L'ultima ricerca di Leonardo Maugeri, ex Eni, per Harvard: saranno in grado di produrre fino a 16 milioni di barili al giorno
Petrolio e gas da rocce porose, il nuovo Eldorado per gli Stati Uniti. Un vero boom che far? esplodere la produzione a stelle e strisce e far? degli Usa, nel 2017, il leader mondiale dell?oro nero. Il risultato ? soprendente e a questa conclusione arriva l?ultima ricerca pubblicata da Leonardo Maugeri per il Belfer Center della Harvard Kennedy School. Secondo Maugeri gli Usa saranno in grado a breve di portare la produzione nazionale a 16 milioni di barili di petrolio al giorno: 5 milioni di barili arriveranno, ? questa la previsione, dallo shale oil, il petrolio non convenzionale estratto dalle rocce porose. La nuova capacit? produttiva proietter? gli Usa nel ruolo di leader mondiale, un primato strappato a Paesi come l?Arabia Saudita e la Russia che oggi si contendono lo scettro.
Insomma, un terremoto con implicazioni anche geopolitiche non secondarie sebbene Maugeri, che ha lavorato a lungo all?Eni ed ? considerato tra i maggiori esperti di energia a livello internazionale, avverta sin dal titolo del suo discussion paper (?The shale oil boom, a U.S. phenomenon?) che il modello americano non ? replicabile altrove per numerose ragioni tra le quali anche la propriet? dei titoli minerari privati, la presenza di numerose compagnie petrolifere indipendenti, la disponibilit? di impianti di trivellazione necessari per sostenere una esponenziale crescita dei pozzi. Maugeri precisa, inoltre, che per arrivare alle sue conclusioni ha esaminato 4.000 pozzi di shale oil e il lavoro di 100 compagnie, cosa mai fatta finora. Ma chiarisce che le sue stime sono price sensitive, la realizzazione delle prospettive dipende cio? anche dal prezzo del petrolio convenzionale: se si manterr? sui prezzi attuali o scender? da 85 dollari a 65 nel 2017, la previsione dei 5 milioni di barli/giorno sar? realizzabile. Altrimenti, l?incremento produttivo ? destinato a rallentare. Il 90% del potenziale output arriverebbe da tre macro-aree produttive: Bakken-Three Forks nel Nord Dakota; Eagle Ford e Permian Basin in Texas. Tuttavia, nulla fa pensare, al momento, che i prezzi del petrolio, nonostante l'impatto dello shale oil, possano scendere sotto i 65 dollari.
Corsa alle perforazioni. Perch? il nuovo boom ? destinato a restare confinato negli Usa almeno nel breve periodo? La notevole intensit? delle perforazioni rende difficile estendere l?esperimento in aree popolose. Nel 2012, per mantenere i livelli di produzione a 770.000 barili/giorno, gli Stati Uniti hanno perforato 45.468 pozzi di petrolio e gas e ne hanno resi operativi 28.354 contro i 3.921 del resto del mondo. Limitandosi al greggio, la capacit? produttiva ? destinata a salire - stima Maugeri - da 10.000 a oltre 100.000 pozzi nel 2030, un livello che le aree interessate sono in grado di reggere. La ragione dell?intensit? delle perforazioni ? che la durata di vita dei pozzi ? breve, 1 anno contro i 30 del greggio convenzionale. Dal punto di vista degli investimenti, i pozzi di shale oil sono relativamente poco costosi e rapidi da realizzare, all?inverso di quelli convenzionali.
La geopolitica. Gli Stati Uniti continueranno comunque ad importare il 25% del petrolio che ora consumano (19 milioni di barili/giorno su una produzione interna di 7 milioni). Degli oltre 8 milioni che comprano all?estero, ?le prevedibili vittime della riduzione dell?import americano - conclude la ricerca - saranno Nigeria e Angola, tradizionali fornitori di greggio di qualit? light. Ma potenziali vittime potrebbero diventare anche Canada e Venzuela?. Cio? gli alleati dell?emisfero Ovest a beneficio degli acquisti della Cina. Meno colpita l?Arabia Saudita che, comunque, potrebbe dirottare le vendite verso l?Asia. Modesto l?impatto sulle energie rinnovabili perch?, afferma la ricerca, queste sono prevalentemente destinate alla produzione di elettricit? mentre il greggio ? assorbito al 75% dal settore dei trasporti.
Petrolio e gas da rocce porose, il nuovo Eldorado per gli Stati Uniti. Un vero boom che far? esplodere la produzione a stelle e strisce e far? degli Usa, nel 2017, il leader mondiale dell?oro nero. Il risultato ? soprendente e a questa conclusione arriva l?ultima ricerca pubblicata da Leonardo Maugeri per il Belfer Center della Harvard Kennedy School. Secondo Maugeri gli Usa saranno in grado a breve di portare la produzione nazionale a 16 milioni di barili di petrolio al giorno: 5 milioni di barili arriveranno, ? questa la previsione, dallo shale oil, il petrolio non convenzionale estratto dalle rocce porose. La nuova capacit? produttiva proietter? gli Usa nel ruolo di leader mondiale, un primato strappato a Paesi come l?Arabia Saudita e la Russia che oggi si contendono lo scettro.
Insomma, un terremoto con implicazioni anche geopolitiche non secondarie sebbene Maugeri, che ha lavorato a lungo all?Eni ed ? considerato tra i maggiori esperti di energia a livello internazionale, avverta sin dal titolo del suo discussion paper (?The shale oil boom, a U.S. phenomenon?) che il modello americano non ? replicabile altrove per numerose ragioni tra le quali anche la propriet? dei titoli minerari privati, la presenza di numerose compagnie petrolifere indipendenti, la disponibilit? di impianti di trivellazione necessari per sostenere una esponenziale crescita dei pozzi. Maugeri precisa, inoltre, che per arrivare alle sue conclusioni ha esaminato 4.000 pozzi di shale oil e il lavoro di 100 compagnie, cosa mai fatta finora. Ma chiarisce che le sue stime sono price sensitive, la realizzazione delle prospettive dipende cio? anche dal prezzo del petrolio convenzionale: se si manterr? sui prezzi attuali o scender? da 85 dollari a 65 nel 2017, la previsione dei 5 milioni di barli/giorno sar? realizzabile. Altrimenti, l?incremento produttivo ? destinato a rallentare. Il 90% del potenziale output arriverebbe da tre macro-aree produttive: Bakken-Three Forks nel Nord Dakota; Eagle Ford e Permian Basin in Texas. Tuttavia, nulla fa pensare, al momento, che i prezzi del petrolio, nonostante l'impatto dello shale oil, possano scendere sotto i 65 dollari.
Corsa alle perforazioni. Perch? il nuovo boom ? destinato a restare confinato negli Usa almeno nel breve periodo? La notevole intensit? delle perforazioni rende difficile estendere l?esperimento in aree popolose. Nel 2012, per mantenere i livelli di produzione a 770.000 barili/giorno, gli Stati Uniti hanno perforato 45.468 pozzi di petrolio e gas e ne hanno resi operativi 28.354 contro i 3.921 del resto del mondo. Limitandosi al greggio, la capacit? produttiva ? destinata a salire - stima Maugeri - da 10.000 a oltre 100.000 pozzi nel 2030, un livello che le aree interessate sono in grado di reggere. La ragione dell?intensit? delle perforazioni ? che la durata di vita dei pozzi ? breve, 1 anno contro i 30 del greggio convenzionale. Dal punto di vista degli investimenti, i pozzi di shale oil sono relativamente poco costosi e rapidi da realizzare, all?inverso di quelli convenzionali.
La geopolitica. Gli Stati Uniti continueranno comunque ad importare il 25% del petrolio che ora consumano (19 milioni di barili/giorno su una produzione interna di 7 milioni). Degli oltre 8 milioni che comprano all?estero, ?le prevedibili vittime della riduzione dell?import americano - conclude la ricerca - saranno Nigeria e Angola, tradizionali fornitori di greggio di qualit? light. Ma potenziali vittime potrebbero diventare anche Canada e Venzuela?. Cio? gli alleati dell?emisfero Ovest a beneficio degli acquisti della Cina. Meno colpita l?Arabia Saudita che, comunque, potrebbe dirottare le vendite verso l?Asia. Modesto l?impatto sulle energie rinnovabili perch?, afferma la ricerca, queste sono prevalentemente destinate alla produzione di elettricit? mentre il greggio ? assorbito al 75% dal settore dei trasporti.
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