Leggendo dai no vax che il covid ai bambini non fa praticamente nulla e se sono ricoverati nelle altre nazioni sono invenzioni del complotto mondiale, agevoliamo le novita degli ultimi giorni.
Riguarda l 1% degli infettati...
Oh, ci sono bambini attaccati all ossigeno,poi si prendevano per il c.ulo quelli indonesiani che morivano a grappoli perche non potevano arrivare in ospedale per essere ossigenati.
CHE
Covid, nel centro che cura i bimbi: si guarda «Peppa Pig» attaccati all’ossigeno
diGoffredo Buccini
Al Bambino Gesù di Palidoro, frazione di Fiumicino, ci sono malati pure tra 5 e 11 anni. Il medico: «Se non vacciniamo i piccoli, li mettiamo in trappola»
![](https://images2.corriereobjects.it/methode_image/2021/11/16/Interni/Foto%20Interni%20-%20Trattate/Natale%20Centro%20Covid%2010-k2PD-U33001321283703cN-656x492@Corriere-Web-Sezioni.jpg?v=20211116224855)
Il Covid dei bambini sta in tre finestre affacciate sul mondo: mamme e figlioletti in isolamento dietro le imposte, padri in giardino con borsoni e giocattoli, amore e ansie a distanza da consegnare in portineria. «Se tutti noi ci vacciniamo ma non vacciniamo i più piccoli, stiamo preparando per loro una trappola tremenda: il virus non è stupido, andrà dove trova una porta aperta», mormora il pediatra Andrea Campana.
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Cinquantadue anni, bresciano (con ancora nel cuore lo strazio per la sua città piagata dalla pandemia), Campana è l’anima della trincea contro il morbo eretta a marzo 2020 dal Bambino Gesù qui a Palidoro, frazioncina di Fiumicino in fondo all’Aurelia (teatro nel 1943 del sacrificio di Salvo D’Acquisto), le dune della bella spiaggia a un passo: quasi 750 bimbi e ragazzini ricoverati da inizio pandemia, di cui 33 in rianimazione, due morti (con altre fragilità, entrambi a Roma nella sede del Gianicolo); i due piani della bassa palazzina immersa nel parco naturale dell’Agro Romano sono stati e sono una porta girevole di angosce e speranze, emozioni e dolori. «Quando mio figlio è sparito dietro i vetri della terapia intensiva mi è caduto il mondo addosso», scrive riconoscente Rossella, mamma di un sedicenne: «Ma ci siete stati accanto fino alla nostra uscita, grazie per essere così diversi da tutto il resto». Il resto sono «i momenti bui».
Campana ci riceve al padiglione Paolo VI, davanti ai reparti, nella cappella dell’ospedale da tempo in disuso per precauzione sanitaria. E spiega subito come il bersaglio della malattia stia cambiando per effetto dei vaccini. Da marzo 2020 a oggi l’età media dei ricoverati è scesa a cinque anni e mezzo (e il tempo medio dei ricoveri da dieci giorni a tre e mezzo): l’anno scorso si ricoveravano 40 adolescenti al mese, con degenze anche fino a due mesi e un picco di 110 ricoveri a settembre-ottobre 2020 che qui chiamano «effetto Billionaire», a dire la follia delle discoteche come simbolo effimero di libertà estiva. Quest’anno, la scelta di massa dei ragazzi più grandi (due su tre favorevoli addirittura all’obbligo vaccinale secondo una ricerca dell’Ipsos realizzata per Save the Children) ha modificato anche la popolazione del presidio di Palidoro: i più esposti hanno tra i 5 e gli 11 anni, la fascia sulla quale sta per arrivare il via libera all’immunizzazione. Poi si tratterà di superare le paure dei genitori, pure comprensibili: di fronte a un impatto tutto sommato minore, tanti si chiedono se ne valga la pena. «Ma il punto non è vaccinare i bambini per salvare gli adulti, è proprio proteggere i bambini», spiega Campana. Avendo lavorato a lungo nell’ospedale di Itigi in Tanzania, animato dalla coraggiosa suor Incoronata Lemmo, e avendone dunque viste di ben peggiori, si dichiara «ottimista, per natura»: «Perciò non voglio spaventare nessuno, da medico. Ma come papà sono preoccupato, me lo conceda. Questa malattia, se muta, può diventare grave anche per i piccoli, che finora non hanno subito conseguenze troppo pesanti: basta una variante. Sarebbe come disegnare un bersaglio sulla schiena dei bambini non vaccinati. Sotto i 12 anni e sotto i 40 chili non si fanno le monoclonali, i farmaci si usano off label, il vaccino ha senso in funzione preventiva, quando sei in epidemia finisci per rincorrere». Ora la pressione nel presidio di Palidoro è sopportabile, il lunedì sera i piccoli ricoverati sono otto, più quattro genitori e un bambino in quarantena (ma nell’ala accanto al reparto Covid incalza la bronchiolite, che può diventare aggressiva e pericolosa, e al piano di sopra una ventina di letti serve all’osservazione di Coronavirus sospetti, non ancora conclamati).
«Se dici Covid dei bambini dici Covid delle famiglie, quando riesci a farti complice la mamma sei a metà dell’opera», medita saggiamente Gloria Tontini, carica di disegni, temi, pensierini lasciati come ringraziamento dai degenti. Fondamentale caposala dal 2011, s’è battuta nelle corsie come una leonessa da un anno e mezzo a questa parte, «dovevamo essere molto flessibili, secondo le esigenze sanitarie della Regione: il trucco è lavorare tutti assieme, questa è una bella squadra». Ha sopportato padri tabagisti che davano i numeri in quarantena, una mamma nigeriana che le ha sfasciato una porta per disperazione, si tiene nel cuore i «tre fratellini», così li chiamano qui, dimessi sabato scorso dopo un vero calvario: «Avevano quindici, sei e quattro anni, il più grande curava gli altri due come una madre». Il papà dei «tre fratellini» è un No Vax che, ricoverato per Covid allo Spallanzani, ha dato in escandescenze; la mamma deve stare accanto a un’altra figlia in attesa di trapianto: quei tre li avevano adottati tutti, Gloria ha distribuito orsacchiotti e macchinine di plastica per alleviare la paura. Perché non va sempre bene, non è sempre facile.
«Com’è un bambino col Covid? Solo», sospira Daniela Perrotta, medico di rianimazione: «Appena possiamo facciamo entrare le mamme, ma loro si sentono strappati dall’affetto dei genitori, a quattro anni si sentono traditi». Si può guardare Peppa Pig col casco per l’ossigeno in testa, ci si aiuta coi tablet e i cellulari, «ma anche le videochiamate vanno gestite, sono un moltiplicatore emotivo fortissimo: una bambina di 11 anni piangeva appena chiamava il papà, l’abbiamo placata coi cornetti al cioccolato». Poi, certi dolori non si placano, certe cicatrici scavano più a fondo che nei polmoni. Un tredicenne è diventato orfano qui dentro: il Covid gli ha stroncato il padre e lui non è potuto nemmeno andare al funerale. «All’inizio il virus era anche bello, stavamo tutti assieme coi miei genitori e i nonni. Poi sono venuti a portare via il nonno…», annota un ragazzino delle medie nel suo tema.
La salvezza passa attraverso lo sguardo, dicono i mistici. «Qui abbiamo dovuto reinventare sguardi, parole e tono di voce per garantire la serenità a questi bambini e alle loro famiglie», traduce in chiave assai più terrena la caposala Gloria. Ma davvero la fisiognomica della guarigione non è solo materiale, forse. E forse lo stiamo imparando. Campana dice che «i bambini africani ti fissano sempre negli occhi: i nostri figli avevano smesso. Ora, sopra le mascherine, abbiamo ricominciato a guardarci».LA PANDEMIA
Covid e bambini, allarme a Vicenza: «Ogni settimana 10 ricoveri in pediatria»
Il primario Bellettato: «Li stiamo tenendo sotto controllo anche per verificare se possano esserci, come per gli adulti, effetti da long Covid»
di Mauro Della Valleshadow
Le sale della pediatria di Vicenza (archivio)
Per il momento i casi in Veneto sono sotto la cinquantina ma nei reparti di pediatria di tutti gli ospedali regionali l’allarme rosso è già scattato da tempo. Il Covid, che per molto tempo si è detto essere quasi ininfluente sui giovani, in realtà si dimostra essere più che pericoloso nei bambini sotto i 12 anni d’età che, come noto, è la fascia di popolazione attualmente ancora esclusa dalla vaccinazione. Che le classi delle elementari fossero tra le più colpite dopo l’apertura dell’anno scolastico se n’erano già accorti i responsabili del Sisp, il Servizio di igiene e sanità pubblica delle Ulss. Gli effetti del contagio, tuttavia, li hanno attestati i pediatri e i medici dei reparti pediatrici ospedalieri che si sono dovuti occupare della sindrome infiammatoria multisistemica, che compare da due a sei settimane dopo l’infezione da Covid. “Ne abbiamo ricoverati e per fortuna già dimessi cinque – conferma Massimo Bellettato, primario di pediatria del San Bortolo di Vicenza -, ma li stiamo tenendo sotto controllo anche per verificare se possano esserci, come per gli adulti, effetti da long Covid”.
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I reparti sotto pressione
Se il virus è subdolo, l’infiammazione conseguente non lo è da meno: i sintomi sono febbre elevata, spesso accompagnata da disturbi gastrointestinali, abbassamento della pressione sanguigna e altre alterazioni anche a livello cardiologico che richiedono il ricovero in ospedale. Dove peraltro il pronto soccorso pediatrico, i reparti ordinari e le terapie intensive, sono già sotto pressione a causa di un altro virus, il Vrs il virus respiratorio sinciziale, quest’anno giunto molto in anticipo rispetto al passato. “Abbiamo una media di ricoveri settimanali a causa di questo virus di una decina di bambini, alcuni dei quali in terapia intensiva pediatrica – aggiunge Bellettato – tutti bisognosi di alti flussi di ossigeno. Stiamo gestendo la situazione in collaborazione con l’Ospedale di Arzignano. Non siamo ancora in emergenza, in quanto il nostro reparto è dotato di 25 posti letto e di cinque postazioni di terapia intensiva. Bisogna tuttavia tener conto che facciamo parte di quella mini-rete di pediatrie venete, assieme agli ospedali di Padova e Verona, che hanno il compito di ospitare i casi più gravi provenienti da tutta la regione”. L’inverno non è nemmeno ancora alle porte, c’è attesa sul via libera di Ema e Aifa alla vaccinazione degli under 12, che spesso vengono contagiati dai genitori.
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15 novembre 2021 (modifica il 15 novembre 2021 | 13:25)
via che la popolazione adulta riceve il vaccino anti-Covid, si delinea l’effetto della mancanza di un ombrello che ripari dal contagio i bambini. In attesa dell’approvazione di un siero per immunizzare i giovanissimi, si registrano «un incremento molto critico dei contagi tra più piccoli, soprattutto nella fascia 6-11 anni» e un’incidenza di ricoveri e decessi nelle pediatrie «aumentato di un terzo rispetto al primo semestre del 2021». A farlo presente è il dottor Fabio Ciciliano, componente del Comitato tecnico scientifico, esperto di medicina delle catastrofi in rappresentanza del dipartimento della protezione civile.
Dottor Ciciliano, secondo la Società italiana di Pediatria (Sip) e l’associazione degli ospedali pediatrici italiani (Aopi) in poco più di due mesi, dal 25 agosto al 9 novembre, nella fascia di età 6-10 anni, c’è stato un incremento di 24.398 casi di Covid. La situazione dei contagi nella popolazione di giovani rimane sotto controllo?
«I numeri evidenziano una forte ripresa dei contagi nella popolazione giovanile. La variazione di incidenza, tra il periodo 11-24 ottobre e il periodo 25 ottobre 7 novembre, fa notare un fortissimo incremento dei casi tra chi ha meno di 12 anni. Anche nella fascia sotto i 3 anni si vede un aumento, ma un incremento molto critico coinvolge soprattutto il gruppo 6-11. Più o meno identica la situazione per la fascia 12-16 anni».
I casi pediatrici negli ospedali restano non comuni?
«Confrontando l’incidenza di ricoveri e decessi nell’età 6-11 anni nel periodo dal 4 gennaio al 30 giugno 2021 con l’incidenza nel periodo dall’1 luglio al 7 novembre 2021, si nota che i casi gravi sono passati dall’essere lo 0,65% (sul totale di casi gravi Covid di tutte le età, ndr) all’essere lo 0,97%. Seppur si tratti di numeri ridotti, il cambiamento c’è stato e ci dice che tra i più piccoli i ricoveri e i decessi per Covid sono cresciuti di un terzo».
Quanti sono invece i non vaccinati tra i giovani dai 12 anni in su?
«Abbiamo circa 1.250.000 ragazzi nella fascia 12-18 anni non ancora vaccinati».
Per decisione contraria dei genitori, visto che non sono maggiorenni?
«Esatto. E qui va fatto un discorso sulle falle della comunicazione nel panorama della vaccinazione. Vediamo genitori che non hanno avuto problemi a vaccinarsi, ma che mettono in dubbio l’immunizzazione dei propri figli. Senza un reale motivo, visto che di solito i genitori non esitano, per fare un esempio, di fronte al vaccino contro il papilloma. Evidentemente c’è una considerazione mediatica negativa sull’intera partita di vaccinazione anti-Covid».
Guardando l’andamento dei numeri pandemici nelle ultime settimane, come è messa l’Italia?
«L’incidenza è di 78 casi di positività per 100.000 abitanti. Siamo al di sopra dei 50, ovvero il dato sotto il quale avviene il miglior tracciamento possibile. Si conferma quindi la crescita dei casi, che fa prestare attenzione ma non desta preoccupazione. La percentuale di occupazione di area medica è al 6% e delle terapie intensive al 4,5%. Nello specifico, l’Emilia Romagna è a 87,6 e Veneto a 115,7, un po’ alto. In entrambi i casi, l’occupazione dei posti in area medica è al di sotto della media nazionale. Per quanto riguarda le terapie intensive, la prima è in linea, il Veneto è di poco più in alto (4,7%), ma non tanto da fare scattare misure più severe di contenimento o il cambio di colorazione delle regioni».
Con questi parametri, è urgente implementare la copertura vaccinale per l’età 5-11 anni?
«Innanzitutto bisogna aspettare il vaglio di Ema e Aifa. Ma se vogliamo aumentare la popolazione vaccinata, ormai è necessario coinvolgere anche i bambini».
I genitori soppeseranno il rischio di un raro effetto collaterale da vaccino rispetto al non comune rischio di Covid-19 grave nei bambini. Perché dovrebbero scegliere di immunizzare i figli?
«Innanzitutto, il vaccino serve per tutelare i bambini stessi, perché, come dicono i numeri, non è vero che i più piccoli non possono essere ricoverati per Covid. In neonatologia o pediatria l’incremento dei casi c’è stato. Un altro motivo riguarda la socialità, ovvero per riprendere in tranquillità il rapporto con i nonni o persone più esposte alla malattia grave e più esposti a rischio».
Tra le patologie che si porta dietro la malattia, c’è il long-Covid, di cui si conosce ancora poco. Quante persone ne soffrono?
«I numeri sono importanti. Uno studio pubblicato da Nature Medicine riporta che ne soffre tra il 2% e il 13% della popolazione che si è ammalata di Covid, e che mantiene i sintomi della malattia a lungo (affaticamento, cefalea, difficoltà respiratorie, perdita dell’olfatto, ndr). Il 13% ha i sintomi fino a 28 giorni, il 5% dai 2 ai 3 mesi, il 2% per più di tre mesi. Il long Covid è presente soprattutto in coloro in cui la malattia si è manifestata con sintomi (la ricerca citata riporta inoltre che è più probabile con l’aumentare dell’età, del peso e del sesso femminile, ndr)».
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Riguarda l 1% degli infettati...
Oh, ci sono bambini attaccati all ossigeno,poi si prendevano per il c.ulo quelli indonesiani che morivano a grappoli perche non potevano arrivare in ospedale per essere ossigenati.
CHE
Covid, nel centro che cura i bimbi: si guarda «Peppa Pig» attaccati all’ossigeno
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Al Bambino Gesù di Palidoro, frazione di Fiumicino, ci sono malati pure tra 5 e 11 anni. Il medico: «Se non vacciniamo i piccoli, li mettiamo in trappola»
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Il Covid dei bambini sta in tre finestre affacciate sul mondo: mamme e figlioletti in isolamento dietro le imposte, padri in giardino con borsoni e giocattoli, amore e ansie a distanza da consegnare in portineria. «Se tutti noi ci vacciniamo ma non vacciniamo i più piccoli, stiamo preparando per loro una trappola tremenda: il virus non è stupido, andrà dove trova una porta aperta», mormora il pediatra Andrea Campana.
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Cinquantadue anni, bresciano (con ancora nel cuore lo strazio per la sua città piagata dalla pandemia), Campana è l’anima della trincea contro il morbo eretta a marzo 2020 dal Bambino Gesù qui a Palidoro, frazioncina di Fiumicino in fondo all’Aurelia (teatro nel 1943 del sacrificio di Salvo D’Acquisto), le dune della bella spiaggia a un passo: quasi 750 bimbi e ragazzini ricoverati da inizio pandemia, di cui 33 in rianimazione, due morti (con altre fragilità, entrambi a Roma nella sede del Gianicolo); i due piani della bassa palazzina immersa nel parco naturale dell’Agro Romano sono stati e sono una porta girevole di angosce e speranze, emozioni e dolori. «Quando mio figlio è sparito dietro i vetri della terapia intensiva mi è caduto il mondo addosso», scrive riconoscente Rossella, mamma di un sedicenne: «Ma ci siete stati accanto fino alla nostra uscita, grazie per essere così diversi da tutto il resto». Il resto sono «i momenti bui».
Campana ci riceve al padiglione Paolo VI, davanti ai reparti, nella cappella dell’ospedale da tempo in disuso per precauzione sanitaria. E spiega subito come il bersaglio della malattia stia cambiando per effetto dei vaccini. Da marzo 2020 a oggi l’età media dei ricoverati è scesa a cinque anni e mezzo (e il tempo medio dei ricoveri da dieci giorni a tre e mezzo): l’anno scorso si ricoveravano 40 adolescenti al mese, con degenze anche fino a due mesi e un picco di 110 ricoveri a settembre-ottobre 2020 che qui chiamano «effetto Billionaire», a dire la follia delle discoteche come simbolo effimero di libertà estiva. Quest’anno, la scelta di massa dei ragazzi più grandi (due su tre favorevoli addirittura all’obbligo vaccinale secondo una ricerca dell’Ipsos realizzata per Save the Children) ha modificato anche la popolazione del presidio di Palidoro: i più esposti hanno tra i 5 e gli 11 anni, la fascia sulla quale sta per arrivare il via libera all’immunizzazione. Poi si tratterà di superare le paure dei genitori, pure comprensibili: di fronte a un impatto tutto sommato minore, tanti si chiedono se ne valga la pena. «Ma il punto non è vaccinare i bambini per salvare gli adulti, è proprio proteggere i bambini», spiega Campana. Avendo lavorato a lungo nell’ospedale di Itigi in Tanzania, animato dalla coraggiosa suor Incoronata Lemmo, e avendone dunque viste di ben peggiori, si dichiara «ottimista, per natura»: «Perciò non voglio spaventare nessuno, da medico. Ma come papà sono preoccupato, me lo conceda. Questa malattia, se muta, può diventare grave anche per i piccoli, che finora non hanno subito conseguenze troppo pesanti: basta una variante. Sarebbe come disegnare un bersaglio sulla schiena dei bambini non vaccinati. Sotto i 12 anni e sotto i 40 chili non si fanno le monoclonali, i farmaci si usano off label, il vaccino ha senso in funzione preventiva, quando sei in epidemia finisci per rincorrere». Ora la pressione nel presidio di Palidoro è sopportabile, il lunedì sera i piccoli ricoverati sono otto, più quattro genitori e un bambino in quarantena (ma nell’ala accanto al reparto Covid incalza la bronchiolite, che può diventare aggressiva e pericolosa, e al piano di sopra una ventina di letti serve all’osservazione di Coronavirus sospetti, non ancora conclamati).
«Se dici Covid dei bambini dici Covid delle famiglie, quando riesci a farti complice la mamma sei a metà dell’opera», medita saggiamente Gloria Tontini, carica di disegni, temi, pensierini lasciati come ringraziamento dai degenti. Fondamentale caposala dal 2011, s’è battuta nelle corsie come una leonessa da un anno e mezzo a questa parte, «dovevamo essere molto flessibili, secondo le esigenze sanitarie della Regione: il trucco è lavorare tutti assieme, questa è una bella squadra». Ha sopportato padri tabagisti che davano i numeri in quarantena, una mamma nigeriana che le ha sfasciato una porta per disperazione, si tiene nel cuore i «tre fratellini», così li chiamano qui, dimessi sabato scorso dopo un vero calvario: «Avevano quindici, sei e quattro anni, il più grande curava gli altri due come una madre». Il papà dei «tre fratellini» è un No Vax che, ricoverato per Covid allo Spallanzani, ha dato in escandescenze; la mamma deve stare accanto a un’altra figlia in attesa di trapianto: quei tre li avevano adottati tutti, Gloria ha distribuito orsacchiotti e macchinine di plastica per alleviare la paura. Perché non va sempre bene, non è sempre facile.
«Com’è un bambino col Covid? Solo», sospira Daniela Perrotta, medico di rianimazione: «Appena possiamo facciamo entrare le mamme, ma loro si sentono strappati dall’affetto dei genitori, a quattro anni si sentono traditi». Si può guardare Peppa Pig col casco per l’ossigeno in testa, ci si aiuta coi tablet e i cellulari, «ma anche le videochiamate vanno gestite, sono un moltiplicatore emotivo fortissimo: una bambina di 11 anni piangeva appena chiamava il papà, l’abbiamo placata coi cornetti al cioccolato». Poi, certi dolori non si placano, certe cicatrici scavano più a fondo che nei polmoni. Un tredicenne è diventato orfano qui dentro: il Covid gli ha stroncato il padre e lui non è potuto nemmeno andare al funerale. «All’inizio il virus era anche bello, stavamo tutti assieme coi miei genitori e i nonni. Poi sono venuti a portare via il nonno…», annota un ragazzino delle medie nel suo tema.
La salvezza passa attraverso lo sguardo, dicono i mistici. «Qui abbiamo dovuto reinventare sguardi, parole e tono di voce per garantire la serenità a questi bambini e alle loro famiglie», traduce in chiave assai più terrena la caposala Gloria. Ma davvero la fisiognomica della guarigione non è solo materiale, forse. E forse lo stiamo imparando. Campana dice che «i bambini africani ti fissano sempre negli occhi: i nostri figli avevano smesso. Ora, sopra le mascherine, abbiamo ricominciato a guardarci».LA PANDEMIA
Covid e bambini, allarme a Vicenza: «Ogni settimana 10 ricoveri in pediatria»
Il primario Bellettato: «Li stiamo tenendo sotto controllo anche per verificare se possano esserci, come per gli adulti, effetti da long Covid»
di Mauro Della Valleshadow
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Per il momento i casi in Veneto sono sotto la cinquantina ma nei reparti di pediatria di tutti gli ospedali regionali l’allarme rosso è già scattato da tempo. Il Covid, che per molto tempo si è detto essere quasi ininfluente sui giovani, in realtà si dimostra essere più che pericoloso nei bambini sotto i 12 anni d’età che, come noto, è la fascia di popolazione attualmente ancora esclusa dalla vaccinazione. Che le classi delle elementari fossero tra le più colpite dopo l’apertura dell’anno scolastico se n’erano già accorti i responsabili del Sisp, il Servizio di igiene e sanità pubblica delle Ulss. Gli effetti del contagio, tuttavia, li hanno attestati i pediatri e i medici dei reparti pediatrici ospedalieri che si sono dovuti occupare della sindrome infiammatoria multisistemica, che compare da due a sei settimane dopo l’infezione da Covid. “Ne abbiamo ricoverati e per fortuna già dimessi cinque – conferma Massimo Bellettato, primario di pediatria del San Bortolo di Vicenza -, ma li stiamo tenendo sotto controllo anche per verificare se possano esserci, come per gli adulti, effetti da long Covid”.
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Se il virus è subdolo, l’infiammazione conseguente non lo è da meno: i sintomi sono febbre elevata, spesso accompagnata da disturbi gastrointestinali, abbassamento della pressione sanguigna e altre alterazioni anche a livello cardiologico che richiedono il ricovero in ospedale. Dove peraltro il pronto soccorso pediatrico, i reparti ordinari e le terapie intensive, sono già sotto pressione a causa di un altro virus, il Vrs il virus respiratorio sinciziale, quest’anno giunto molto in anticipo rispetto al passato. “Abbiamo una media di ricoveri settimanali a causa di questo virus di una decina di bambini, alcuni dei quali in terapia intensiva pediatrica – aggiunge Bellettato – tutti bisognosi di alti flussi di ossigeno. Stiamo gestendo la situazione in collaborazione con l’Ospedale di Arzignano. Non siamo ancora in emergenza, in quanto il nostro reparto è dotato di 25 posti letto e di cinque postazioni di terapia intensiva. Bisogna tuttavia tener conto che facciamo parte di quella mini-rete di pediatrie venete, assieme agli ospedali di Padova e Verona, che hanno il compito di ospitare i casi più gravi provenienti da tutta la regione”. L’inverno non è nemmeno ancora alle porte, c’è attesa sul via libera di Ema e Aifa alla vaccinazione degli under 12, che spesso vengono contagiati dai genitori.
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15 novembre 2021 (modifica il 15 novembre 2021 | 13:25)
via che la popolazione adulta riceve il vaccino anti-Covid, si delinea l’effetto della mancanza di un ombrello che ripari dal contagio i bambini. In attesa dell’approvazione di un siero per immunizzare i giovanissimi, si registrano «un incremento molto critico dei contagi tra più piccoli, soprattutto nella fascia 6-11 anni» e un’incidenza di ricoveri e decessi nelle pediatrie «aumentato di un terzo rispetto al primo semestre del 2021». A farlo presente è il dottor Fabio Ciciliano, componente del Comitato tecnico scientifico, esperto di medicina delle catastrofi in rappresentanza del dipartimento della protezione civile.
Dottor Ciciliano, secondo la Società italiana di Pediatria (Sip) e l’associazione degli ospedali pediatrici italiani (Aopi) in poco più di due mesi, dal 25 agosto al 9 novembre, nella fascia di età 6-10 anni, c’è stato un incremento di 24.398 casi di Covid. La situazione dei contagi nella popolazione di giovani rimane sotto controllo?
«I numeri evidenziano una forte ripresa dei contagi nella popolazione giovanile. La variazione di incidenza, tra il periodo 11-24 ottobre e il periodo 25 ottobre 7 novembre, fa notare un fortissimo incremento dei casi tra chi ha meno di 12 anni. Anche nella fascia sotto i 3 anni si vede un aumento, ma un incremento molto critico coinvolge soprattutto il gruppo 6-11. Più o meno identica la situazione per la fascia 12-16 anni».
I casi pediatrici negli ospedali restano non comuni?
«Confrontando l’incidenza di ricoveri e decessi nell’età 6-11 anni nel periodo dal 4 gennaio al 30 giugno 2021 con l’incidenza nel periodo dall’1 luglio al 7 novembre 2021, si nota che i casi gravi sono passati dall’essere lo 0,65% (sul totale di casi gravi Covid di tutte le età, ndr) all’essere lo 0,97%. Seppur si tratti di numeri ridotti, il cambiamento c’è stato e ci dice che tra i più piccoli i ricoveri e i decessi per Covid sono cresciuti di un terzo».
Quanti sono invece i non vaccinati tra i giovani dai 12 anni in su?
«Abbiamo circa 1.250.000 ragazzi nella fascia 12-18 anni non ancora vaccinati».
Per decisione contraria dei genitori, visto che non sono maggiorenni?
«Esatto. E qui va fatto un discorso sulle falle della comunicazione nel panorama della vaccinazione. Vediamo genitori che non hanno avuto problemi a vaccinarsi, ma che mettono in dubbio l’immunizzazione dei propri figli. Senza un reale motivo, visto che di solito i genitori non esitano, per fare un esempio, di fronte al vaccino contro il papilloma. Evidentemente c’è una considerazione mediatica negativa sull’intera partita di vaccinazione anti-Covid».
Guardando l’andamento dei numeri pandemici nelle ultime settimane, come è messa l’Italia?
«L’incidenza è di 78 casi di positività per 100.000 abitanti. Siamo al di sopra dei 50, ovvero il dato sotto il quale avviene il miglior tracciamento possibile. Si conferma quindi la crescita dei casi, che fa prestare attenzione ma non desta preoccupazione. La percentuale di occupazione di area medica è al 6% e delle terapie intensive al 4,5%. Nello specifico, l’Emilia Romagna è a 87,6 e Veneto a 115,7, un po’ alto. In entrambi i casi, l’occupazione dei posti in area medica è al di sotto della media nazionale. Per quanto riguarda le terapie intensive, la prima è in linea, il Veneto è di poco più in alto (4,7%), ma non tanto da fare scattare misure più severe di contenimento o il cambio di colorazione delle regioni».
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«Innanzitutto bisogna aspettare il vaglio di Ema e Aifa. Ma se vogliamo aumentare la popolazione vaccinata, ormai è necessario coinvolgere anche i bambini».
I genitori soppeseranno il rischio di un raro effetto collaterale da vaccino rispetto al non comune rischio di Covid-19 grave nei bambini. Perché dovrebbero scegliere di immunizzare i figli?
«Innanzitutto, il vaccino serve per tutelare i bambini stessi, perché, come dicono i numeri, non è vero che i più piccoli non possono essere ricoverati per Covid. In neonatologia o pediatria l’incremento dei casi c’è stato. Un altro motivo riguarda la socialità, ovvero per riprendere in tranquillità il rapporto con i nonni o persone più esposte alla malattia grave e più esposti a rischio».
Tra le patologie che si porta dietro la malattia, c’è il long-Covid, di cui si conosce ancora poco. Quante persone ne soffrono?
«I numeri sono importanti. Uno studio pubblicato da Nature Medicine riporta che ne soffre tra il 2% e il 13% della popolazione che si è ammalata di Covid, e che mantiene i sintomi della malattia a lungo (affaticamento, cefalea, difficoltà respiratorie, perdita dell’olfatto, ndr). Il 13% ha i sintomi fino a 28 giorni, il 5% dai 2 ai 3 mesi, il 2% per più di tre mesi. Il long Covid è presente soprattutto in coloro in cui la malattia si è manifestata con sintomi (la ricerca citata riporta inoltre che è più probabile con l’aumentare dell’età, del peso e del sesso femminile, ndr)».
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