"Vietato operare malati terminali"
Per la Cassazione si tratta di una violazione della deontologia anche se a richiedere l'intervento ? stato lo stesso pazienze
Non rispettano il codice deontologico i medici che sottopongono a interventi pazienti "inoperabili" afflitti da patologie che lasciano loro poco tempo di vita. Violazione che sussiste anche se il malato d? il consenso all'operazione stessa. La Cassazione lo sottolinea confermando la condanna per omicidio colposo contro tre medici del San Giovanni di Roma che avevano operato, provocandone la morte, una donna di 43 anni con tumore al pancreas.
Il principio ? stato sancito dalla IV sezione penale nell'affrontare il caso relativo ad un intervento chirurgico avvenuto l'11 dicembre 2001 all'ospedale San Giovanni di Roma nel corso del quale tre chirurghi avevano operato una signora 44enne madre di due bambine alla quale avevano dato non pi? di sei mesi di vita perch? affetta da neoplasia pancreatica con diffusione generalizzata.
Come ricostruisce la sentenza, la signora, disposta a tutto pur di ottenere un sia pur breve prolungamento della vita, aveva dato il suo consenso informato ai medici per tentare un intervento disperato. Il reato di omicidio colposo nei confronti dei tre imputati ? prescritto, ma la Cassazione non ha potuto pronunciare il proscioglimento nel merito in quanto, come aveva gi? stabilito la Corte d'Appello di Roma il 28 maggio 2009, "sussiste la condotta colposa contestata" a Cristiano Huscher, all'epoca chirurgo primario del San Giovanni e agli altri due medici Andrea Mereu e Carmine Napolitano.
In base all'autopsia, ricostruisce ancora la sentenza della Cassazione, "era emerso che i chirurghi, dopo avere acclarato la inoperabilit? della paziente, mediante esplorazione della cavit? addominale, a causa della presenza di multiple affezioni neoplastiche interessanti vari organi e soprattutto di lesioni neoplastiche diffuse ai visceri addominali e alle ovaie, avevano deciso di procedere ad una laparatomia tradizionale per asportare le ovaie e parte della massa neoplastica allo scopo di determinare la stadiazione della malattia".
Nel corso dell'intervento, per?, si verific? "la lacerazione del polo inferiore della milza". Da qui il formarsi di un "rilevante sanguinamento e la conseguente emorragia letale.
I tre chirurghi sono stati condannati, con la concessione delle attenuanti generiche, per omicidio colposo sia dal Tribunale di Roma, nel marzo 2008, sia dalla Corte d'Appello della capitale, nel maggio 2009. Inutilmente i tre hanno tentato in Cassazione di sollevarsi da ogni responsabilit? sostenendo, tra l'altro, che non c'era la prova di "non escludere che un intervento radicale, pur presentando la paziente un quadro clinico di indubbia gravit? avrebbe portato ad un aumento della sopravvivenza e ad un miglioramento della qualit? della vita".
Piazza Cavour ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata perch? il reato ? estinto per prescrizione, ma non ha rinunciato a chiarire la "mancanza di deontologia" da parte dei chirurghi. In particolare, gli "ermellini" hanno rilevato che "il prioritario profilo di colpa in cui versavano gli imputati ? stato evidenziato dalla stessa Corte nella violazione delle regole di prudenza, applicabile nella fattispecie, non delle disposizioni dettate dalla scienza e dalla coscienza dell'operatore".
FONTE TGCOM
Mi f? molto specie che in un paese dove l'eutanasia ? vietata, non sia possibile cercare con ogni mezzo di salvare la vita ad un paziente inoperabile, anche se questo ? al corrente di tutto e voglia tentare un'ultima spiaggia.
Dov'? allora il giusto e lo sbagliato???
Un malato terminale che vuole porre fine alla sua vita con dignit? non gli ? concesso perch? la vita ? un dono.
E allora perch? lo stesso malato a conoscenza della propria condizione, non si arrende ad attaccarsi a quella vita che gli rimane,e vuole tentare il tutto e per tutto, per? questo non gli viene concesso.
Sembra tutto un paradosso.
In che mondo viviamo???
Non siamo in grado di scegliere quando morire con dignit?.....
ma adesso non siamo in grado nemmeno di provare a sopravvivere.
Per la Cassazione si tratta di una violazione della deontologia anche se a richiedere l'intervento ? stato lo stesso pazienze
Non rispettano il codice deontologico i medici che sottopongono a interventi pazienti "inoperabili" afflitti da patologie che lasciano loro poco tempo di vita. Violazione che sussiste anche se il malato d? il consenso all'operazione stessa. La Cassazione lo sottolinea confermando la condanna per omicidio colposo contro tre medici del San Giovanni di Roma che avevano operato, provocandone la morte, una donna di 43 anni con tumore al pancreas.
Il principio ? stato sancito dalla IV sezione penale nell'affrontare il caso relativo ad un intervento chirurgico avvenuto l'11 dicembre 2001 all'ospedale San Giovanni di Roma nel corso del quale tre chirurghi avevano operato una signora 44enne madre di due bambine alla quale avevano dato non pi? di sei mesi di vita perch? affetta da neoplasia pancreatica con diffusione generalizzata.
Come ricostruisce la sentenza, la signora, disposta a tutto pur di ottenere un sia pur breve prolungamento della vita, aveva dato il suo consenso informato ai medici per tentare un intervento disperato. Il reato di omicidio colposo nei confronti dei tre imputati ? prescritto, ma la Cassazione non ha potuto pronunciare il proscioglimento nel merito in quanto, come aveva gi? stabilito la Corte d'Appello di Roma il 28 maggio 2009, "sussiste la condotta colposa contestata" a Cristiano Huscher, all'epoca chirurgo primario del San Giovanni e agli altri due medici Andrea Mereu e Carmine Napolitano.
In base all'autopsia, ricostruisce ancora la sentenza della Cassazione, "era emerso che i chirurghi, dopo avere acclarato la inoperabilit? della paziente, mediante esplorazione della cavit? addominale, a causa della presenza di multiple affezioni neoplastiche interessanti vari organi e soprattutto di lesioni neoplastiche diffuse ai visceri addominali e alle ovaie, avevano deciso di procedere ad una laparatomia tradizionale per asportare le ovaie e parte della massa neoplastica allo scopo di determinare la stadiazione della malattia".
Nel corso dell'intervento, per?, si verific? "la lacerazione del polo inferiore della milza". Da qui il formarsi di un "rilevante sanguinamento e la conseguente emorragia letale.
I tre chirurghi sono stati condannati, con la concessione delle attenuanti generiche, per omicidio colposo sia dal Tribunale di Roma, nel marzo 2008, sia dalla Corte d'Appello della capitale, nel maggio 2009. Inutilmente i tre hanno tentato in Cassazione di sollevarsi da ogni responsabilit? sostenendo, tra l'altro, che non c'era la prova di "non escludere che un intervento radicale, pur presentando la paziente un quadro clinico di indubbia gravit? avrebbe portato ad un aumento della sopravvivenza e ad un miglioramento della qualit? della vita".
Piazza Cavour ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata perch? il reato ? estinto per prescrizione, ma non ha rinunciato a chiarire la "mancanza di deontologia" da parte dei chirurghi. In particolare, gli "ermellini" hanno rilevato che "il prioritario profilo di colpa in cui versavano gli imputati ? stato evidenziato dalla stessa Corte nella violazione delle regole di prudenza, applicabile nella fattispecie, non delle disposizioni dettate dalla scienza e dalla coscienza dell'operatore".
FONTE TGCOM
Mi f? molto specie che in un paese dove l'eutanasia ? vietata, non sia possibile cercare con ogni mezzo di salvare la vita ad un paziente inoperabile, anche se questo ? al corrente di tutto e voglia tentare un'ultima spiaggia.
Dov'? allora il giusto e lo sbagliato???
Un malato terminale che vuole porre fine alla sua vita con dignit? non gli ? concesso perch? la vita ? un dono.
E allora perch? lo stesso malato a conoscenza della propria condizione, non si arrende ad attaccarsi a quella vita che gli rimane,e vuole tentare il tutto e per tutto, per? questo non gli viene concesso.
Sembra tutto un paradosso.
In che mondo viviamo???
Non siamo in grado di scegliere quando morire con dignit?.....
ma adesso non siamo in grado nemmeno di provare a sopravvivere.
Comment