06 dicembre 2022L'impatto del vaccino anti-COVID sul rischio di trombosi
Da un vasto studio, che ha considerato dati di quasi dieci milioni di persone, emerge come il vaccino abbia esercitato una forte azione protettiva rispetto a trombosi, piastrinopenia e trombosi con piastrinopenia, ben più frequenti in quanti hanno contratto l’infezione senza essere vaccinati. Non solo, questi dati potrebbero addirittura sottostimare la gravità del SARS-CoV-2 originale
Sono passati quasi due anni dall’arrivo dei primi vaccini contro SARS-CoV-2 ed è maturato il tempo per avere dati abbastanza solidi per considerazioni puntuali sul reale impatto delle vaccinazioni sul rischio cardiovascolare in termini di eventi tromboembolici venosi e piastrinopenia. A fine novembre 2022 "Nature Communications", una delle riviste più quotate al mondo, ha pubblicato un lavoro enorme, il più ampio mai uscito finora su questo argomento, che ha esaminato un totale di 5,6 milioni di vaccinati (3,7 milioni di persone con Vaxzevria di Astrazeneca e 1,8 milioni con Comirnaty di Pfizer) nel Regno Unito, indagando l’incidenza di trombosi, piastrinopenia e trombosi con piastrinopenia, a confronto con i dati di 400.000 ulteriori persone che sono state contagiate con il virus e che non erano precedentemente vaccinate. I dati di confronto sulla popolazione generale provengono da coorti di popolazioni esaminate per quei parametri prima della pandemia, in altri studi, per un totale di 9,4 milioni di persone.
Risultato: il rischio relativo per eventi tromboembolici era di sette volte maggiore fra i pazienti infettati con SARS-CoV-2 rispetto alla popolazione generale, mentre per l'embolia polmonare il rischio saliva addirittura a oltre 12 volte in questi pazienti. Per contro, la possibilità di un evento avverso di questo tipo era di 1,12 volte fra i vaccinati rispetto alla popolazione generale pre-pandemia. In altre parole: pur considerando che a maggio 2021 la vaccinazione con Vaxzevria causava un evento tromboembolico grave associato a piastrinopenia in un caso ogni oltre 106.000 dosi somministrate, il rischio portato dal virus è stato molto maggiore.
di Heidi Ledford/Nature"Rispetto al fatto che i vaccini possano portare eventi avversi, non ne siamo certo stupiti – spiega Giampiero Avruscio, primario di angiologia presso l'Azienda ospedaliera di Padova – dal momento che la risposta immunitaria, che sia indotta da un virus o da un vaccino, comporta variazioni nella coagulazione. La trombocitopenia, in particolare, è stata segnalata anche in relazione ad altre vaccinazioni: contro l’influenza, la parotite, l’epatite, il morbillo. L’aspetto più interessante è che si dimostra chiaramente che in una situazione come quella in cui ci trovavamo, con un virus pericoloso in circolazione, il vaccino ha esercitato un’azione protettiva rispetto a questo genere di eventi."
Se la popolazione vaccinata si fosse contagiata prima di ricevere una dose, avrebbe avuto un rischio molto maggiore di incorrere in eventi tromboembolici. Inoltre, dai dati di 5,6 milioni di persone emerge che oltre sei pazienti vaccinati su dieci che hanno manifestato un evento di questo genere avevano almeno un’altra condizione patologica pregressa associata o usavano un farmaco associato a rischio tromboembolico.
L’articolo in questione è stato pubblicato il 23 novembre 2022, dopo un anno e tre mesi da quando è stato inviato alla rivista per la sua revisione. "È un intervallo lunghissimo, anche per una rivista molto importante come 'Nature Communications'", spiega Armando D’Angelo, responsabile del Servizio di coagulazione ed unità ricerca trombosi dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, in passato presidente della Società italiana per lo studio dell’emostasi e della trombosi. "Il tempo medio intercorrente tra la sottomissione e l’accettazione di un lavoro in questa rivista varia dai tre ai sei mesi, il che fa pensare che il manoscritto sia stato accuratamente vagliato dai revisori cui è stato sottoposto, data anche la delicatezza del tema. Non possiamo tuttavia considerare il valore prospettico di uno studio come questo, perché parla di una variante di virus diversa, per fortuna, rispetto a quella odierna", spiega.
Un po’ di chiarezza terminologica. Il tromboembolismo – il problema principale dato da SARS-CoV-2 insieme alle ormai note trombosi polmonari – nasce appunto nelle vene profonde degli arti, che riportano il sangue al cuore tramite i polmoni affinché sia ossigenato. Quando si verifica un trombo in una vena, dal coagulo può staccarsi un frammento che può incunearsi a livello polmonare e provocare effetti molto gravi, ma che se preso in tempo può essere curato. Il tromboembolismo arterioso è invece un’alterazione che si forma nelle arterie che portano ossigeno nei vari distretti. Il trombo arterioso provoca un’ischemia, che si ha in una zona dove mancano sangue e ossigeno. Infine, la piastrinopenia è definita da una discesa della conta piastrinica a valori inferiori a una certa soglia.
di Heidi Ledford/NatureDue ulteriori aspetti dell’articolo sono interessanti. Primo, bisogna tenere presente inoltre che l’articolo comprende dati sui contagiati e vaccinati nel periodo dal 1 settembre 2020 al 2 maggio 2021; ciò significa che le persone vaccinate esaminate erano le più fragili e le più anziane, spesso con altre malattie croniche. Per contro gli infettati non vaccinati erano statisticamente più giovani e sani. Secondo, che il rischio fra i vaccinati di presentare questi episodi di tromboembolismo venoso, risultava più elevato dell’atteso, sebbene comunque molto basso, solo dopo la prima dose, mentre dopo la seconda dose era addirittura diminuito, un dato che suggerisce l’assenza di uno stato ipercoagulativo in associazione alla risposta immunitaria.
"Siamo stati per mesi in trincea – continua Avruscio – sommersi da telefonate, e-mail e messaggi da parte di pazienti terrorizzati dalla possibilità che il vaccino potesse portare a eventi di questo tipo, che venivano enfatizzati nei media, quando invece la reale minaccia a livello tromboembolico è SARS-CoV-2. Noi lo vedevamo chiaramente in reparto, e ora questi risultati lo confermano senza ritrosie. Già nei primi mesi di pandemia rilevavamo in un nostro studio che i pazienti con COVID-19 ricoverati in terapia intensiva presentavano un rischio di tromboembolismo venoso cinque volte superiore a quanto atteso, nonostante la tromboprofilassi farmacologica con profilassi standard o ad alte dosi di eparina."
"Si tratta addirittura di risultati ancora sottostimati rispetto alla gravità del SARS-CoV-2 originale", prosegue D’Angelo. Uno studio condotto al San Raffele fra marzo e aprile 2020, nel pieno del dramma della prima ondata, ha valutato l’incidenza della trombosi venosa profonda, nella maggior parte dei casi asintomatica, nei pazienti con COVID-19. "Il 15 per cento dei 200 soggetti esaminati presentava questo problema. Non stupisce che questo genere di virus abbia scatenato una risposta infiammatoria così forte da incidere sulla coagulazione", conclude D’Angelo. "Vista l’elevata mortalità della prima SARS apparsa anni fa in Medio Oriente, probabilmente doveva trattarsi di un fenomeno analogo
Da un vasto studio, che ha considerato dati di quasi dieci milioni di persone, emerge come il vaccino abbia esercitato una forte azione protettiva rispetto a trombosi, piastrinopenia e trombosi con piastrinopenia, ben più frequenti in quanti hanno contratto l’infezione senza essere vaccinati. Non solo, questi dati potrebbero addirittura sottostimare la gravità del SARS-CoV-2 originale
Sono passati quasi due anni dall’arrivo dei primi vaccini contro SARS-CoV-2 ed è maturato il tempo per avere dati abbastanza solidi per considerazioni puntuali sul reale impatto delle vaccinazioni sul rischio cardiovascolare in termini di eventi tromboembolici venosi e piastrinopenia. A fine novembre 2022 "Nature Communications", una delle riviste più quotate al mondo, ha pubblicato un lavoro enorme, il più ampio mai uscito finora su questo argomento, che ha esaminato un totale di 5,6 milioni di vaccinati (3,7 milioni di persone con Vaxzevria di Astrazeneca e 1,8 milioni con Comirnaty di Pfizer) nel Regno Unito, indagando l’incidenza di trombosi, piastrinopenia e trombosi con piastrinopenia, a confronto con i dati di 400.000 ulteriori persone che sono state contagiate con il virus e che non erano precedentemente vaccinate. I dati di confronto sulla popolazione generale provengono da coorti di popolazioni esaminate per quei parametri prima della pandemia, in altri studi, per un totale di 9,4 milioni di persone.
Risultato: il rischio relativo per eventi tromboembolici era di sette volte maggiore fra i pazienti infettati con SARS-CoV-2 rispetto alla popolazione generale, mentre per l'embolia polmonare il rischio saliva addirittura a oltre 12 volte in questi pazienti. Per contro, la possibilità di un evento avverso di questo tipo era di 1,12 volte fra i vaccinati rispetto alla popolazione generale pre-pandemia. In altre parole: pur considerando che a maggio 2021 la vaccinazione con Vaxzevria causava un evento tromboembolico grave associato a piastrinopenia in un caso ogni oltre 106.000 dosi somministrate, il rischio portato dal virus è stato molto maggiore.
di Heidi Ledford/Nature"Rispetto al fatto che i vaccini possano portare eventi avversi, non ne siamo certo stupiti – spiega Giampiero Avruscio, primario di angiologia presso l'Azienda ospedaliera di Padova – dal momento che la risposta immunitaria, che sia indotta da un virus o da un vaccino, comporta variazioni nella coagulazione. La trombocitopenia, in particolare, è stata segnalata anche in relazione ad altre vaccinazioni: contro l’influenza, la parotite, l’epatite, il morbillo. L’aspetto più interessante è che si dimostra chiaramente che in una situazione come quella in cui ci trovavamo, con un virus pericoloso in circolazione, il vaccino ha esercitato un’azione protettiva rispetto a questo genere di eventi."
Se la popolazione vaccinata si fosse contagiata prima di ricevere una dose, avrebbe avuto un rischio molto maggiore di incorrere in eventi tromboembolici. Inoltre, dai dati di 5,6 milioni di persone emerge che oltre sei pazienti vaccinati su dieci che hanno manifestato un evento di questo genere avevano almeno un’altra condizione patologica pregressa associata o usavano un farmaco associato a rischio tromboembolico.
L’articolo in questione è stato pubblicato il 23 novembre 2022, dopo un anno e tre mesi da quando è stato inviato alla rivista per la sua revisione. "È un intervallo lunghissimo, anche per una rivista molto importante come 'Nature Communications'", spiega Armando D’Angelo, responsabile del Servizio di coagulazione ed unità ricerca trombosi dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, in passato presidente della Società italiana per lo studio dell’emostasi e della trombosi. "Il tempo medio intercorrente tra la sottomissione e l’accettazione di un lavoro in questa rivista varia dai tre ai sei mesi, il che fa pensare che il manoscritto sia stato accuratamente vagliato dai revisori cui è stato sottoposto, data anche la delicatezza del tema. Non possiamo tuttavia considerare il valore prospettico di uno studio come questo, perché parla di una variante di virus diversa, per fortuna, rispetto a quella odierna", spiega.
Un po’ di chiarezza terminologica. Il tromboembolismo – il problema principale dato da SARS-CoV-2 insieme alle ormai note trombosi polmonari – nasce appunto nelle vene profonde degli arti, che riportano il sangue al cuore tramite i polmoni affinché sia ossigenato. Quando si verifica un trombo in una vena, dal coagulo può staccarsi un frammento che può incunearsi a livello polmonare e provocare effetti molto gravi, ma che se preso in tempo può essere curato. Il tromboembolismo arterioso è invece un’alterazione che si forma nelle arterie che portano ossigeno nei vari distretti. Il trombo arterioso provoca un’ischemia, che si ha in una zona dove mancano sangue e ossigeno. Infine, la piastrinopenia è definita da una discesa della conta piastrinica a valori inferiori a una certa soglia.
di Heidi Ledford/NatureDue ulteriori aspetti dell’articolo sono interessanti. Primo, bisogna tenere presente inoltre che l’articolo comprende dati sui contagiati e vaccinati nel periodo dal 1 settembre 2020 al 2 maggio 2021; ciò significa che le persone vaccinate esaminate erano le più fragili e le più anziane, spesso con altre malattie croniche. Per contro gli infettati non vaccinati erano statisticamente più giovani e sani. Secondo, che il rischio fra i vaccinati di presentare questi episodi di tromboembolismo venoso, risultava più elevato dell’atteso, sebbene comunque molto basso, solo dopo la prima dose, mentre dopo la seconda dose era addirittura diminuito, un dato che suggerisce l’assenza di uno stato ipercoagulativo in associazione alla risposta immunitaria.
"Siamo stati per mesi in trincea – continua Avruscio – sommersi da telefonate, e-mail e messaggi da parte di pazienti terrorizzati dalla possibilità che il vaccino potesse portare a eventi di questo tipo, che venivano enfatizzati nei media, quando invece la reale minaccia a livello tromboembolico è SARS-CoV-2. Noi lo vedevamo chiaramente in reparto, e ora questi risultati lo confermano senza ritrosie. Già nei primi mesi di pandemia rilevavamo in un nostro studio che i pazienti con COVID-19 ricoverati in terapia intensiva presentavano un rischio di tromboembolismo venoso cinque volte superiore a quanto atteso, nonostante la tromboprofilassi farmacologica con profilassi standard o ad alte dosi di eparina."
"Si tratta addirittura di risultati ancora sottostimati rispetto alla gravità del SARS-CoV-2 originale", prosegue D’Angelo. Uno studio condotto al San Raffele fra marzo e aprile 2020, nel pieno del dramma della prima ondata, ha valutato l’incidenza della trombosi venosa profonda, nella maggior parte dei casi asintomatica, nei pazienti con COVID-19. "Il 15 per cento dei 200 soggetti esaminati presentava questo problema. Non stupisce che questo genere di virus abbia scatenato una risposta infiammatoria così forte da incidere sulla coagulazione", conclude D’Angelo. "Vista l’elevata mortalità della prima SARS apparsa anni fa in Medio Oriente, probabilmente doveva trattarsi di un fenomeno analogo
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