dinamica incrementale interrotta solo nell'ultimo anno, presumibilmente per la convergenza di spese di altro tipo sui bilanci di tante famiglie. Nel nuovo contesto si registra non solo un approfondimento di disuguaglianze antiche, ma anche l'insorgenza di disuguaglianze inedite legate alla nuova geografia dei confini pubblico-privato in sanit?, e all'espansione della sanit? a pagamento o, per chi non ce la fa, la rinuncia a curarsi e a fare prevenzione. Non ? un caso che alla richiesta di indicare i fattori pi? importanti in caso di malattia di una persona, il 48,1% degli italiani richiami il denaro che si possiede. Pi? disuguaglianze, quindi, che penalizzano i soggetti pi? fragili dal punto di vista socioeconomico e che nascono da una erosione di fatto della copertura pubblica, e dalla necessit? per i cittadini di ricorrere in misura maggiore all'acquisto di prestazioni nel privato.

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    CALANO ISCRITTI ALL'UNIVERSITA' - Tra il 2008 e il 2013 gli iscritti alle universit? statali sono diminuiti del 7,2% e gli immatricolati del 13,6%. L'andamento decrescente ha interessato tutti gli atenei tranne quelli del Nord-Ovest, dove gli iscritti sono aumentati del 4,1% e gli immatricolati dell'1,3%. Nelle universit? del Nord-Est la contrazione dell'utenza ? stata pi? contenuta: -2,3% di iscritti e -5,9% di immatricolati. Al Centro invece il numero degli studenti iscritti si ? contratto del 12,1% e quello degli immatricolati del 18,3% e al Sud dell'11,6% e del 22,5%. L'indice d'attrattivit? delle universit? sembra premiare non solo quelle del Nord-Ovest (da 3,9% nel 2008 a 8,6% nel 2013), ma anche del Nord-Est, che, sebbene abbiano ridotto l'utenza complessiva, hanno comunque accresciuto quella proveniente da fuori regione, passando dall'11% all'11,8%. L'ulteriore contrazione dell'indice di attrattivit? degli atenei meridionali (da -21,8% nel 2008 a -22,8% nel 2013) sembra confermare la presenza di criticit? strutturali note, a loro volta inserite nell'ambito di contesti territoriali segnati - scrive il Censis - da derive di sottosviluppo economico di lungo periodo. Il dato che invece sembra essere pi? allarmante ? la caduta nei cinque anni di riferimento dell'indice di attrattivit? delle universit? del Centro Italia, che ? passato da 21,8% nel 2008 a 12,4% nel 2013, marcando un'apprezzabile riduzione del capitale reputazionale di tali istituzioni. Aumenta inoltre l'incidenza delle tasse d'iscrizione sul totale delle entrate delle universit?: da un valore intorno all'11% dei primi anni 2000, le entrate contributive si attestano al 13% nel 2010, per poi raggiungere nel 2012 quota 13,7%. I dati disaggregati per ripartizione territoriale indicano una separazione netta nel tempo degli andamenti delle entrate contributive tra le universit? settentrionali da un lato, e quelle centrali e meridionali dall'altro. Le prime si pongono, infatti, al di sopra delle medie nazionali e oltre la soglia del 15% sia nel 2011, sia nel 2012; le seconde, invece, al di sotto.

    SEMPRE PIU' ITALIANI CERCANO INFORMAZIONI SUL WEB - La pratica dell'e-health, sempre piu' diffusa (il 41,7% degli italiani nel 2014 cerca informazioni on line sulla salute), ha inevitabilmente contribuito a ridisegnare il rapporto tra paziente e medico. Non di rado le informazioni reperite on line vengono chiamate in causa al momento del confronto diretto con il medico e utilizzate per discutere e confrontarsi sui risultati, ma anche per contestare al medico l'esattezza della sua diagnosi. In aumento ? il ricorso a forum e blog per discutere di questioni sanitarie. Negli ultimi decenni ? cresciuta l'attenzione della popolazione rispetto ai temi sanitari: gli italiani si giudicano sempre pi? informati sui temi sanitari e indicano di prestare sempre pi? attenzione quando si parla di salute. Se da un lato il bagaglio di saperi degli italiani sui temi sanitari va ricondotto prima di tutto ai professionisti della sanit? (in particolare al medico di medicina generale), dall'altro appare sempre pi? ampia la porzione di popolazione che afferma di tradurre quanto appreso in tv, sulla stampa o su internet in comportamenti finalizzati alla prevenzione o alla cura della salute. L'esposizione a un numero molto elevato di contenuti determina come conseguenza un'alterazione della percezione relativa al proprio livello di conoscenze su temi sanitari. Questa discrepanza tra conoscenze presunte e informazioni possedute ? stata messa in luce da diverse ricerche che il Censis ha condotto tra il 2012 e il 2014, dalle quali ? emerso che la conoscenza su temi sanitari non risulta completamente adeguata anche nei casi in cui il soggetto risulti direttamente coinvolto in una specifica situazione patologica. Tra i pazienti affetti da fibrillazione atriale, ad esempio, solo il 58,8% ha correttamente definito l'ictus una malattia del cervello, con un dato che varia con il titolo di studio: dal 74,1% di chi ha piu' titoli di studio al 45,6% di chi ha titoli pi? bassi, rivelando un'incertezza particolarmente grave in quanto presente in una popolazione ad alto rischio. Cittadini e pazienti si ritrovano dunque spesso sotto una pioggia di contenuti e notizie tra cui non ? sempre facile selezionare le informazioni corrette e affidabili. E cos? ? sempre pi? ampia, e anzi nell'ultimo anno ? diventata maggioritaria, la percentuale di italiani che pensano che troppe informazioni sulla salute rischiano di creare confusione e incertezza.

    SOLO IL 54% DEI COMUNI HA SERVIZI INFANZIA - Nel 2012-2013 solo il 54,6% dei Comuni italiani ha attivato servizi per l'infanzia, arrivando a coprire appena il 13,5% dei potenziali utenti. Gi? nel 2002 l'Unione europea sul fronte dei servizi prescolari abbia individuato come obiettivi la copertura del 33% dei bambini sotto i 3 anni e del 90% per quelli dai 3 anni all'et? d'ingresso nel ciclo primario. In nessuna regione si raggiunge l'obiettivo comunitario e si va dal 27,3% dell'Emilia Romagna al 2,1% della Calabria. Il numero di posti disponibili nelle scuole dell'infanzia, statali, comunali e paritarie, ? invece sufficiente a coprire la domanda, coinvolgendo ormai quasi la totalit? degli aventi diritto, ma non senza criticit?. I primi risultati di un'indagine Censis sull'offerta prescolare su 1.200 dirigenti di scuola dell'infanzia statale e non statale mostrano che nel 2013-2014, se il 56,6% delle scuole intervistate non ha dovuto predisporre liste d'attesa, pi? di una su tre ha avuto liste d'attesa, comunque via via assorbite dalla scuola (25,5%) o anche da altri istituti (7,4%). Vi ? poi il 10,1% di dirigenti che dichiara di non essere riuscito in ogni caso a rispondere alla domanda espressa dal territorio di riferimento, valore che sale al 16,2% nelle regioni del Nord-Ovest.

    SEMPRE MENO FIGLI - In Italia si fanno sempre meno figli. Tra le cause della denatalit? pesano la crisi economica e la mancanza di un lavoro fisso. Interrogati sulle possibili cause della scarsa propensione degli italiani ad avere figli, gli intervistati della recente ricerca del Censis sulla fertilit? hanno sottolineato nella grande maggioranza (85,3%) il peso della cause economiche, e in misura pi? marcata al Sud (91,5%). Se l'83,3% degli italiani ? convinto che la crisi economica abbia un impatto sulla propensione alla procreazione rendendo la scelta di avere un figlio pi? difficile da prendere anche per chi lo vorrebbe, questa quota raggiunge il 90,6% proprio tra i giovani fino a 34 anni, che sono contemporaneamente coloro che pi? subiscono l'impatto della crisi e nello stesso tempo dovrebbero essere i protagonisti delle scelte di procreazione. La denatalit? quindi ? un dato ormai strutturale del nostro Paese, che presenta uno dei tassi di natalit? pi? bassi a livello europeo (8,5 bambini nati per 1.000 abitanti). Nel 2013 si ? raggiunto il minimo storico dei nati (514.308) dopo il massimo relativo di 576.659 del 2008: una riduzione di circa 62.000 nati. C'? da valutare un primo elemento strutturale legato alla riduzione del numero di donne in et? fertile lungo tutto il territorio nazionale, sia italiane che straniere. A oggi le donne fertili dai 15 ai 30 anni sono circa 4,9 milioni, poco pi? della met? delle circa 8.660.000 che hanno dai 31 ai 49 anni. Inoltre, questo numero progressivamente sempre minore di donne fertili tende a fare figli sempre pi? tardi (l'et? media al parto di 31,4 anni ? tra le pi? alte in Europa), riducendo cos? nei fatti la fertilit? e la possibilit? di avere figli, soprattutto oltre il primo e il secondo. Sempre dalla recente indagine Censis sulla fertilit?, emerge che per il 46% degli italiani una donna che vuole avere figli dovrebbe cominciare a preoccuparsi di non averne non prima dei 35 anni, come segnale ulteriore di un modello sociale segnato dalla tendenza a procrastinare tutti i momenti di passaggio alla vita adulta. Al Sud si registra una natalit? pi? bassa di quella del Nord e del Centro. Si tratta di un'area che gode meno dell'effetto compensatorio della fecondit? delle straniere e a questo aspetto vanno associati fattori strutturali legati al quadro d'incertezza occupazionale ed economica che contribuiscono a una profonda revisione anche dei modelli culturali relativi alla procreazione. Gli indicatori di precariet? della condizione lavorativa, come la quota di occupati a tempo determinato e collaboratori da almeno cinque anni cos? come quella dei dipendenti con bassa paga, evidenziano in modo netto la condizione pi? problematica dei residenti al Sud. Inoltre, il tasso di disoccupazione per i 25-34enni del Mezzogiorno sfiora il 30% e quello femminile totale il 21,5% contro il 9,5% del Nord.

    CONTRAFFAZIONE HA VALORE DI 6,535 MILIARDI - In Italia il mercato della produzione e vendita di merci contraffatte ha un valore di 6,535 miliardi di euro. "Se fossero stati venduti gli stessi prodotti sul mercato legale - stimano i ricercatori dell'istituto - si sarebbero avuti 17,7 miliardi di euro di valore di produzione aggiuntiva, con conseguenti 6,4 miliardi circa di valore aggiunto; acquisti di materie prime, semilavorati e servizi dall'estero per un valore delle importazioni pari a 5,6 miliardi di euro; la produzione degli stessi beni in canali ufficiali avrebbe richiesto circa 105mila unita' di lavoro a tempo pieno". Secondo il Rapporto, "riportare sul mercato legale la produzione dei beni contraffatti significherebbe anche avere un gettito aggiuntivo per imposte dirette e indirette di 1,522 miliardi di euro; se a questo si aggiunge la produzione indotta in altri settori dell'economia, pari a quasi 3,760 miliardi di euro, si arriverebbe a un gettito complessivo pari a circa 5,280 miliardi di euro ovvero a un ammanco pari, nel complesso, al 2% del totale delle entrate prese in considerazione". Una recente indagine del Censis per il ministero dello Sviluppo, condotta su funzionari di Camere di commercio, organizzazioni datoriali e di categoria e sindacati, testimonia dell'"elevata presenza di attivit? illegali ai danni delle imprese". Il 58,3% degli intervistati segnala la presenza di imprese parzialmente o totalmente irregolari sul proprio territorio (e il dato sale addirittura al 78,5% nel sud), il 52,4% denuncia la pratica dello sfruttamento lavorativo (il 76,1% al sud) e il 51,3% la presenza di immigrazione irregolare. "Un contesto di questo tipo - conclude il Rapporto - crea un humus favorevole alla presenza e alla diffusione di altri mercati illegali" quali l'abusivismo commerciale e, appunto, la vendita di merci contraffatte". Nel solo commercio al dettaglio, la stima condotta lo scorso anno per Confcommercio ha portato ad individuare almeno 67.627 esercizi commerciali "parzialmente" o "totalmente abusivi", pari al 7,1% del totale. Complessivamente si pu? stimare un fatturato di 8,8 miliardi di euro, pari al 4,7% del totale del volume d'affari.

    CALO INVESTIMENTI - Nel 2013 si ? registrato il valore pi? basso degli investimenti, a prezzi costanti, degli ultimi tredici anni. Considerando la fase pi? acuta della crisi (dal 2008), la flessione delle spese produttive ? stata superiore al 23%. E' quanto si legge nel 48esimo rapporto sulla situazione sociale del nostro paese elaborato dal Censis. Si sono ridotti di pi? di un quarto gli investimenti in hardware (-28,8%), costruzioni (-26,9%), mezzi di trasporto (-26,1%), ma anche le spese per macchinari e attrezzature hanno registrato una flessione del 22,9%. Se si considera l'ammontare degli investimenti realizzati nel 2007 come benchmark (369 miliardi di euro) - spiega il Censis - si pu? dire che da allora fino al 2013 c'? stata una mancata spesa cumulata per investimenti superiore a 333 miliardi di euro. Eppure - si legge nel rapporto - a una cos? accentuata flessione delle spese produttive, determinata dalla recessione in atto e dalle aspettative negative, non ? corrisposto un peggioramento di eguale portata dei conti delle imprese e un proporzionale prosciugamento di risorse liquide. Dal 2008 a oggi il margine operativo lordo delle imprese si ? mantenuto elevato e a tratti crescente. E il patrimonio netto disponibile delle imprese, oltre a essere 5,8 volte l'ammontare degli investimenti fissi lordi, rileva un andamento crescente. Una discrasia che per il Censis, non ha precedenti. Le risorse liquide disponibili sono passate dai 238 miliardi di euro del 2008 ai 279 miliardi del 2013 (+17,3%). Se il grande capitalismo familiare italiano appare quasi sotto assedio, resta - questo il parere del Censis - una carta vincente per il Paese il microcapitalismo di territorio. Ancora nel primo semestre del 2014 le esportazioni degli oltre 100 distretti industriali (che contribuiscono per piu' di un quarto del valore aggiunto manifatturiero del Paese) sono cresciute del 4,2%, in termini tendenziali, a fronte di un incremento dell'1,2% dell'export manifatturiero complessivo. Nel 2014 il fatturato dei distretti e' stimato in crescita del 2,2% e del 4,7% nel 2015.

    MANUFATTURIERO IN DIMINUZIONE - Tra il 2008, con la prima ondata di crisi, e la fine del 2014 l'Italia ha perso pi? di 47.000 imprese manifatturiere, con una flessione vicina all'8%. La flessione non accenna a diminuire, dato che solo nell'ultimo anno la riduzione nel comparto ? stata dell'1,1%, con una fuoriuscita di oltre 5.700 imprese. I comparti in maggiore sofferenza sono quelli dei prodotti in legno, dei mobili, della produzione di pc e di prodotti elettronici, il tessile, i prodotti farmaceutici, la produzione di macchinari, le apparecchiature elettriche e i prodotti in metallo. In questi comparti la flessione del numero di imprese, tra il 2008 e il terzo trimestre del 2014, ? stata superiore al 10%. La riduzione del numero di imprese manifatturiere si ? accompagnata a una drastica riduzione del valore aggiunto, in caduta libera del 17% tra il 2008 e il 2013. L'Italia - spiega il Cenis - ha per? rivelato performance eccellenti sui mercati esteri. Ad eccezione del 2009, il livello delle esportazioni ha continuato a crescere, ma soprattutto continua l'ascesa dei valori medi unitari all'export dei principali prodotti manifatturieri. Con- tinuano a crescere le esportazioni di prodotti hi-tech, ovvero ad elevato contenuto tecnologico: dalla farmaceutica alle Ict, dall'aerospazio alle apparecchiature elettroniche e di precisione, con una variazione di oltre il 6% tra il 2012 e il 2013, e del 35% rispetto al 2008. Ma crescono costantemente anche le esportazioni dei principali comparti a media tecnologia, che rappresentano ben il 36% del valore complessivo delle esportazioni italiane.

    DIMINUITA SPESA GENERI ALIMENTARI - La spesa per generi alimentari delle famiglie italiane ? diminuita nel periodo di crisi 2007-2013 del 12,9 in termini reali, contro una dinamica complessiva della spesa per consumi pari a -8%. "A fronte di una caduta della spesa, si registra per? una espansione del significato sociale del rapporto con il cibo, che ci spinge ben oltre la sua funzionalit? generica. Il successo di vino e cibo italiani nel mondo ? uno degli indicatori pi? significativi del fortissimo appeal del nostro stile di vita come interprete di valori -dalla domanda di qualit? alla sostenibilit? - che nel post crisi saranno sempre piu' importanti nelle culture globali". Per il 51% degli italiani la tipicit? si sostanzia nel patrimonio culturale, storico e artistico, e per il 50% nel cibo e nel vino. Questo ? ancora pi? vero per i giovani tra i 18 e i 34 anni, per cui l'importanza enogastronomica sale al 55,7%. Il Censis segnala anche l'acquisto di prodotti a "chilometri zero", entrati ormai nel quotidiano della tavola degli italiani in quanto coinvolge 18 milioni di cittadini che lo fanno regolarmente e 25,3 milioni di tanto in tanto. Colpisce anche il successo della cucina in gruppi socio-demografici tradizionalmente meno permeabili ad una attivit? per molto tempo inchiodata alla pura funzionalit? e alla dimensione di genere. "L'Italian food - spiega il Rapporto - contagia anche i luoghi pi? avanzati della globalizzazione, costituisce uno dei veicoli primari tramite il quale il nostro paese sta riuscendo a conquistare, con logica di soft power, cuori, menti e portafogli dei cittadini a livello planetario".

    SCUOLA DIGITALE TROPPO COSTOSA - Se 100 studenti italiani iscritti all'ultimo anno di scuola secondaria di I grado o al terzo della secondaria di II grado dispongono rispettivamente di 8,3 e 8,2 computer, 100 dei loro coetanei europei ne hanno mediamente 21,1 e 23,2. Il 25,3% degli studenti di terza media e il 17,9% dei colleghi del terzo anno delle superiori frequentano scuole prive di connessione a banda larga, a fronte di corrispondenti valori medi europei di gran lunga inferiori (rispettivamente, 5% e 3,7%). La frequenza di scuole dotate di ambienti d'apprendimento virtuale ? un'esperienza che coinvolge il 19% degli studenti in uscita dalla scuola media di I grado e il 33% degli iscritti al terzo anno della secondaria di II grado, quote ancora una volta sensibilmente inferiori alle medie europee (58% e 61% studenti in et? corrispondente). I dirigenti di scuola secondaria di II grado intervistati dal Censis hanno evidenziato quali principali problematicit? l'obsolescenza troppo rapida della dotazione tecnologica, i costi che devono essere sostenuti per il collegamento internet e la carente disponibilit? di spazi e strumenti adeguati. Nell'86,6% e nel 68,2% dei casi ritengono che la creazione di piattaforme per il reperimento e la fruizione di materiale e servizi didattici, insieme al passaggio da una logica di propriet? (infrastrutture, dispositivi, ecc.) a una di servizio (a canone) siano soluzioni migliorative molto praticabili. A questi aspetti si aggiungono l'autonomia scolastica quale leva per l'adeguamento strutturale (70,5%) e l'aumento del materiale didattico digitale autoprodotto dalle scuole (67,5%). L'uso diffuso di materiale didattico digitale ? riscontrabile solo nel 18,1% delle scuole intervistate, tuttavia nell'88,4% dei casi alcuni docenti si sono cimentati nella produzione di questo tipo di risorse.

    CALO QUOTIDIANI, CRESCE INFO SUL WEB - Nel 1990 erano poco meno di 7 milioni le copie di quotidiani vendute ogni giorno in Italia, ed era il record storico; oggi siamo sotto i 4 quattro milioni. Una discesa continua, quasi inarrestabile, senza possibilit? non di fermarla ma almeno rallentarla. E l'occupazione dei giornalisti ne ha risentito. Non a caso la quota di italiani che fanno a meno dei mezzi a stampa nella propria 'dieta mediatica' ? salita a quasi la met? della popolazione (precisamente, il 47%). C'? invece un 20,8% della popolazione che legge i quotidiani online e il 34,3% i siti d'informazione. I lettori di quotidiani online pi? forti appartengono alla fascia d'et? adulta (tra i 30-44enni il dato raggiunge il 31,8%). E i siti web di informazione non legati direttamente ai quotidiani sono preferiti anche dai piu' giovani (il 43% tra 14 e 29 anni, il 52,4% tra 30 e 44 anni). A voler fare un confronto tra i dati relativi alle vendite di copie cartacee dei quotidiani e agli abbonamenti dei loro corrispondenti digitali prendendo a riferimento luglio 2013 e il corrispondente mese del 2014, ecco subito evidente come le prime abbiano continuato il loro trend in discesa, con un calo del 9,8%, mentre i secondi hanno fatto registrare un incremento del 57% (+186.000 unit?). E questo ha determinato un cambio di paradigma anche all'interno delle redazioni giornalistiche: si registrano flessioni nel numero dei giornalisti occupati in tutti i segmenti del settore editoriale. Nel 2013 il calo pi? pronunciato si ? registrato nei periodici (-7,7%), seguiti dai quotidiani (-5,6%) e dalle agenzie di stampa (-3,9%). In media, il ridimensionamento della forza lavoro giornalistica ? stato del 6,1%, in valore assoluto pari a 602 unit? lavorative nei confronti dell'anno precedente. Tra il 2009 e il 2013 il numero dei giornalisti 'fuoriusciti' - non appare casuale la scelta di questo termine da parte del Censis - dal settore dell'editoria giornalistica ? stato di 1.662 unit?, di cui 887 nell'area dei quotidiani (-13,4%) e 638 in quella dei periodici (-19,4%). Il fatto che il numero di iscritti all'Ordine dei giornalisti resti sostanzialmente invariato (112.046 contro i 110.966 del 2011, con un aumento dell'1% circa), non significa che non siano cambiate per? le condizioni alle quali i giornalisti lavorano. Tra il 2000 e il 2013 si ? ridotto il lavoro dipendente (-1,6%) ed ? cresciuto quello autonomo (+7,1%). Se nel 2000 il lavoro autonomo era svolto da poco pi? di un giornalista su tre, nel 2012 i giornalisti freelance sono diventati 6 su 10.

    In questo quadro ecco affermarsi nelle realt? locali la cosiddetta 'informazione policentrica di prossimit?', ovvero una marcata presenza degli strumenti mediatici a disposizione dei cittadini in un sistema. Presenza che va dal recupero delle testate locali alla sperimentazione delle tante forme di web community, in cui dare valorizzazione alle vicende delle singole realt? territoriali e alle diverse componenti sociali che animano la periferia territoriale, anche al di l? dei soli avvenimenti di cronaca e delle ricorrenti congiunture politico-elettorali. Ed ecco che a livello locale si contano pi? di 500 televisioni attive, oltre 1.000 emittenti radio, pi? di un centinaio di quotidiani, una miriade di testate web e blog. L'apprezzamento del pubblico verso questo tipo di informazione emerge con evidenza dai dati: l'82,4% degli italiani dichiara di aver fatto ricorso a un mezzo di informazione locale negli ultimi sette giorni. E anche qui, a livello locale, resta comunque la televisione il dominus della scena mediatica: con il 68,9% di utenti, il tg regionale della Rai ? il mezzo pi? usato. Seguono le tv locali private, con il 51,6% di utenza, e i quotidiani locali (40,2%), che si confermano il terzo mezzo pi? seguito. Le radio locali sono seguite da poco pi? di un terzo della popolazione (37,4%). L'utenza delle testate locali online si attesta all'11,8%. E sono significativi i giudizi espressi dagli italiani in merito alle qualit? dei media locali. I soggetti pi? istruiti, diplomati e laureati li apprezzano perch? li sentono pi? vicini alla loro realt? quotidiana (69%), perch? forniscono notizie utili (39,8%) e perch? ? pi? facile entrare in contatto con le loro redazioni (23,1%), a testimonianza di un interesse verso i mutamenti in corso nel territorio in cui inserirsi attivamente, nonch? della necessit? di avere un rapporto diretto con i soggetti territoriali (associazionismo sociale, rappresentanze imprenditoriali e categoriali, amministrazioni pubbliche come Regioni, enti locali, ecc.). Le persone meno istruite li considerano pi? credibili (23,7%) e pi? professionali (14,6%): in questi media cercano soprattutto un'informazione pi? semplice e vicina.

    CRESCONO NEGOZI IN MANO A STRANIERI - Le imprese di commercio al dettaglio gestite da stranieri nel nostro Paese sono complessivamente 125.965, rappresentano il 15% del totale e registrano una crescita del 13,4% dal 2011 a oggi. Quelle italiane, invece, si sono ridotte del 2,4%. Lo rende noto il Censis nel suo 48esimo rapporto sulla situazione sociale del paese. In particolare, si legge, nel commercio al dettaglio in sede fissa abbiamo assistito alla scomparsa di circa 10.000 negozi su tutto il territorio nazionale. I negozi gestiti da stranieri, invece, che sono 40.504 e rappresentano il 6,2% del totale, crescono di oltre 3.000 unit?, con una variazione positiva del 9,2%. La tendenza ? confermata anche dai dati relativi ai primi sei mesi del 2014.

    RIORGANIZZAZIONE - Su un campione rappresentativo di imprese con oltre 20 addetti, negli anni della crisi, ben il 41,8% ha rimesso mano all'organizzazione aziendale apportando significativi cambiamenti. La sostituzione di professionalit? divenute ormai obsolete ? stata effettuata dal 40,3% del totale delle imprese e ha rappresentato un passaggio ineludibile. Il 41,9% ha effettuato assunzioni inserendo nuove professionalit? in azienda e il 26,9% si ? attivato per riconvertire e riqualificare il personale esistente. Due le logiche che spingono le aziende a riorganizzarsi: da un lato quella di tipo difensivo, applicata soprattutto da chi vive una fase di ridimensionamento e per il quale la riorganizzazione rappresenta l'ultima chance di sopravvivenza, dall'altro c'? invece un modello di riorganizzazione aziendale che segue una logica pi? spinta e aggressiva, tipica di chi vive una fase di crescita e di espansione. Nel primo caso, su 100 aziende che si sono riorganizzate - spiega il Censis - 36 si trovano in una situazione di grossa difficolt?. Le azioni messe in campo sono: tagli al personale (48,7%), riduzione di orari (45,7%), riqualificazione e riconversione delle figure professionali esistenti (30,9%). Nel secondo caso, invece, la logica pi? aggressiva - prosegue il rapporto - interessa circa l'8% delle aziende: il 75% ha assunto nuove professionalit? e ben il 53,7% ha dovuto acquisire competenze del tutto nuove che prima non aveva. "Quale che sia il rapporto di causa effetto - si legge - in queste realta' l'occupazione cresce".

    CAMPANIA MAGLIA NERA PER L'USO DEL PC - Maglia nera alla Campania nell'uso del pc: ? del 48% la percentuale di persone tra i 16 e i 74 anni che non hanno mai utilizzato il computer. Ma anche Piemonte (35%), Umbria (35%) e Lazio (30%) si segnalano con percentuali elevate. La media europea ? del 19%, valore cui si avvicinano la Provincia autonoma di Bolzano (23%), Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia (28%), la Lombardia (29%). Lo sviluppo della banda larga mobile e la diffusione degli smartphone si candidano a diventare i vettori di inclusione nella quotidianit? virtuale di una parte di popolazione italiana finora dissuasa dalla complessit? di uso del personal computer, ma intrigata dalla tecnologia user friendly delle applicazioni su dispositivi mobili. La priorit? di ridurre al 15% della popolazione il prossimo anno la percentuale di chi non ha mai usato Internet - percentuale fissata dall'Agenda Digitale - non ? per? l'unica battaglia che dovrebbe vedere attive le politiche di inclusione e sviluppo digitale del Paese. Si contano infatti ritardi su ritardi dell'Italia sul fronte della modernit? delle infrastrutture rispetto agli altri Paesi membri dell'Unione europea. Se infatti da un lato la banda larga ormai pu? vantare una diffusione in linea con i richiami di Bruxelles, sul fronte della velocit? di connessione e sulla diffusione delle cosiddette Nga (Next Generation Access), evoluzione nell'uso degli impianti a fibra ottica, il quadro appare invece meno roseo. Se nei progetti strategici dell'Italia c'? il raggiungimento di una copertura a 30Mbps su tutto lo Stivale, e sulla met? addirittura l'implementazione a 100Mbps entro il 2020, lo scorso anno intanto solo il 21% delle famiglie ha potuto avvantaggiarsi di una copertura ultratecnologica (Nga). E per quanto riguarda lo standard delle connessioni, l'1% dei contratti ? stipulato per una velocit? pari o superiore a 30Mbps e lo 0% contempla una velocit? di rete pari o superiore a 100Mbps, mentre la media Ue segna un 5%.

    CALO INVESTIMENTI PUBBLICITARI, MA LA TV DOMINA SEMPRE - Nei primi sei mesi del 2014 si evidenzia un calo degli investimenti pubblicitari del 2,4%. La televisione ha beneficiato dell'effetto della Coppa del mondo di calcio segnando un +1,3% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente; la carta stampata registra una flessione dell'11%, la radio del 2,9% e internet, dopo la galoppata a due cifre conosciuta fino al 2012, ha subito una battuta d'arresto (+0,1%). Il Censis segnalando che il primo capitolo della transizione della pubblicit? degli ultimi anni ? costituito dalla diffusione di nuove modalit? di fruizione: ha fatto il suo ingresso in scena la pubblicit? on demand, "fai da te", autogestita dall'utente-consumatore del web 2.0. Il secondo capitolo ? invece consistito nel passaggio dalla tradizionale reclame delle aziende alla web reputation attraverso la costruzione di una immagine aziendale 2.0. Oggi si pu? parlare di un terzo capitolo di questa transizione: la continuit? tra online advertising e e-commerce. La televisione si conferma il mezzo dominante, riuscendo a convogliare pi? della met? delle risorse spese annualmente dalle aziende per l'informazione commerciale. I quotidiani invece assorbono una fetta di mercato pari al 12,7% contro il 7,6% della stampa periodica; internet si attesta al 7,3% del totale. Nel commercio elettronico l'Europa registra un giro d'affari pari a 350 miliardi di euro nel 2013, dimostrando cos? una buona vitalit?. I Paesi con il maggiore sviluppo sono il Regno Unito, con un valore di 107 miliardi di euro, la Francia, che pu? contare su un mercato di vendite che pesa 51 miliardi di euro, e la Germania, con 50 miliardi di euro derivanti dall'e-commerce. L'Italia, seppure lontana da queste cifre, secondo le stime chiuder? il 2014 con pi? di 13 miliardi di euro e una crescita del 17% rispetto all'anno precedente. In Italia la percentuale di consumatori elettronici si attesta al 29% con riferimento a un negozio online domestico e l'11% ha scelto un rivenditore presente in un altro Paese dell'Unione europea. Lo stesso vale anche per i tre big spender dell'Ue: nel Regno Unito il 66% dei consumatori ha premiato un sito inglese, contro un 20% di compere registrate sul server di un altro Paese europeo. Il 59% dei tedeschi compra da siti web nazionali, contro il 13% che ha effettuato shopping da portali esteri. Non dissimile la situazione in Francia, dove il 51% dei consumatori ? cliente di una realt? online di casa propria, a fronte di un 19% che fa shopping oltreconfine.

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      #3
      Al vertice dell'istituto dal 1974, ha annunciato la nomina del secondogenito Giorgio. Eppure il Centro studi, nel corso degli anni, ha spesso parlato di raccomandazioni in chiave negativa. Non vale per? per il presidente senior: "Mio figlio? Ha il curriculum adeguato"
      Censis, anno 2007. Il rapporto annuale dell?istituto segnala l?insoddisfazione nei confronti delle istituzioni. Rapporto causa-effetto: si crea una sorta di legittimazione della scorrettezza che ? percepita come una risposta sana e fisiologica. Quindi? Si evade il fisco, si chiedono raccomandazioni, e cos? via. ?Raccomandazioni?, termine famigliare per gli italiani, tanto nel 2007 come nel 2014, per cercare lavoro e opportunit?. Dalla teoria alla pratica: Giuseppe De Rita, attuale presidente del Censis, ha appena annunciato la nomina di suo figlio Giorgio a ?segretario generale per il triennio 2015-2017 nonch? facente funzione nello stesso periodo di Direttore Generale?. Lo stesso Giuseppe che ha appena presentato il rapporto Censis 2014, analisi severa sulla politica italiana, la societ? in declino e le imprese che, soffocate dalla crisi, non investono. Contingenze economiche che si abbattono sulle famiglie e sui loro figli, travolti da un mercato del lavoro precario e flessibile. Ma soprattutto incerto.

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      Non ? cos? per Giorgio, fresco di successione alla guida del Centro Studi Investimenti Sociali, ?istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964″, divenuta fondazione composta da enti pubblici e privati dal 1973 che tra i suoi clienti ha tanti enti pubblici. Detto in altre parole, si legge sul sito dell?istituto, ?il lavoro di ricerca viene svolto prevalentemente attraverso incarichi da parte di ministeri, amministrazioni regionali, provinciali, comunali, camere di commercio, associazioni imprenditoriali e professionali, istituti di credito, aziende private, gestori di reti, organismi internazionali, nonch? nell?ambito dei programmi dell?Unione europea?. Giorgio, secondogenito, ha appena 12 anni quando il pap? Giuseppe ? che ha altri sette figli avuti dalla moglie Maria Luisa Bari ? diventa presidente della Fondazione. Nessun ricambio al suo vertice, perch? De Rita senior, insediato nel 1974, ? rimasto al suo posto fino a oggi. Trent?anni precisi, fino al cambio di testimone, sempre in famiglia.

      Le domande de ilfattoquotidiano.it in merito alla raccomandazione sul successore per il presidente senior sono ?gossip? e ?cazzate? perch? lui non vede proprio ?nessun conflitto d?interesse?. Anzi, a dirla tutta, visto che siamo alla presentazione del rapporto, si tratta di ?domande che non c?entrano niente?. ?Si chiama De Rita? Eh, ciccio, questo ? un modo per cercare il capello a oltranza?, dice infastidito il presidente da tre decadi, perch? l?ascesa di Giorgio per lui ha proprio tutte le carte in regola. ?Mio figlio ha il curriculum adeguato?, insiste. Vanta un passato da ?amministratore delegato di Nomisma che ? una grande societ? di ricerca, ? stato direttore generale della societ? che si occupa di digitalizzazione dello Stato (direttore generale dal 2012 con un incarico da 158mila euro l?anno, ndr) ed ? una persona per bene. A nominarlo ? stato il cda, formato da quindici grandi aziende come Telecom e Banca Intesa. Quindi non ? una nomina fatta in famiglia?. Insomma, dice pap? De Rita, ?dove trovavo un altro con il suo curriculum?, visto che ritiene il suo ?di ottima levatura??. E se si fosse affidato ai cacciatori di teste? Ipotesi da scartare, se ? per ?farmi portare uno che non ha quel tipo di esperienza?. Nulla da fare, i figli so? pezzi ?e core. I pi? bravi, i pi? preparati, i migliori.


      Lo penseranno anche le famiglie di cui parla il rapporto Censis 2014 per le quali, per?, in futuro ? fatto di salite perch? riserva ?incertezza, inquietudine, ansia?. E il sentiment per gli anni a venire non anticipa prospettive di maggiore serenit?: il 43,2% dei millennials (in et? compresa tra 18-34 anni) si sente inquieto perch? ha un retroterra fragile e il 26,6% in ansia perch? privo di una rete di copertura. In sostanza, un sentiment senza diritto di successione garantito.

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        #4
        L'utilizzo record da parte degli ultimi tre governi dei dl accompagnati dal voto fiducia ha esposto la societ? italiana a una sensazione di incertezza ed emergenza continuata. E cos? le imprese non investono e le famiglie non spendono, temendo possibili imprevisti, come la perdita del lavoro o la malattia. E la povert? viene vista come un "virus che pu? contagiare chiunque". Per i giovani, poi, le spese impreviste diventano un incubo
        Una politica che ?gira a vuoto?. Senza ottenere risultati in grado di incidere in modo positivo sull?economia del Paese e sulla societ?. E? la valutazione che l?annuale rapporto del Censis d? dell?azione dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Responsabili, insomma, di una politica che ?resta confinata al gioco della stessa politica?. Il dossier sottolinea infatti ?il progressivo fallimento di molte riforme?, spesso ?distaccate da un quadro coerente e inadatte a formare una visione unitaria di ci? che potr? o dovr? essere il Paese nei prossimi decenni?. Un esempio su tutti? Le riforme del mercato del lavoro, che ?nel perseguire la flessibilit? hanno generato precariet??. E mentre nelle periferie esplode la questione casa, il Censis evoca addirittura il rischio banlieue: l?Italia ?ha fatto della coesione sociale un valore e si ? spesso ritenuto indenne dai rischi delle banlieue parigine?, ma le problematicit? ormai incancrenite di alcune zone urbane ?non possono essere ridotte ad una semplice eccezione?.

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        Troppi decreti legge, come 11 Divine Commedie ? Sul banco degli imputati finisce soprattutto l?utilizzo dei decreti legge approvati spesso con voto di fiducia. L?istituto di ricerca fa i conti: dall?avvio della stagione di riforme nell?autunno del 2011 i governi Monti, Letta e Renzi hanno portato in Parlamento ben 86 decreti che, con le successive modifiche e conversioni in legge, raggiungono un totale di 1,2 milioni di parole: l?equivalente di oltre undici Divine Commedie fatte di norme e codici, che non hanno portato ad alcun decollo dello sviluppo e dell?occupazione. Ma che secondo il Censis hanno avuto una conseguenza negativa certa: ?L?aver perso per strada il principio costituzionale di straordinariet? dei provvedimenti introdotti con decreto legge ha esposto la societ? italiana a una sensazione di emergenza continuata?.

        Pochi investimenti da famiglie e imprese - La sensazione di emergenza si accompagna nella vita di tutti i giorni alle conseguenze della crisi, che si traducono in una costante incertezza. E cos? l?approccio prevalente delle famiglie diventa quello dell?attesa. La gestione dei soldi, per esempio, ? fatta sulla base di logiche di ?breve e brevissimo periodo?. Tra il 2007 e il 2013 ? rileva il Censis ? tutte le voci delle attivit? finanziarie dei nuclei familiari sono diminuite, tranne i contanti e i depositi bancari, aumentati in termini reali del 4,9%, arrivando a costituire il 30,9% del totale (erano il 27,3% nel 2007). ?Prevale un cash di tutela ? si legge nel rapporto ? con il 45% delle famiglie che destina il proprio risparmio alla copertura da possibili imprevisti, come la perdita del lavoro o la malattia, e il 36% che lo finalizza alla voglia di sentirsi con le spalle coperte. La parola d?ordine ?: tenere i soldi vicini per ogni evenienza, ?pronto cassa??. Da un lato i contanti funzionano da carburante per il nero e il sommerso. Dall?altro i soldi fermi sui conti correnti sono la contromisura al rischio povert?, percepita come ?un virus che pu? contagiare chiunque?, e vengono cos? sottratti dagli investimenti. E allora la societ? italiana diventa per il Censis la societ? ?dal capitale inagito?, ovvero delle risorse inutilizzate e sprecate. Una societ? dove anche le imprese non rischiano pi?: dal 2008 si ? registrata una flessione degli investimenti di circa un quarto. E ancora: ?L?incidenza degli investimenti fissi lordi sul Pil si ? ridotta al 17,8%, il minimo dal dopoguerra?.

        In otto milioni non lavorano, lo spreco di capitale umano - Capitali finanziari inutilizzati. Ma anche capitale umano che non si trasforma in energia lavorativa: ?Agli oltre 3 milioni di disoccupati ? ricorda il Censis ? si sommano quasi 1,8 milioni di inattivi perch? scoraggiati. E ci sono 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare. ? un capitale umano non utilizzato di quasi 8 milioni di individui?. Pi? penalizzati sono i giovani, visto che i 15-34enni costituiscono il 50,9% dei disoccupati totali. E sono in continua crescita i Neet, ovvero gli under 30 che non sono impegnati in percorsi di istruzione o formazione, n? cercano lavoro: sono passati da 1.832.000 nel 2007 a 2.435.000 nel 2013.

        Patrimonio artistico sottoutilizzato ? Anche le risorse artistiche e culturali non vengono sfruttate. ?Siamo un Paese dal capitale inagito anche perch? l?Italia riesce solo in minima parte a mettere a valore il ricco patrimonio culturale di cui dispone?. In Italia il numero di lavoratori nel settore della cultura ? di 304.000, l?1,3% degli occupati totali: meno della met? di quello di Regno Unito (755.000) e Germania (670.000), e di gran lunga inferiore rispetto a Francia (556.000) e Spagna (409.000). Nel 2013 il settore ha prodotto un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro (solo l?1,1% del totale del Paese), contro i 35 miliardi della Germania e i 27 della Francia.

        La politica parla su twitter, mentre la pubblica amministrazione si svuota di competenze - In questa situazione che incide negativamente sulle aspettative dei cittadini, la politica ? tutt?altro che incisiva. L?abuso dello strumento del decreto legge porta all?aggiramento delle istituzioni intermedie e si accompagna, sul piano della comunicazione, alla necessit? degli organi di governo di parlare direttamente agli elettori attraverso i social network. Il che causa, secondo il Censis, ?un sostanziale appiattimento delle differenze: nero o bianco, dentro o fuori, a favore o contro?. La politica non riesce poi a porre rimedio alle inefficienze della pubblica amministrazione: ?Abbiamo grandi strutture ormai letteralmente vuote di competenze e di personale ? si legge nel report ? abbiamo grandi ministeri e grandi enti pubblici il cui funzionamento ? appaltato a societ? esterne di consulenza o di informatica, abbiamo strutture pubbliche che sono ambigue propriet? di principati personali (?) abbiamo un aumento degli scandali direttamente proporzionale all?enfatizzazione di una mitica trasparenza?. Per recuperare credibilit? di fronte a tale situazione, in un clima di continua denuncia della ?casta?, ?non basta l?enfasi che il mondo delle istituzioni ha dato a due concetti fondamentali, legalit? e trasparenza?.

        La palude dei lavori pubblici: speso solo il 20% dei fondi europei ? A tutto questo si aggiungono ?le difficolt? ad avviare e portare a compimento lavori pubblici importanti?. Lo si ? visto in relazione alle emergenze, come le recenti alluvioni, e in relazione al prolungarsi indefinito di operazioni complesse, come la ricostruzione dell?Aquila. E anche quando le risorse ci sono, queste vengono utilizzate male. ? il caso, secondo l?istituto di ricerca, dei fondi europei. Dai dati sugli 807mila progetti monitorati nell?ambito delle politiche europee di coesione 2007-2013 si scopre infatti che la spesa certificata a luglio 2014 ? pari a 32,3 miliardi, ovvero appena il 40,3% degli 80 miliardi corrispondenti al totale delle risorse programmate. Tale percentuale ? ancora pi? bassa nel caso degli interventi infrastrutturali: ?A un anno dalla chiusura del periodo di programmazione europea si ? speso appena un quinto delle risorse (20,4%)?. Tanto che il Censis parla di ?palude dei lavori pubblici?.

        Sanit? pubblica e welfare sempre meno accessibili. Soprattutto per i giovani ? Gli italiani si sentono sempre meno garantiti dal sistema della sanit? pubblica e del welfare. La politiche di spending review hanno fatto s? che il 50,2% della popolazione pensi che le disuguaglianze in ambito sanitario sono aumentate. La spesa privata per le cure, inoltre, ? cresciuta dai 29.578 milioni di euro del 2007 ai 31.408 milioni del 2013. ?Nel nuovo contesto si registra non solo un approfondimento di disuguaglianze antiche ? scrive il Censis ? ma anche l?insorgenza di disuguaglianze inedite legate alla nuova geografia dei confini pubblico-privato in sanit?, e all?espansione della sanit? a pagamento o, per chi non ce la fa, la rinuncia a curarsi e a fare prevenzione?. Per quanto riguarda il welfare in generale, i giovani vivono ormai una sorta di ?estraneit? alla protezione sociale?. Il 40,2% di loro dichiara infatti che negli ultimi dodici mesi le prestazioni sanitarie, per istruzione e di altro tipo, non sono pi? gratuite come prima ma gravate da qualche forma di contribuzione. Tale effetto si aggiunge alle spese impreviste che i giovani considerano un vero ?incubo?: affitto, spese condominiali, spese per le bollette di luce, gas e telefono. La conseguenza? Dei circa 4,7 milioni di giovani che vivono per conto proprio, oltre un milione non riesce ad arrivare a fine mese e si stimano in 2,4 milioni coloro che ricevono regolarmente o di tanto in tanto un aiuto economico dai propri genitori. ?Non avere le spalle coperte e dipendere strutturalmente dai genitori genera un inevitabile deficit di progettazione nella vita?.

        Turismo, design e cibo: ecco le good news - Per trovare qualche buona notizia bisogna andare a parare nei settori dove da sempre siamo apprezzati all?estero. L?Italia ? la quinta destinazione turistica al mondo, con 186,1 milioni di presenze turistiche straniere nel 2013 e 20,7 miliardi di euro spesi (+6,8% rispetto al 2012). Siamo ancora forti nell?export delle 4 A del made in Italy (alimentari, abbigliamento, arredo-casa e automazione), che ? aumentato del 30,1% in termini nominali tra il 2009 e il 2013. L?Italian style non perde il suo fascino, insomma. Il settore agroalimentare, per esempio, ? una delle componenti pi? dinamiche dell?export: 27,4 miliardi di euro nel 2013, con un aumento del 26,9% rispetto al 2007. L?Italia ? il Paese con il pi? alto numero di alimenti a denominazione o indicazione di origine (266), seguito a distanza da Francia (219) e Spagna (179).

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          #5
          Prima al tg spiegavano che rispetto al 2012 la spesa per le pensioni ? aumentata

          E la spesa x le pensiono son Centinaia di miliardi eh

          Nonostante la riforma fornero che ci fa lavorare di pi?, nonostante i pensionati siano leggermente calati, e nonostante siano diminuiti gli importi stessi delle pensioni

          Insomma, un successone
          Last edited by arabykola; 05-12-14, 19:34.

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            #6
            Originally posted by arabykola View Post
            Prima al tg spiegavano che rispetto al 2012 la spesa per le pensioni ? aumentata

            E la spesa x le pensiono son Centinaia di miliardi eh

            Nonostante la riforma fornero che ci fa lavorare di pi?, nonostante i pensionati siano leggermente calati, e nonostante siano diminuiti gli importi stessi delle pensioni

            Insomma, un successone
            Per forza... ci son sempre pi? vecchi... l'aspettativa di vita ? alta.. la popolazione che aveva 80 anni 80anni fa ? sicuramente molto pi? bassa in percentuale della popolazione 80enne (o superiore) odierna...
            Contando che poi molti tra i 40 e i 55 anni hann perso il lavoro (aziende chiuse e a casa...)..
            Contando che i giovani lavorano in pochi, poco e pagati poco con pochi contributi (poche "tasse" per pagare pensioni)per far si che le poche aziende in piedi li assumano (tranquillo, ho finito i "poco" :gaen, in nome della "flessibilit?" (o dello schiavismo?)...
            Non se ne viene fuori

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              #7
              Fonte ocse

              Secondo l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l'incidenza sul totale delle uscite statali ? del 32%. La riforma Fornero rende il sistema pi? sostenibile ma incide negativamente sul reddito di chi esce dal lavoro. Il segretario generale Gurr?a: "Bisogna lavorare pi? a lungo"
              Ogni dieci euro di spesa pubblica, l?Italia ne destina 3,2 alle pensioni. Una cifra che ci porta al primo posto, tra i Paesi industrializzati, per peso della previdenza sulle uscite dello Stato. A rilevarlo ? l?Ocse, nel rapporto 2014 sui sistemi pensionistici. Mentre il governo studia correttivi alla riforma Fornero, soprattutto sul fronte dell?uscita anticipata dal lavoro, l?Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha diffuso i dati relativi al 2011. Sottolineando che i ritocchi del 2012 hanno avuto un impatto positivo sulla sostenibilit? finanziaria, ma effetti negativi sull'?adeguatezza del reddito? dei pensionati. Questo a fronte del fatto che gi? oggi, come risulta dalle ultime rilevazioni Istat, il 41% di quanti hanno lasciato il lavoro percepisce un assegno inferiore ai 1000 euro al mese.

              pensioni ocse

              L?outlook dell?Ocse spiega che la crisi ha spinto la maggior parte dei Paesi a accelerare le riforme per rendere i loro sistemi pensionistici pi? sostenibili dal punto di vista finanziario, aumentando le tasse sui redditi da pensioni e sui contributi pensionistici, riducendo o rinviando l?indicizzazione delle prestazioni e aumentando l?et? pensionabile. Sforzi che si sono tradotti in progressi ?incoraggianti?, secondo il segretario generale dell?Ocse, Angel Gurr?a. ?Ma il rapido cambiamento demografico in corso e il rallentamento dell?economia globale sottolineano la necessit? di riforme continue. Dobbiamo comunicare meglio il messaggio che lavorare pi? a lungo e contribuire pi? ? l?unico modo per ottenere un reddito dignitoso in pensione?.

              Aumentare l?et? effettiva di pensionamento pu? aiutare, si legge ancora nel rapporto, ma sono necessari soprattutto maggiori sforzi per assistere i lavoratori anziani nel trovare e mantenere un?occupazione. Le politiche pubbliche per ridurre la discriminazione basata sull?et?, migliorare le condizioni di lavoro e aumentare le opportunit? di formazione per i lavoratori anziani sono essenziali. Per quanto riguarda gli interventi sui singoli sistemi pensionistici, ? indispensabile aumentare i tassi di copertura nei Paesi in cui le pensioni a capitalizzazione sono volontarie. La relazione chiede inoltre che sia rafforzato il quadro normativo per far s? che i fondi pensione affrontino in modo adeguato il progressivo invecchiamento della popolazione. Per esempio i regolatori dovrebbero assicurarsi che utilizzino tavole di mortalit? regolarmente aggiornate, che incorporino l?aumento della speranza di vita.



              Cominciamo : lavorare di pi?
              Venire pagati di meno
              Licenziamenti pi? liberi

              Alleluja

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                #8
                Arabriscola


                hai scritto un libro, per giunta scopiazzando,

                per dirci che siamo con le pezze al kulo ?

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                  #9
                  Originally posted by raster10 View Post
                  Arabriscola


                  hai scritto un libro, per giunta scopiazzando,

                  per dirci che siamo con le pezze al kulo ?
                  Scopiazzando ? Io non faccio censis di cognome

                  Riporto qui per i diversamente informati

                  I primi sono alcuni dati dell annuale studio censis, l ultimo un articolo sui dati ocse

                  E nonostante ci? goshow ? riuscito a cannare in toto la sua analisi, ma si sa: leggere non significa capire

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                    #10
                    Comunque dati o non dati, ieri per l'ennesima volta la Merkel si ? permessa di giudicare l'Italia (e la Francia in questa occasione)


                    Renzi replica in sordina


                    nessuno si incazza.


                    Questi sono dati, si dati di fatto !!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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                      #11
                      Si ? vero
                      Ma son 2 cose diverse
                      La stessa merda, ma son aspetti diversi

                      Intanto la merkel si ? presa un 5 dal suo ministro dell economia



                      Il ministro dell'Economia tedesco, dopo la sortita di Angela Merkel e la reazione di Delrio, corregge il tiro e promuove il Jobs Act. Ma le polemiche e il declassamento del rating italiano da parte di S&P non affossano la Borsa. E il rendimento dei titoli di Stato a dieci anni resta intorno al 2%
                      Dopo le polemiche domenicali, con lo scontro a distanza tra Angela Merkel e Graziano Delrio sulle riforme ?insufficienti? messe in campo dall?Italia, il ministro delle Finanze di Berlino cerca di abbassare i toni. Wolfgang Schaeuble, arrivando al Consiglio Ue per la riunione dell?Eurogruppo dedicata all?esame delle bozze di legge di bilancio dei paesi dell?Eurozona, ha infatti corretto il tiro rispetto alle affermazioni della Cancelliera dando un giudizio ampiamente positivo sul Jobs Act. ?L?Italia ha appena approvato una notevole riforma del mercato del lavoro?, ha detto il ministro considerato uno dei ?falchi? del rigore, sempre pronto a bacchettare Roma per il suo debito elevato e notoriamente contrario alla sempre pi? concreta ipotesi che la Banca centrale europea possa avviare un piano di acquisto di titoli di Stato per rilanciare l?economia dell?Eurozona.

                      Quanto ai giudizi della Commissione Ue sulle leggi di Stabilit?, Schaeuble ha per? ricordato quanto gi? spiegato dal commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici: l?esecutivo Ue ?ha proposto di concedere pi? tempo ad alcuni Paesi? che rischiavano di non rispettare le indicazioni del Patto di stabilit? e crescita e ?ora quel tempo deve essere usato per rispettare le regole?. Lo stesso Moscovici ha ripetuto che il verdetto finale su Italia, Francia e Belgio ? rinviato a marzo, quando la Commissione ?terr? conto da una parte della situazione macroeconomica? e dall?altra ?degli sforzi che gli Stati fanno per ridurre il deficit strutturale e fare le riforme?. Il rischio per l?Italia ? che la Ue possa chiedere una nuova manovra aggiuntiva, dopo i circa 3 miliardi in pi? messi sul piatto da Pier Carlo Padoan a ottobre.

                      Scarse reazioni al taglio del rating: il tasso di interesse sui Btp a dieci anni resta intorno al 2%
                      Nel frattempo comunque la sortita della Cancelliera e il declassamento del rating dell?Italia da parte di Standard&Poor?s non stanno affossando Piazza Affari. Luned? mattina la Borsa di Milano ? partita in calo dello 0,73%, ma nel corso della mattinata ha recuperato terreno attestandosi a -0,3%. Maglia nera dell?area euro ? invece il listino di Parigi, seguito da quello di Francoforte. Per quanto riguarda l?impatto sui titoli di Stato, il taglio del merito di credito deciso da S&P non ha provocato un aumento dei rendimenti: il tasso di interesse che Roma paga ai risparmiatori che hanno acquistato Btp a dieci anni si mantiene intorno al 2%, livello sotto il quale ? sceso la scorsa settimana per la prima volta dall?introduzione dell?euro. I mercati evidentemente avevano gi? ?scontato? la bocciatura dell?agenzia di rating, motivata con il forte aumento del debito, la crescita debole e la bassa competitivit? del Paese. In pi? continuano a pesare positivamente le aspettative di un ?alleggerimento quantitativo? (?quantitative easing?), cio? appunto l?acquisto di titoli che Mario Draghi intende avviare per contrastare la deflazione e stimolare la ripresa. Gioved? si terr? il secondo round dei maxi-prestiti della Bce alle banche (Tltro) e, dopo il risultato in sordina dell?asta del 18 settembre, gli analisti presumono che le richieste si fermeranno a 150-170 miliardi sui 315 a disposizione. Un esito deludente renderebbe pi? urgente l?avvio del quantitative easing, perch? dimostrerebbe che l?iniezione di liquidit? negli istituti di credito, mirata a fare ripartire i prestiti all?economia reale, non sta funzionando.

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                        #12
                        Originally posted by raster10 View Post


                        hai scritto un libro, per giunta scopiazzando,
                        Copia incolla copia incolla copia incolla copia incolla

                        l arte preferita dal grillino medio



                        di loro non saprebbero scrivere una riga

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                          #13
                          a briskolone..stai grattando proprio il fondo...della pignatta

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                          • Font Size
                            #14
                            Nartro che legge ( forse) ma nun ha capito

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                              #15
                              no..i tuoi copia inkolla non li leggo...ma sono gi? sikuro di cosa minkia scrivi:gaen:

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