. L’ultimo prodotto sulla bocca di tutti è l’ivermectina, ma, interpellato
Francesco Scaglione, docente di farmacologia all'università degli Studi di Milano e responsabile del Centro antiveleni dell'ospedale Niguarda, chiude la questione: “Ha dimostrato in vitro un'attività contro il virus ma non si può usare, perché la dose efficace in vitro è circa 35 volte più alta di quella utilizzabile in vivo. È stata provata ma risultati zero”. Gli effetti collaterali possono essere importanti: nausea, vomito e diarrea fino a danni neurologici. Non cambia la musica per l'idrossiclorochina: “Sulla scorta di informazioni che arrivavano dalla Cina è stata esplorata anche questa via, ma anche qui è sempre una questione di dose. Per la malaria si usa a un massimo di 600 mg al giorno, per Covid bisognerebbe salire a 1 grammo e mezzo, o 2, col rischio di effetti collaterali cardiaci” ricorda il farmacologo.
Come abbiamo detto, dunque, non disponiamo (ancora) di modelli in vitro, in silico o su altro supporto sufficientemente fedeli da predire con precisione gli effetti di un farmaco nell’organismo umano. Vediamo ora nello specifico di capire perché sono proprio i modelli animali l’unica opzione possibile affinché la ricerca scientifica possa procedere con la sperimentazione clinica senza mettere a repentaglio la salute dei pazienti coinvolti.
Francesco Scaglione, docente di farmacologia all'università degli Studi di Milano e responsabile del Centro antiveleni dell'ospedale Niguarda, chiude la questione: “Ha dimostrato in vitro un'attività contro il virus ma non si può usare, perché la dose efficace in vitro è circa 35 volte più alta di quella utilizzabile in vivo. È stata provata ma risultati zero”. Gli effetti collaterali possono essere importanti: nausea, vomito e diarrea fino a danni neurologici. Non cambia la musica per l'idrossiclorochina: “Sulla scorta di informazioni che arrivavano dalla Cina è stata esplorata anche questa via, ma anche qui è sempre una questione di dose. Per la malaria si usa a un massimo di 600 mg al giorno, per Covid bisognerebbe salire a 1 grammo e mezzo, o 2, col rischio di effetti collaterali cardiaci” ricorda il farmacologo.
Come abbiamo detto, dunque, non disponiamo (ancora) di modelli in vitro, in silico o su altro supporto sufficientemente fedeli da predire con precisione gli effetti di un farmaco nell’organismo umano. Vediamo ora nello specifico di capire perché sono proprio i modelli animali l’unica opzione possibile affinché la ricerca scientifica possa procedere con la sperimentazione clinica senza mettere a repentaglio la salute dei pazienti coinvolti.
- Perché, anche se si stanno sviluppando modelli tridimensionali il più possibile vicini alla realtà, i modelli in vitro non hanno ancora il sistema vascolare tipico di un tumore che cresce in un organismo.
- Perché in vitro è pressoché impossibile disporre di un sistema immunitario completo e dunque predire gli effetti del nuovo farmaco su di esso. Si possono infatti aggiungere macrofagi, linfociti e altri “singoli componenti”, ma avere l’intero e completo sistema di presentazione dell’antigene è impossibile.
- Perché mentre in vitro il farmaco arriva direttamente sulle cellule, in un organismo deve invece essere assorbito (nel caso di somministrazioni orali) o comunque distribuirsi nel flusso sanguigno dove ci sono proteine che lo possono legare (quasi sempre) e, possibilmente, deve passare la barriera emato-encefalica. Per misurare quanto farmaco arriva veramente al tumore è quindi necessario un modello in vivo.
- Perché in vitro è possibile verificare se il farmaco siaè efficace nell’uccidere le cellule target (le cellule tumorali), ma non si può prevedere l’effetto su altre cellule dell’organismo: farmaci che in vitro si sono rivelati incredibilmente efficaci (vere e proprie “bombe”), sono risultati tossici a livelli intollerabili per un organismo vivente.
- Perché può accadere che farmaci efficaci in vitro non lo siano altrettanto in vivo, vuoi per la tossicità o perché l’organismo se ne libera troppo velocemente. Sono tante le idee che scaturiscono da lavoro con cellule che finiscono per inframgersi sul muro della prova in vivo.
- E vale anche l’esatto opposto: ci sono infatti farmaci poco efficaci in vitro che si rivelano invece molto efficaci in vivo: molti anticorpi monoclonali, ad esempio, funzionano meglio in vivo che in vitro. Senza test su modelli animali, però, la loro vera efficacia nel salvare vite non sarebbe mai stata scoperta e la conseguente opzione terapeutica non sarebbe disponibile per i malati.
- Infine, per studiare la biologia e i fenotipi conseguenti a manipolazioni genetiche. In campo oncologico, sappiamo moltissimo su cosa fanno certe mutazioni e sulla biologia dei geni implicati nello sviluppo dei tumori proprio grazie a topi transgenici. Queste manipolazioni si possono fare (e vengono in effetti fatte) anche in cellule, ma non possono ricapitolare l’effetto sull’intero tessuto/organismo.
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