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Bel discorso su innovazione e neostatalismo...

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    #1

    Bel discorso su innovazione e neostatalismo...

    PERCH? RESISTE IL MITO NEOSTATALISTA

    Troppe illusioni sull'innovazione

    Le scorciatoie sono pericolose: non solo in montagna, anche nella politica economica. L'ansia di accorciare i tempi che intercorrono fra il momento in cui una riforma ? approvata e quando essa si traduce in maggior crescita pu? far commettere gravi errori. Un esempio: qualche anno fa, per favorire gli investimenti in energie rinnovabili si decise di sussidiare l'installazione di pannelli solari. Per far presto furono concessi incentivi che oggi, a pannelli installati, si traducono in una rendita di circa 11 miliardi di euro l'anno: li pagano tutte le famiglie nella bolletta elettrica e vanno a poche migliaia di fortunati. Non solo si ? creata un'enorme rendita che durer? per almeno un ventennio: si ? favorita una tecnologia che a distanza di pochi anni ? gi? vecchia. Oggi l'energia solare si pu? catturare semplicemente usando una pittura sul tetto, con costi e impatto ambientale molto minori. Ma i nostri pannelli rimarranno l? per vent'anni e nessuno si ? chiesto quanto coster? e che effetti ambientali produrr? la loro eliminazione.

    Un altro esempio di scorciatoie pericolose ? la politica industriale dirigista. Scrive il Pd: ?La liberalizzazione dei mercati non ? sufficiente. Il contrasto alle rendite, le privatizzazioni, gli abbattimenti fiscali possono favorire innovazione e competitivit? ma ci lasceranno con un lavoro fatto a met?. ? necessario ripensare le linee strategiche e gli strumenti della politica industriale. L'illusione che sia il mercato a far crescere l'economia ci sta portando a sbattere. La risposta spontanea delle imprese (alla globalizzazione) ? insufficiente?. (Partito democratico, Per una politica industriale sostenibile , giugno 2012). Neppure il governo Monti ha saputo resistere alle sirene dell'intervento pubblico. Nel breve arco di un anno ha usato il risparmio postale, che ? una grande risorsa, per attuare, attraverso la Cassa depositi e prestiti, una politica industriale discutibile. La Cassa oggi possiede - oltre a un Fondo che dovrebbe selezionare e investire in imprese ?strategiche? - le reti elettriche e del gas, sta acquistando la rete a banda larga, controlla Fintecna e Sace, ha partecipazioni importanti in Enel, Eni, Poste, Assicurazioni Generali. Un tempo con il risparmio postale la Cassa concedeva mutui ai Comuni per migliorare gli edifici scolastici.

    Nel Dopoguerra, fra il 1945 e la met? degli anni Settanta, la politica industriale fu un elemento essenziale della nostra rinascita economica. L'Istituto per la ricostruzione industriale (Iri), l'attore centrale di quel periodo, fu preso ad esempio da molti Paesi in via di sviluppo, in particolare dal Giappone. Negli anni Sessanta l'Iri, come il Miti (Ministero del Commercio internazionale e dell'Industria) giapponese, erano parte di un sistema finanziario incentrato sulle banche, su relazioni stabili fra banchieri e imprenditori (si pensi al rapporto fra Enrico Cuccia e Giovanni Agnelli), scarso avvicendamento dei manager (Vittorio Valletta guid? la Fiat per un ventennio) e un ampio intervento dello Stato nell'economia.

    Ma erano tempi molto diversi. Italia e Giappone erano agli inizi della loro esperienza industriale. Non era necessario inventare cose nuove, bastava importare tecnologia dagli Stati Uniti e riprodurla, possibilmente facendo meglio di chi l'aveva inventata. Fu cos? in Italia per l'acciaio: l'impianto siderurgico di Taranto fu copiato dalle acciaierie texane di Houston, ma quando fu terminato suscit? l'ammirazione degli americani. Lo stesso accadde alla Toyota e all'elettronica giapponese.

    Oggi crescere per imitazione non ? pi? possibile perch? siamo troppo vicini alla frontiera tecnologica. Oggi si cresce innovando, non imitando. La crescita oggi richiede innovazione e per innovare la politica industriale che tanto successo ebbe nel Dopoguerra non funziona.

    Ovvero non pu? funzionare l'illusione che lo Stato e la politica siano in grado di individuare i settori e le imprese che avranno successo. L'innovazione ? per definizione imprevedibile. Vi immaginate quattro funzionari dell'Iri in un garage che si inventano Apple? O un giovane impiegato dell'Iri che inventa Facebook? Affidereste allo Stato la scelta del tipo di robotica su cui puntare? Quello di cui abbiamo bisogno sono universit? eccellenti, la capacit? di trattenere e attrarre i cervelli migliori, e una dose massiccia di ?distruzione creativa?, cio? un ambiente dove le vecchie imprese chiudono rapidamente e possono essere sostituite da aziende nuove, perch? ? in queste che pi? facilmente nascono le idee e si creano nuovi prodotti. Per questo ? necessaria grande flessibilit?. Innanzitutto un mercato finanziario e un mercato flessibile del controllo proprietario delle aziende, in cui non si incrostino gruppi di potere inamovibili. Il contrario di ci? che funzionava 50 anni fa. Oggi le imprese italiane dipendono troppo dal credito bancario: non era un problema 50 anni fa, lo ? oggi. Molte imprese familiari beneficerebbero dal quotarsi in Borsa affidando il controllo a manager esterni. E serve un welfare che consenta la riallocazione del lavoro, proteggendo i lavoratori, non i posti di lavoro. Il contrario della cassa integrazione.

    L'Italia degli anni Cinquanta era un Paese ?emergente? lontano dalla frontiera tecnologica. Bastavano grandi imprese pubbliche che copiassero quello che altri facevano. Oggi l'Italia ? un Paese alla frontiera della tecnologia. In questo mondo per crescere servono creativit? e flessibilit?, non una politica industriale che affida le scelte allo Stato.

    Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

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    #2
    Innovazione ?

    Accendi la tv e cosa vogliono venderti ?

    Automobili di tutti i tipi che bruciano petrolio
    Suonerie x telefoni
    Pannolini x incontinenti
    Ecc
    Ecc

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      #3
      Condivido in gran parte, tuttavia la privatizzazione dell'IRI ha mostrato a tutto il popolo italiano quanto ci? che ? "dello stato" non ? e non sar? mai una cosa per tutti i cittadini, ma ? a s?, elitario, un p? come una tassa.

      E per secondo, innovare... la gran parte pu? solamente farlo nel campo tecnologico / informatico.. per l'industria ? gi? molto pi? difficile.. e con costi che, una stragrande maggioranza di persone, non pu?, e magari non vuole accollarsi per i rischi di un non ritorno...

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        #4
        L'importante ? ricordarsi che innovando non sempre crei lavoro.... nell'immediato...
        Last edited by Devilman; 03-02-13, 09:43.

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          #5
          Originally posted by MiKiFF View Post
          PERCH? RESISTE IL MITO NEOSTATALISTA

          Troppe illusioni sull'innovazione

          Le scorciatoie sono pericolose: non solo in montagna, anche nella politica economica. L'ansia di accorciare i tempi che intercorrono fra il momento in cui una riforma ? approvata e quando essa si traduce in maggior crescita pu? far commettere gravi errori. Un esempio: qualche anno fa, per favorire gli investimenti in energie rinnovabili si decise di sussidiare l'installazione di pannelli solari. Per far presto furono concessi incentivi che oggi, a pannelli installati, si traducono in una rendita di circa 11 miliardi di euro l'anno: li pagano tutte le famiglie nella bolletta elettrica e vanno a poche migliaia di fortunati. Non solo si ? creata un'enorme rendita che durer? per almeno un ventennio: si ? favorita una tecnologia che a distanza di pochi anni ? gi? vecchia. Oggi l'energia solare si pu? catturare semplicemente usando una pittura sul tetto, con costi e impatto ambientale molto minori. Ma i nostri pannelli rimarranno l? per vent'anni e nessuno si ? chiesto quanto coster? e che effetti ambientali produrr? la loro eliminazione.

          Un altro esempio di scorciatoie pericolose ? la politica industriale dirigista. Scrive il Pd: ?La liberalizzazione dei mercati non ? sufficiente. Il contrasto alle rendite, le privatizzazioni, gli abbattimenti fiscali possono favorire innovazione e competitivit? ma ci lasceranno con un lavoro fatto a met?. ? necessario ripensare le linee strategiche e gli strumenti della politica industriale. L'illusione che sia il mercato a far crescere l'economia ci sta portando a sbattere. La risposta spontanea delle imprese (alla globalizzazione) ? insufficiente?. (Partito democratico, Per una politica industriale sostenibile , giugno 2012). Neppure il governo Monti ha saputo resistere alle sirene dell'intervento pubblico. Nel breve arco di un anno ha usato il risparmio postale, che ? una grande risorsa, per attuare, attraverso la Cassa depositi e prestiti, una politica industriale discutibile. La Cassa oggi possiede - oltre a un Fondo che dovrebbe selezionare e investire in imprese ?strategiche? - le reti elettriche e del gas, sta acquistando la rete a banda larga, controlla Fintecna e Sace, ha partecipazioni importanti in Enel, Eni, Poste, Assicurazioni Generali. Un tempo con il risparmio postale la Cassa concedeva mutui ai Comuni per migliorare gli edifici scolastici.

          Nel Dopoguerra, fra il 1945 e la met? degli anni Settanta, la politica industriale fu un elemento essenziale della nostra rinascita economica. L'Istituto per la ricostruzione industriale (Iri), l'attore centrale di quel periodo, fu preso ad esempio da molti Paesi in via di sviluppo, in particolare dal Giappone. Negli anni Sessanta l'Iri, come il Miti (Ministero del Commercio internazionale e dell'Industria) giapponese, erano parte di un sistema finanziario incentrato sulle banche, su relazioni stabili fra banchieri e imprenditori (si pensi al rapporto fra Enrico Cuccia e Giovanni Agnelli), scarso avvicendamento dei manager (Vittorio Valletta guid? la Fiat per un ventennio) e un ampio intervento dello Stato nell'economia.

          Ma erano tempi molto diversi. Italia e Giappone erano agli inizi della loro esperienza industriale. Non era necessario inventare cose nuove, bastava importare tecnologia dagli Stati Uniti e riprodurla, possibilmente facendo meglio di chi l'aveva inventata. Fu cos? in Italia per l'acciaio: l'impianto siderurgico di Taranto fu copiato dalle acciaierie texane di Houston, ma quando fu terminato suscit? l'ammirazione degli americani. Lo stesso accadde alla Toyota e all'elettronica giapponese.

          Oggi crescere per imitazione non ? pi? possibile perch? siamo troppo vicini alla frontiera tecnologica. Oggi si cresce innovando, non imitando. La crescita oggi richiede innovazione e per innovare la politica industriale che tanto successo ebbe nel Dopoguerra non funziona.

          Ovvero non pu? funzionare l'illusione che lo Stato e la politica siano in grado di individuare i settori e le imprese che avranno successo. L'innovazione ? per definizione imprevedibile. Vi immaginate quattro funzionari dell'Iri in un garage che si inventano Apple? O un giovane impiegato dell'Iri che inventa Facebook? Affidereste allo Stato la scelta del tipo di robotica su cui puntare? Quello di cui abbiamo bisogno sono universit? eccellenti, la capacit? di trattenere e attrarre i cervelli migliori, e una dose massiccia di ?distruzione creativa?, cio? un ambiente dove le vecchie imprese chiudono rapidamente e possono essere sostituite da aziende nuove, perch? ? in queste che pi? facilmente nascono le idee e si creano nuovi prodotti. Per questo ? necessaria grande flessibilit?. Innanzitutto un mercato finanziario e un mercato flessibile del controllo proprietario delle aziende, in cui non si incrostino gruppi di potere inamovibili. Il contrario di ci? che funzionava 50 anni fa. Oggi le imprese italiane dipendono troppo dal credito bancario: non era un problema 50 anni fa, lo ? oggi. Molte imprese familiari beneficerebbero dal quotarsi in Borsa affidando il controllo a manager esterni. E serve un welfare che consenta la riallocazione del lavoro, proteggendo i lavoratori, non i posti di lavoro. Il contrario della cassa integrazione.

          L'Italia degli anni Cinquanta era un Paese ?emergente? lontano dalla frontiera tecnologica. Bastavano grandi imprese pubbliche che copiassero quello che altri facevano. Oggi l'Italia ? un Paese alla frontiera della tecnologia. In questo mondo per crescere servono creativit? e flessibilit?, non una politica industriale che affida le scelte allo Stato.

          Alberto Alesina e Francesco Giavazzi
          I Bocconians autori di questo articolo sono anche quelli che prevedevano la convergenza che la moneta unica avrebbe creato o sostenevano l'effetto positivo dei movimenti di capitali attraverso i mercati finanziari che poi invece sono proprio quelli che hanno mandato il mondo in pezzi.

          A parte questo comunque considerando che i fallimenti dello stato sono il 10% dei fallimenti del mercato in rapporto di grandezze, l'investimento di per s? pu? andare male, sia se lo fa lo stato e sia se lo fa il privato.

          Un esempio lampante di fallimento del mercato ? il settore bancario che dal 94 con la riforma Amato (caro amico dei bocconians) ? stato slegato dal settore pubblico e deregolamento appositamente perch? l'iniziativa privata avesse la meglio sulla gestione dei capitali.

          Ora che lo stato abbia le sue inefficienze ? palese, ma che la soluzione sia affidare tutto al settore privato, b? visto cosa ? successo alla privatizzazione degli ultimi vent'anni io un p? ci penserei visto che poi ai disastri che il settore privato crea deve sempre intervenire lo stato (settore bancario ilva ecc...)

          Ecco perch? io credo che bisogna rinnovare la classe politica, dello stato volenti o nolenti ne abbiamo bisogno e continuare a confermare le poltrone a chi ci ha portati a questa situazione o affidare poltrone a chi propone le stesse soluzioni che ci hanno portato a queste situazioni non ? la scelta giusta.

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            #6
            ad Alesina e Giavazzi suggerirei di leggere Stiglitz.....

            se non bastasse...Samuelson...

            se ancora non bastasse, ricorderei che la pi? grande potenza economica del mondo ha fatto il balzo, ? cresciuta e traina...grazie allo stato...

            stessa cosa dicasi i brics....

            si potrebbe continuare con altri esempi, ma ai due bocconians ricorderei che la peggiore crisi finanziaria dal 29 a sta parte ? figlia della scuola di pensiero che difendono no-rule no-state no-right

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              #7
              Originally posted by Anima998 View Post
              ad Alesina e Giavazzi suggerirei di leggere Stiglitz.....

              se non bastasse...Samuelson...

              se ancora non bastasse, ricorderei che la pi? grande potenza economica del mondo ha fatto il balzo, ? cresciuta e traina...grazie allo stato...

              stessa cosa dicasi i brics....

              si potrebbe continuare con altri esempi, ma ai due bocconians ricorderei che la peggiore crisi finanziaria dal 29 a sta parte ? figlia della scuola di pensiero che difendono no-rule no-state no-right

              vero.... per? tenete anche conto che per quel tipo di economie li occorre un "certo tipo di stato"... non so se avete presente che razza di "dittature" politiche occorrono per far andar dritto economicamente quei paesi!
              banalizzando e semplificando: se si lascia in mano l'economia allo stato italiano e ai suoi politici (quelli attuali) state pur tranquilli che nemmeno le briciole ci lasciano
              non che in cina e negli altri brics non ci sia la corruzione e la malapolitica... ma almeno li tutti tirano da un unica parte
              privatizzare no... ma prima dobbiamo riformare la nostra politica e sopratutto i nostri politici

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                #8
                Originally posted by bennymax View Post
                vero.... per? tenete anche conto che per quel tipo di economie li occorre un "certo tipo di stato"... non so se avete presente che razza di "dittature" politiche occorrono per far andar dritto economicamente quei paesi!
                banalizzando e semplificando: se si lascia in mano l'economia allo stato italiano e ai suoi politici (quelli attuali) state pur tranquilli che nemmeno le briciole ci lasciano
                non che in cina e negli altri brics non ci sia la corruzione e la malapolitica... ma almeno li tutti tirano da un unica parte
                privatizzare no... ma prima dobbiamo riformare la nostra politica e sopratutto i nostri politici
                Come disse un conoscente alla pula a TN... "Che razza di stato ? uno dove non posso corromper la polizia per non aver la multa"

                Direi che sulla carta le esperienze cino/indiane e dei brics son da invidiare...
                La realt? della gente che ci vive e l'ambiente che li circonda la dice leggermente diversa....

                Tradoto: per far come loro non ? che ci serva stato basta eliminarlo! La burocrazia che qui c'? li vien passata col soldo... Quello che li ? pulito qui ? inquinante... e avanti di sto passo....

                Certo se promette un sambodromo mi sa che il nano vince...

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