Facciamo due conti per chi ha voglia di leggere un p? hehe :
TORNARE ALLA LIRA: PERCHE’ SI’ – Chi sostiene che uscire dall’euro e tornare alla lira sia favorevole per la popolazione italiana quali argomentazioni porta a sostegno della propria tesi? Vediamone qualcuna.
- Il ritorno alla lira, secondo i fautori di questa strategia, portebbe il governo a ridurre le tasse durante le crisi economiche perch? non dovrebbe pi? rispettare vincoli di bilanci stabiliti a livello europeo.
- Legato al tema della tassazione c’? anche quello delle accise e, quindi, della benzina. Carburante meno caro perch? uno Stato a moneta sovrana ? libero di stampare moneta e, quindi, non ci si finanzierebbe solamente con l’imposizione fiscale e/o la riduzione di spesa pubblica, ma semplicemente stampando denaro. Questo, per?, porterebbe un notevole aumento del debito pubblico ed un ritorno a quelle politiche che hanno dominato nel nostro Paese negli ultimi decenni del secolo scorso.
- “L’euro di Serie B” creato a Cipro con il prelievo forzoso dei correntisti delle malsane banche dell’isola del Mediterraneo ? stata una prova di quanto potrebbe accadere, nei prossimi anni, a tutti i Paesi del Sud-Europa: saranno i depositanti a pagare il fallimento dei banchieri.
- Lo Stato dovrebbe tornare ad adempiere all’unico compito per cui esiste: garantire a tutti la sicurezza del futuro.
USCIRE DALL’EURO: PERCHE’ NO – A queste motivazioni teoriche ne fanno da contraltare altre, decisamente pi? pratiche e concrete, che suggeriscono che la strategia di uscire dall’euro e tornare alla lira possa non rivelarsi la scelta migliore. Quattro, in questo caso, i motivi per rimanere nell’unione monetaria.
- Le importazioni: Iniziamo da qui. I fautori del ritorno alla moneta nazionale portano, come potenziale beneficio, quello di svalutare la moneta e rilanciare le proprie esportazioni. Certo, ma ci si dimentica di due fattori: l’export italiano non va affatto male e, quindi, non necessita di un pesante piano di risanamento; inoltre l’Italia non ? solo una nazione esportartice ma, anzi, ? prevalentemente importatrice di materie prime (gas e petrolio su tutti) necessarie per soddisfare il deficit energetico e per garantire l’operativit? a quel tessuto industriale e manifatturiero che eccelle nel nostro Paese.
- Fuga di capitali: La Repubblica Ceca e la Slovacchia, negli anni ’90, hanno realizzato un’operazione simile; i rischi associati sono da legare anche ad una possibile fuga di capitali. Per questo ? necessaria un’operazione-lampo, per evitare che qualora la notizia raggiunga le sale finanziarie si possa scatenare una fuga di capitali verso nazioni con valute pi? forti e pi? sicure.
- Il debito: Attualmente il debito pubblico italiano ? quotato in euro e vale, all’incirca, 2 mila miliardi. In caso di uscita dall’unione monetaria i possessori dei titoli di Stato (soprattutto le istituzioni finanziarie estere che detengono 1/3 del nostro indebitamento pubblico) difficilmente accetterebbero di convertire i loro crediti in una valuta che vale meno. E’ probabile, in questo caso, che il nostro Paese debba comunque provvedere alla restituzione dello stock in euro a fronte di un Pil espresso in lire, tra l’altro svalutate. Il rapporto deficit/Pil, ad oggi al 130% e principale indicatore macro-economico di stabilit? di un Paese, rischierebbe di schizzare al rialzo al di sopra di quota 150%.
- Inflazione e tassi di interesse: e’ quanto si ? gi? visto negli anni ’70 ed ‘80. Svalutazione di moneta significa, soprattutto, inflazione alle stelle a causa del maggior costo dei prodotti importati. Prezzi alle stelle significano, soprattutto, rendimenti pi? elevati sui titoli di Stato. Titoli di Stato alle stelle significano, soprattutto, aumento degli interessi che lo Stato dovrebbe pagare per finanziarsi e, quindi, maggiore indebitamento.
LA CONCLUSIONE – La decisione, quindi, potrebbe ricondursi nuovamente ad un contesto di equit? intergenerazionale. Sul breve il ritorno alla lira potrebbe dare un buon slancio all’economia italiana, ma dopo pochi mesi gli effetti negativi sopravanzerebbero ampiamente quelli positivi.
- Nonostante ogni tanto usi delle affermazioni un po’ forti e si schieri in modo anti-conformista, il premio Nobel Joseph Stiglitz ha definito molto bene la questione – e non c’? da meravigliarsi visto che vanta cattedre al MIT di Boston alla Yale del Connecticut ed alla Columbia di New York.
- “Sarebbe meglio che fosse l’Europa ad abbandonare l’austerity – disse lo scorso 12 aprile Stiglitz – piuttosto che l’Italia a lasciare l‘euro”.
- Sebbene possano non essere condivisibili i programmi delle forze politiche “euro-scettiche”, a queste bisogna riconoscere un merito: raggiungendo una quota cos? ampia di consensi, stanno spingendo i partiti tradizionali a riorientare le proprie linee di pensiero verso questi cardini per riconquistare l’elettorato perso.
aggiungo:
Il meccanismo per abbandonare l’euro ? quindi estremamente complesso ( ricordiamo che i membri dell’Unione sono 27 Stati Sovrani e 17 fanno parte dell’ Unione Monetaria, cio? dell’area euro), ma una volta superati questi ostacoli cosa succederebbe allo Stato “secessionista”?
Facciamo il caso dello Stato secessionista debole ( ipotesi che pi? si attaglia al nostro paese). Contrariamente a quello che si pu? credere il passaggio dall’ Euro ad una Nuova Lira non sarebbe indolore. Non ? infatti un semplice problema di valuta, cio? cambiare l’Euro nella nuova moneta. Vediamo le conseguenze per lo Stato, le imprese, le famiglie ( queste analisi si basano su studi di vari Istituti Finanziari e “Think Tank” economici).
1) Lo Stato. Tutti i titoli di debito pubblico ( i famosi BOT, BTP etc) sono oggi denominati in Euro. Un abbandono della moneta unica porrebbe lo Stato di fronte a due scelte. Prima opzione: ridenominare d’imperio tutti i titoli di debito nella nuova moneta. Questo equivale, n? pi? n? meno, che a un “default” ( parola elegante per “bancarotta”, cio? impossibilit? di far fronte ai propri debiti), con relativa fuga degli investitori e impossibilit? di trovare, per anni e anni, ulteriori finanziamenti sui mercati. Ridenominare i debiti contratti in una valuta forte (l’euro) in una pi? debole ( la nuova lira) significa non pagarne una parte e infrangere i patti e i contratti con gli investitori. Ricordiamoci che poco meno del 50% del debito pubblico italiano ? in mano a investitori esteri. Perch? questo disastro? Almeno secondo le stime degli analisti, la nuova moneta, nel caso dell’Italia, si svaluterebbe subito dal 30% al 50% rispetto all’ euro. In definitiva una moneta ? lo specchio del sistema economico e politico, il “saldo” fra i suoi punti di forza e di debolezza. Se il saldo ha segno “pi?” la moneta ? forte e ricercata dagli investitori , se il saldo ha segno “meno” accade il contrario. Nella crisi finanziaria del 1992 (sempre innescata dall’ insostenibilit? del debito pubblico) la vecchia lira si svalut? nei confronti del Marco tedesco di circa il 25%. Una crisi che provocasse una uscita del nostro paese dall’ euro sarebbe molto pi? devastante, da qui le stime di una svalutazione/deprezzamemento del 30-50% della nuova lira rispetto all’euro. Di fronte a questa prospettiva lo Stato “secessionista” potrebbe decidere allora di lasciare i Titoli di debito denominati in euro. Il destino sarebbe lo stesso: il default, ma per cause diverse. Infatti la pesante svalutazione immediata della nuova lira renderebbe impossibile allo Stato di pagare il debito denominato in Euro. Una situazione frequente, in passato, nei paesi in via di sviluppo che si indebitano in valute straniere e poi finiscono in default, quando la propria moneta si svaluta rispetto a quella in cui sono denominati i debiti.
2) Le imprese. Si ripropone, in forma addirittura pi? grave, il problema dei debiti contratti in Euro, specialmente con le Banche straniere. La conversione e successiva svalutazione della nuova lira renderebbe insostenibile ripagare i debiti in valuta “forte” ( cio? l’euro) con conseguenze facilmente immaginabili. Quindi non solo il ritorno alla lira non favorirebbe ( almeno nel breve termine) la competivit? delle imprese, ma ne provocherebbe fallimenti di massa.
3) Le famiglie. Non appena si avesse il sospetto di una conversione forzata dei depositi da euro in nuove lire ci sarebbe una corsa agli sportelli delle banche per ritirare i propri risparmi in euro, metterli dentro una valigia e precipitarsi verso il pi? vicino paese ancora dell’area euro per versarli su un conto corrente. Ovviamente questa scelta “razionale” del risparmiatore verr? impedita dalle autorit? con controlli molto stretti e severi alla frontiere. Risultato : il potere di acquisto dell’italiano medio subir? un tracollo dal 30% al 50%. Uno studio dell’UBS (Unione Banche Svizzere) calcola in 9500-11500 euro la perdita media del reddito per ogni cittadino dello Stato secessionista, nel primo anno della nuova moneta. Se si considera che il reddito medio procapite degli italiani ? circa 23.000 euro/anno ci rende conto della dimensione della “tosata”. Vale poi la pena di osservare che la “corsa agli sportelli” in massa, ? la tecnica migliore per far fallire le banche.
a voi le considerazioni...
TORNARE ALLA LIRA: PERCHE’ SI’ – Chi sostiene che uscire dall’euro e tornare alla lira sia favorevole per la popolazione italiana quali argomentazioni porta a sostegno della propria tesi? Vediamone qualcuna.
- Il ritorno alla lira, secondo i fautori di questa strategia, portebbe il governo a ridurre le tasse durante le crisi economiche perch? non dovrebbe pi? rispettare vincoli di bilanci stabiliti a livello europeo.
- Legato al tema della tassazione c’? anche quello delle accise e, quindi, della benzina. Carburante meno caro perch? uno Stato a moneta sovrana ? libero di stampare moneta e, quindi, non ci si finanzierebbe solamente con l’imposizione fiscale e/o la riduzione di spesa pubblica, ma semplicemente stampando denaro. Questo, per?, porterebbe un notevole aumento del debito pubblico ed un ritorno a quelle politiche che hanno dominato nel nostro Paese negli ultimi decenni del secolo scorso.
- “L’euro di Serie B” creato a Cipro con il prelievo forzoso dei correntisti delle malsane banche dell’isola del Mediterraneo ? stata una prova di quanto potrebbe accadere, nei prossimi anni, a tutti i Paesi del Sud-Europa: saranno i depositanti a pagare il fallimento dei banchieri.
- Lo Stato dovrebbe tornare ad adempiere all’unico compito per cui esiste: garantire a tutti la sicurezza del futuro.
USCIRE DALL’EURO: PERCHE’ NO – A queste motivazioni teoriche ne fanno da contraltare altre, decisamente pi? pratiche e concrete, che suggeriscono che la strategia di uscire dall’euro e tornare alla lira possa non rivelarsi la scelta migliore. Quattro, in questo caso, i motivi per rimanere nell’unione monetaria.
- Le importazioni: Iniziamo da qui. I fautori del ritorno alla moneta nazionale portano, come potenziale beneficio, quello di svalutare la moneta e rilanciare le proprie esportazioni. Certo, ma ci si dimentica di due fattori: l’export italiano non va affatto male e, quindi, non necessita di un pesante piano di risanamento; inoltre l’Italia non ? solo una nazione esportartice ma, anzi, ? prevalentemente importatrice di materie prime (gas e petrolio su tutti) necessarie per soddisfare il deficit energetico e per garantire l’operativit? a quel tessuto industriale e manifatturiero che eccelle nel nostro Paese.
- Fuga di capitali: La Repubblica Ceca e la Slovacchia, negli anni ’90, hanno realizzato un’operazione simile; i rischi associati sono da legare anche ad una possibile fuga di capitali. Per questo ? necessaria un’operazione-lampo, per evitare che qualora la notizia raggiunga le sale finanziarie si possa scatenare una fuga di capitali verso nazioni con valute pi? forti e pi? sicure.
- Il debito: Attualmente il debito pubblico italiano ? quotato in euro e vale, all’incirca, 2 mila miliardi. In caso di uscita dall’unione monetaria i possessori dei titoli di Stato (soprattutto le istituzioni finanziarie estere che detengono 1/3 del nostro indebitamento pubblico) difficilmente accetterebbero di convertire i loro crediti in una valuta che vale meno. E’ probabile, in questo caso, che il nostro Paese debba comunque provvedere alla restituzione dello stock in euro a fronte di un Pil espresso in lire, tra l’altro svalutate. Il rapporto deficit/Pil, ad oggi al 130% e principale indicatore macro-economico di stabilit? di un Paese, rischierebbe di schizzare al rialzo al di sopra di quota 150%.
- Inflazione e tassi di interesse: e’ quanto si ? gi? visto negli anni ’70 ed ‘80. Svalutazione di moneta significa, soprattutto, inflazione alle stelle a causa del maggior costo dei prodotti importati. Prezzi alle stelle significano, soprattutto, rendimenti pi? elevati sui titoli di Stato. Titoli di Stato alle stelle significano, soprattutto, aumento degli interessi che lo Stato dovrebbe pagare per finanziarsi e, quindi, maggiore indebitamento.
LA CONCLUSIONE – La decisione, quindi, potrebbe ricondursi nuovamente ad un contesto di equit? intergenerazionale. Sul breve il ritorno alla lira potrebbe dare un buon slancio all’economia italiana, ma dopo pochi mesi gli effetti negativi sopravanzerebbero ampiamente quelli positivi.
- Nonostante ogni tanto usi delle affermazioni un po’ forti e si schieri in modo anti-conformista, il premio Nobel Joseph Stiglitz ha definito molto bene la questione – e non c’? da meravigliarsi visto che vanta cattedre al MIT di Boston alla Yale del Connecticut ed alla Columbia di New York.
- “Sarebbe meglio che fosse l’Europa ad abbandonare l’austerity – disse lo scorso 12 aprile Stiglitz – piuttosto che l’Italia a lasciare l‘euro”.
- Sebbene possano non essere condivisibili i programmi delle forze politiche “euro-scettiche”, a queste bisogna riconoscere un merito: raggiungendo una quota cos? ampia di consensi, stanno spingendo i partiti tradizionali a riorientare le proprie linee di pensiero verso questi cardini per riconquistare l’elettorato perso.
aggiungo:
Il meccanismo per abbandonare l’euro ? quindi estremamente complesso ( ricordiamo che i membri dell’Unione sono 27 Stati Sovrani e 17 fanno parte dell’ Unione Monetaria, cio? dell’area euro), ma una volta superati questi ostacoli cosa succederebbe allo Stato “secessionista”?
Facciamo il caso dello Stato secessionista debole ( ipotesi che pi? si attaglia al nostro paese). Contrariamente a quello che si pu? credere il passaggio dall’ Euro ad una Nuova Lira non sarebbe indolore. Non ? infatti un semplice problema di valuta, cio? cambiare l’Euro nella nuova moneta. Vediamo le conseguenze per lo Stato, le imprese, le famiglie ( queste analisi si basano su studi di vari Istituti Finanziari e “Think Tank” economici).
1) Lo Stato. Tutti i titoli di debito pubblico ( i famosi BOT, BTP etc) sono oggi denominati in Euro. Un abbandono della moneta unica porrebbe lo Stato di fronte a due scelte. Prima opzione: ridenominare d’imperio tutti i titoli di debito nella nuova moneta. Questo equivale, n? pi? n? meno, che a un “default” ( parola elegante per “bancarotta”, cio? impossibilit? di far fronte ai propri debiti), con relativa fuga degli investitori e impossibilit? di trovare, per anni e anni, ulteriori finanziamenti sui mercati. Ridenominare i debiti contratti in una valuta forte (l’euro) in una pi? debole ( la nuova lira) significa non pagarne una parte e infrangere i patti e i contratti con gli investitori. Ricordiamoci che poco meno del 50% del debito pubblico italiano ? in mano a investitori esteri. Perch? questo disastro? Almeno secondo le stime degli analisti, la nuova moneta, nel caso dell’Italia, si svaluterebbe subito dal 30% al 50% rispetto all’ euro. In definitiva una moneta ? lo specchio del sistema economico e politico, il “saldo” fra i suoi punti di forza e di debolezza. Se il saldo ha segno “pi?” la moneta ? forte e ricercata dagli investitori , se il saldo ha segno “meno” accade il contrario. Nella crisi finanziaria del 1992 (sempre innescata dall’ insostenibilit? del debito pubblico) la vecchia lira si svalut? nei confronti del Marco tedesco di circa il 25%. Una crisi che provocasse una uscita del nostro paese dall’ euro sarebbe molto pi? devastante, da qui le stime di una svalutazione/deprezzamemento del 30-50% della nuova lira rispetto all’euro. Di fronte a questa prospettiva lo Stato “secessionista” potrebbe decidere allora di lasciare i Titoli di debito denominati in euro. Il destino sarebbe lo stesso: il default, ma per cause diverse. Infatti la pesante svalutazione immediata della nuova lira renderebbe impossibile allo Stato di pagare il debito denominato in Euro. Una situazione frequente, in passato, nei paesi in via di sviluppo che si indebitano in valute straniere e poi finiscono in default, quando la propria moneta si svaluta rispetto a quella in cui sono denominati i debiti.
2) Le imprese. Si ripropone, in forma addirittura pi? grave, il problema dei debiti contratti in Euro, specialmente con le Banche straniere. La conversione e successiva svalutazione della nuova lira renderebbe insostenibile ripagare i debiti in valuta “forte” ( cio? l’euro) con conseguenze facilmente immaginabili. Quindi non solo il ritorno alla lira non favorirebbe ( almeno nel breve termine) la competivit? delle imprese, ma ne provocherebbe fallimenti di massa.
3) Le famiglie. Non appena si avesse il sospetto di una conversione forzata dei depositi da euro in nuove lire ci sarebbe una corsa agli sportelli delle banche per ritirare i propri risparmi in euro, metterli dentro una valigia e precipitarsi verso il pi? vicino paese ancora dell’area euro per versarli su un conto corrente. Ovviamente questa scelta “razionale” del risparmiatore verr? impedita dalle autorit? con controlli molto stretti e severi alla frontiere. Risultato : il potere di acquisto dell’italiano medio subir? un tracollo dal 30% al 50%. Uno studio dell’UBS (Unione Banche Svizzere) calcola in 9500-11500 euro la perdita media del reddito per ogni cittadino dello Stato secessionista, nel primo anno della nuova moneta. Se si considera che il reddito medio procapite degli italiani ? circa 23.000 euro/anno ci rende conto della dimensione della “tosata”. Vale poi la pena di osservare che la “corsa agli sportelli” in massa, ? la tecnica migliore per far fallire le banche.
a voi le considerazioni...
Comment