Nella prima comunicazione ufficiale dello staff è stata scelta la formula "il presidente" e non "la presidente". La Crusca: "Chi preferisce le forme maschili ha diritto di farlo"
L'enigma è stato subito sciolto: Giorgia Meloni userà la formula "il presidente" del Consiglio in occasione delle comunicazioni ufficiali. Il nuovo primo ministro dunque non ricorrerà a quell'adeguamento linguistico tanto caro alla sinistra, mantenendo invece al maschile il riferimento al ruolo ricoperto. Lo fa sapere l'Agi, che ha fatto notare come nella prima comunicazione ufficiale dello staff dopo il giuramento sia stata preferita la dicitura "Post del presidente Giorgia Meloni". Dunque non "la" presidente.
L'ok della Crusca
L'Accademia della Crusca si è espressa chiaramente: è semplicemente una preferenza linguistica e dunque chi la utilizza non può essere accusato di aver commesso uno svarione. Lo ha annotato il presidente Claudio Marazzini all'Adnkronos, secondo cui non si può interpretare il maschile non marcato come un errore di grammatica: "Chi preferisce le forme tradizionali maschili ha diritto di farlo".
Comunque l'Accademia della Crusca ha accolto positivamente anche la formula al femminile per definire Giorgia Meloni, prima donna a prendere il timone del nostro Paese. Il presidente Marazzini ha spiegato che i titoli al femminile "sono legittimi sempre" e dunque è corretto dire pure "la" presidente del Consiglio e "la" prima ministra. Un'ammonizione però: "Eviterei la presidentessa". In sostanza l'adeguamento al femminile è assolutamente corretto, ma per nulla obbligato.
I precedenti da Boldrini a Casellati
In passato non sono mancati casi di discussione proprio sull'utilizzo dei termini per fare riferimento a profili femminili di una determinata carica politica. A spendersi in tal senso è stata in prima fila Laura Boldrini, che nel 2013 denunciò stizzita: "Ogni giorno mi sento chiamare 'signor presidente'. Ogni singolo giorno. E basta!". Invece Maria Elisabetta Alberti Casellati, ex presidente del Senato, scelse il maschile non marcato.
La sinistra vuole sdoganare l'uso del femminile per rivolgersi anche a tutte quelle donne che ricoprono ruoli politici che, per tradizione, vengono denominati al maschile. Nei mesi scorsi il Senato ha respinto un emendamento che chiedeva la possibilità di adottare la differenza di genere nella comunicazione istituzionale scritta. L'intento della proposta era quello di introdurre nel regolamento di Palazzo Madama l'utilizzo di un linguaggio inclusivo.
Lo scopo? Assicurare il rispetto della distinzione di genere nella comunicazione istituzionale e nell'attività dell'amministrazione. Come? "Attraverso l'adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche, ovvero evitando l'utilizzo di un unico genere nell'identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne", era l'obiettivo.
notizia da: Ilgiornale.it
L'enigma è stato subito sciolto: Giorgia Meloni userà la formula "il presidente" del Consiglio in occasione delle comunicazioni ufficiali. Il nuovo primo ministro dunque non ricorrerà a quell'adeguamento linguistico tanto caro alla sinistra, mantenendo invece al maschile il riferimento al ruolo ricoperto. Lo fa sapere l'Agi, che ha fatto notare come nella prima comunicazione ufficiale dello staff dopo il giuramento sia stata preferita la dicitura "Post del presidente Giorgia Meloni". Dunque non "la" presidente.
L'ok della Crusca
L'Accademia della Crusca si è espressa chiaramente: è semplicemente una preferenza linguistica e dunque chi la utilizza non può essere accusato di aver commesso uno svarione. Lo ha annotato il presidente Claudio Marazzini all'Adnkronos, secondo cui non si può interpretare il maschile non marcato come un errore di grammatica: "Chi preferisce le forme tradizionali maschili ha diritto di farlo".
Comunque l'Accademia della Crusca ha accolto positivamente anche la formula al femminile per definire Giorgia Meloni, prima donna a prendere il timone del nostro Paese. Il presidente Marazzini ha spiegato che i titoli al femminile "sono legittimi sempre" e dunque è corretto dire pure "la" presidente del Consiglio e "la" prima ministra. Un'ammonizione però: "Eviterei la presidentessa". In sostanza l'adeguamento al femminile è assolutamente corretto, ma per nulla obbligato.
I precedenti da Boldrini a Casellati
In passato non sono mancati casi di discussione proprio sull'utilizzo dei termini per fare riferimento a profili femminili di una determinata carica politica. A spendersi in tal senso è stata in prima fila Laura Boldrini, che nel 2013 denunciò stizzita: "Ogni giorno mi sento chiamare 'signor presidente'. Ogni singolo giorno. E basta!". Invece Maria Elisabetta Alberti Casellati, ex presidente del Senato, scelse il maschile non marcato.
La sinistra vuole sdoganare l'uso del femminile per rivolgersi anche a tutte quelle donne che ricoprono ruoli politici che, per tradizione, vengono denominati al maschile. Nei mesi scorsi il Senato ha respinto un emendamento che chiedeva la possibilità di adottare la differenza di genere nella comunicazione istituzionale scritta. L'intento della proposta era quello di introdurre nel regolamento di Palazzo Madama l'utilizzo di un linguaggio inclusivo.
Lo scopo? Assicurare il rispetto della distinzione di genere nella comunicazione istituzionale e nell'attività dell'amministrazione. Come? "Attraverso l'adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche, ovvero evitando l'utilizzo di un unico genere nell'identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne", era l'obiettivo.
notizia da: Ilgiornale.it
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