diario di un ufficiale italiano in iraq....
CERCHIAMO la normalit?. Ma ? impossibile. Anche oggi, come sempre, ci svegliamo alle 7. Ma ci sentiamo frastornati, quasi ubriachi. Di rabbia e di dolore.
I ragazzi della cucina hanno deciso di fare un dolce per rendere meno amara questa giornata. Ma ? una festa triste, c'? spazio solo per le lacrime. I soldati si vergognano, li vedo piangere mentre vanno al bagno a lavarsi o si mettono in fila per la colazione in mensa. I pensieri diventano incubi. Mi tormento pensando a quelli rimasti sotto le macerie. Mi chiedo se si potevano salvare, se non li avessi mandati di guardia in quell'inferno forse oggi sarebbero qui, con noi. Ci penso e ci ripenso mille volte. Sapevamo che era rischioso, ma nessuno si immaginava questa cosa terribile. Perch? ? una cosa spaventosa, forte, profonda, che ti scuote tutto, riesce a colpire anche lo spirito.
Il generale Stano ? eccezionale: ho lavorato con tanti capi, ma lui si ? rivelato una persona diversa. Ha coordinato tutto, deciso, fatto, ordinato, ascoltato, parlato. Senza mai cedere. Anche oggi era l?, al suo posto. Ha ammesso di aver pianto anche lui, ma lo ha fatto di notte, mentre era solo con se stesso. Hanno colpito la nostra famiglia, perch? la base ? una famiglia, ci conosciamo come fratelli, come figli e padri.
Padre Mariano, il cappellano, ? insostituibile. Ha parole per ognuno. Non solo di conforto. I ragazzi hanno bisogno di sfogarsi, vogliono risposte a domande che non trovano risposte. Le tv sono rimaste accese tutto il giorno, ma pochi hanno seguito le cronache e le trasmissioni. Preferiscono lavorare. Per controllare e transennare la zona e aiutare la scientifica che arriver? da Roma. Domani i feriti rientreranno a casa. Ci siamo fatti una promessa: dobbiamo trovare e prendere gli attentatori. Una cosa cos? forte non pu? restare impunita. Lo dobbiamo a quelli che non ci sono pi?, lo dobbiamo alla nostra grande famiglia di Nassiriya.
Si ? fatto tardi. Il tempo, oggi, sembra scorrere pi? in fretta. Ci sono ancora tante cose da fare. Devo tornare laggi?, al cratere, affrontare i nuovi incubi, le immagini dei corpi dilaniati dall'espolosione, le grida dei feriti, i visi degli amici che non rivedr? mai pi?. Bisogna transennare e proteggere la zona. Le barriere che ho fatto alzare non bastano pi?. Guardo fuori, dal finestrino del blindato. La gente del posto non ? cambiata. Ma non ci salutano pi?: lo fanno per pudore. Anche loro sono scioccati. Si sentono quasi responsabili di quanto ? avvenuto. Ci guardano con aria triste, malinconica. Dobbiamo continuare a lavorare per questa gente. Anche se qualcosa si ? spezzato. Dentro di noi. Dentro di loro.
CERCHIAMO la normalit?. Ma ? impossibile. Anche oggi, come sempre, ci svegliamo alle 7. Ma ci sentiamo frastornati, quasi ubriachi. Di rabbia e di dolore.
I ragazzi della cucina hanno deciso di fare un dolce per rendere meno amara questa giornata. Ma ? una festa triste, c'? spazio solo per le lacrime. I soldati si vergognano, li vedo piangere mentre vanno al bagno a lavarsi o si mettono in fila per la colazione in mensa. I pensieri diventano incubi. Mi tormento pensando a quelli rimasti sotto le macerie. Mi chiedo se si potevano salvare, se non li avessi mandati di guardia in quell'inferno forse oggi sarebbero qui, con noi. Ci penso e ci ripenso mille volte. Sapevamo che era rischioso, ma nessuno si immaginava questa cosa terribile. Perch? ? una cosa spaventosa, forte, profonda, che ti scuote tutto, riesce a colpire anche lo spirito.
Il generale Stano ? eccezionale: ho lavorato con tanti capi, ma lui si ? rivelato una persona diversa. Ha coordinato tutto, deciso, fatto, ordinato, ascoltato, parlato. Senza mai cedere. Anche oggi era l?, al suo posto. Ha ammesso di aver pianto anche lui, ma lo ha fatto di notte, mentre era solo con se stesso. Hanno colpito la nostra famiglia, perch? la base ? una famiglia, ci conosciamo come fratelli, come figli e padri.
Padre Mariano, il cappellano, ? insostituibile. Ha parole per ognuno. Non solo di conforto. I ragazzi hanno bisogno di sfogarsi, vogliono risposte a domande che non trovano risposte. Le tv sono rimaste accese tutto il giorno, ma pochi hanno seguito le cronache e le trasmissioni. Preferiscono lavorare. Per controllare e transennare la zona e aiutare la scientifica che arriver? da Roma. Domani i feriti rientreranno a casa. Ci siamo fatti una promessa: dobbiamo trovare e prendere gli attentatori. Una cosa cos? forte non pu? restare impunita. Lo dobbiamo a quelli che non ci sono pi?, lo dobbiamo alla nostra grande famiglia di Nassiriya.
Si ? fatto tardi. Il tempo, oggi, sembra scorrere pi? in fretta. Ci sono ancora tante cose da fare. Devo tornare laggi?, al cratere, affrontare i nuovi incubi, le immagini dei corpi dilaniati dall'espolosione, le grida dei feriti, i visi degli amici che non rivedr? mai pi?. Bisogna transennare e proteggere la zona. Le barriere che ho fatto alzare non bastano pi?. Guardo fuori, dal finestrino del blindato. La gente del posto non ? cambiata. Ma non ci salutano pi?: lo fanno per pudore. Anche loro sono scioccati. Si sentono quasi responsabili di quanto ? avvenuto. Ci guardano con aria triste, malinconica. Dobbiamo continuare a lavorare per questa gente. Anche se qualcosa si ? spezzato. Dentro di noi. Dentro di loro.
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