di "Lupo"
Chi più, chi meno, tutti un po’ lo siamo. D'altro canto, essere motociclisti e vivere la passione per la moto vorrà pur significare qualche cosa…
Qualche lustro fa il motociclismo era legato a valori eroico/quotidiani, oggi superati ed irrimediabilmente dimenticati. Nell’epoca in cui si usava la moto più per necessità che per diletto, il motociclista viaggiava con il plaid scozzese sulla sella, le puntine platinate in tasca e il fil di ferro stretto fra i denti pronto per chissà quale estemporanea quanto improbabile riparazione di fortuna. Erano tempi eroici quelli, dove i “motoeroi” imperavano; i caschi erano di cuoio, gli occhi protetti da paio di occhialoni da saldatore e i pneumatici a disposizione erano i famosi “rigati”, duri come il marmo e larghi quanto un’anguilla.
Quelli c’erano e quelli dovevano andare bene. Di avviamento elettrico neanche parlarne ­– gran pedate e occhio agli stinchi – lo starter automatico era una pompetta da pigiare col dito e l’ammortizzatore di sterzo (…) consisteva in una bella vite, come quelle della pentola a pressione della nonna da stringere con navigata esperienza, per non ritrovarsi a muro alla prima curva col manubrio dritto inchiodato. Era effettivamente facile allora sentirsi un po’ “motoeroi”. Ogni viaggio, anche il più breve era un’avventura del tipo: “…so più o meno quando parto, ma non so quando ritorno”.
Tempi andati? Fuggiti? Probabile. Oggi infatti le moto sono come orologi svizzeri che non si fermano (quasi) mai. Le accensioni sono digitali, le pinze radiali, il carbonio impera e se chiedete ad un ragazzino con lo scooter nuovo sotto il sedere che percentuale d’olio usa per la “miscela” del suo lamellare ipervitaminico, vi guarda come foste fatti di torrone. Non c’è religione: addirittura ora le moto le fanno senza la leva della frizione che così non si può più sfollare in santa pace…
Ma allora, di grazia: chi sono i “motoeroi”? Esistono ancora? Vivono fra noi? Diamine, certo che esistono! In primo luogo i veri “motoeroi” sono quelli che usano la moto sempre, tutto l’anno; che piova o che nevichi, che ci sia il sole o venga giù la replica del diluvio che affogò Noè, loro sono lì, con la loro bella tuta antipioggia fucsia e gli stivali ben ingrassati, pronti a partire per dove solo loro sanno. Poco importa se guidano una sport replica, una tourer o una custom.
Poco importa se poi si ritrovano sul cocuzzolo della montagna bagnati zuppi, con la moto in riserva e la visiera appannata, loro sono felici. Sono loro i motoeroi. Forse si sentono un po’…co***oni nel senso che continuano comunque a chiedersi chi glielo faccia fare, ma amano troppo la loro motocicletta, la chiamano per nome, l’animano con la loro passione e pensano che un viaggio a cavallo della loro vibrante compagna fatta di viti e bulloni, valga sempre la pena di essere fatto. Sono dunque loro stessi, che spersi nelle lande più desolate, nell’intimità del loro casco, sussurrano mentalmente: “E vai, stavolta la bronchite è sicura…”. Ma la loro espressione, pur se celata dall’integrale, tradisce un sentimento di piacere, di gratificazione, di appagamento; un sorriso appena accennato disturbato solamente dal battere dei denti e dalla goccia impertinente che scende dal naso.
Quel desiderio di libertà finalmente esaudito, che da solo riesce a regalare un piccolo contributo al senso della vita. Una piccola istantanea mentale da riporre con ordine in un piccolo angolo della memoria appositamente riservato, dove ci si può rifugiare di tanto in tanto per sfogliare in santa pace le immagini indelebili dei viaggi, i propri piccoli tesori. Basta un click con il mouse dei ricordi, ed ecco che ricompare nitida e gradevole la reminiscenza di questo o quel viaggio, di questa o quella avventura vissuta da soli o in compagnia di qualche altro amico motociclista.
I motoeroi veri poi sono irrimediabilmente sognanti e fantasiosi. C’è chi li guarda con sospetto, chi con un pizzico di sufficienza e chi vive e specula sulla loro sprovveduta passione, ma i nostri non se ne fanno un cruccio e continuano a vivere la loro estatica condizione. Anche se fuori sono ricoperti da dura scorza dentro sono sensibili, e si commuovono per niente; basta un bel tramonto, una bella cena fra amici, una leale stretta di mano o il sorriso di un bambino ed ecco che, facile facile, arriva la lacrimuccia… E chissenefrega?, non si può piangere di felicità (o di tristezza) a questo mondo?
I motoeroi non si specchiano nelle vetrine e quando spengono la moto sono quelli che, con un mezzo sorriso, stanno per qualche attimo ed ad ascoltare il “cricchettio” del motore che si raffredda. Sono quelli che d’estate, in autostrada, con la tuta di pelle nera arroventata, viaggiano a cento all’ora con e le gambe penzolanti per riattivare un po’ la circolazione, quelli che sono disposti a rinunciare a tutto (anche alla torta di mele della nonna) pur di entrare nella tuta per un turno in pista con gli amici. E che dire quando d’inverno si fermano al semaforo trattenendo il respiro per non appannare al visiera…
Alzi la mano chi non lo fa! Certo, a volte viaggiano da casello a casello col naso appoggiato al contagiri, ma sono anche quelli che si fermano se vedono una macchina in panne o una vecchietta con le borse della spesa attraversare sulle strisce.
A questo punto sono certo che non ne avrà a male l’amico biker che debba essersi in qualche modo riconosciuto nelle mie parole; in primo luogo perché essere un moto appassionato non è certo un difetto, è una caratteristica, e poi perché, in tutta sincerità, il primo (o l’ultimo…) dei motoeroi che bighellonano per il mondo, felice di essere vivo, sono io.
Chi più, chi meno, tutti un po’ lo siamo. D'altro canto, essere motociclisti e vivere la passione per la moto vorrà pur significare qualche cosa…
Qualche lustro fa il motociclismo era legato a valori eroico/quotidiani, oggi superati ed irrimediabilmente dimenticati. Nell’epoca in cui si usava la moto più per necessità che per diletto, il motociclista viaggiava con il plaid scozzese sulla sella, le puntine platinate in tasca e il fil di ferro stretto fra i denti pronto per chissà quale estemporanea quanto improbabile riparazione di fortuna. Erano tempi eroici quelli, dove i “motoeroi” imperavano; i caschi erano di cuoio, gli occhi protetti da paio di occhialoni da saldatore e i pneumatici a disposizione erano i famosi “rigati”, duri come il marmo e larghi quanto un’anguilla.
Quelli c’erano e quelli dovevano andare bene. Di avviamento elettrico neanche parlarne ­– gran pedate e occhio agli stinchi – lo starter automatico era una pompetta da pigiare col dito e l’ammortizzatore di sterzo (…) consisteva in una bella vite, come quelle della pentola a pressione della nonna da stringere con navigata esperienza, per non ritrovarsi a muro alla prima curva col manubrio dritto inchiodato. Era effettivamente facile allora sentirsi un po’ “motoeroi”. Ogni viaggio, anche il più breve era un’avventura del tipo: “…so più o meno quando parto, ma non so quando ritorno”.
Tempi andati? Fuggiti? Probabile. Oggi infatti le moto sono come orologi svizzeri che non si fermano (quasi) mai. Le accensioni sono digitali, le pinze radiali, il carbonio impera e se chiedete ad un ragazzino con lo scooter nuovo sotto il sedere che percentuale d’olio usa per la “miscela” del suo lamellare ipervitaminico, vi guarda come foste fatti di torrone. Non c’è religione: addirittura ora le moto le fanno senza la leva della frizione che così non si può più sfollare in santa pace…
Ma allora, di grazia: chi sono i “motoeroi”? Esistono ancora? Vivono fra noi? Diamine, certo che esistono! In primo luogo i veri “motoeroi” sono quelli che usano la moto sempre, tutto l’anno; che piova o che nevichi, che ci sia il sole o venga giù la replica del diluvio che affogò Noè, loro sono lì, con la loro bella tuta antipioggia fucsia e gli stivali ben ingrassati, pronti a partire per dove solo loro sanno. Poco importa se guidano una sport replica, una tourer o una custom.
Poco importa se poi si ritrovano sul cocuzzolo della montagna bagnati zuppi, con la moto in riserva e la visiera appannata, loro sono felici. Sono loro i motoeroi. Forse si sentono un po’…co***oni nel senso che continuano comunque a chiedersi chi glielo faccia fare, ma amano troppo la loro motocicletta, la chiamano per nome, l’animano con la loro passione e pensano che un viaggio a cavallo della loro vibrante compagna fatta di viti e bulloni, valga sempre la pena di essere fatto. Sono dunque loro stessi, che spersi nelle lande più desolate, nell’intimità del loro casco, sussurrano mentalmente: “E vai, stavolta la bronchite è sicura…”. Ma la loro espressione, pur se celata dall’integrale, tradisce un sentimento di piacere, di gratificazione, di appagamento; un sorriso appena accennato disturbato solamente dal battere dei denti e dalla goccia impertinente che scende dal naso.
Quel desiderio di libertà finalmente esaudito, che da solo riesce a regalare un piccolo contributo al senso della vita. Una piccola istantanea mentale da riporre con ordine in un piccolo angolo della memoria appositamente riservato, dove ci si può rifugiare di tanto in tanto per sfogliare in santa pace le immagini indelebili dei viaggi, i propri piccoli tesori. Basta un click con il mouse dei ricordi, ed ecco che ricompare nitida e gradevole la reminiscenza di questo o quel viaggio, di questa o quella avventura vissuta da soli o in compagnia di qualche altro amico motociclista.
I motoeroi veri poi sono irrimediabilmente sognanti e fantasiosi. C’è chi li guarda con sospetto, chi con un pizzico di sufficienza e chi vive e specula sulla loro sprovveduta passione, ma i nostri non se ne fanno un cruccio e continuano a vivere la loro estatica condizione. Anche se fuori sono ricoperti da dura scorza dentro sono sensibili, e si commuovono per niente; basta un bel tramonto, una bella cena fra amici, una leale stretta di mano o il sorriso di un bambino ed ecco che, facile facile, arriva la lacrimuccia… E chissenefrega?, non si può piangere di felicità (o di tristezza) a questo mondo?
I motoeroi non si specchiano nelle vetrine e quando spengono la moto sono quelli che, con un mezzo sorriso, stanno per qualche attimo ed ad ascoltare il “cricchettio” del motore che si raffredda. Sono quelli che d’estate, in autostrada, con la tuta di pelle nera arroventata, viaggiano a cento all’ora con e le gambe penzolanti per riattivare un po’ la circolazione, quelli che sono disposti a rinunciare a tutto (anche alla torta di mele della nonna) pur di entrare nella tuta per un turno in pista con gli amici. E che dire quando d’inverno si fermano al semaforo trattenendo il respiro per non appannare al visiera…
Alzi la mano chi non lo fa! Certo, a volte viaggiano da casello a casello col naso appoggiato al contagiri, ma sono anche quelli che si fermano se vedono una macchina in panne o una vecchietta con le borse della spesa attraversare sulle strisce.
A questo punto sono certo che non ne avrà a male l’amico biker che debba essersi in qualche modo riconosciuto nelle mie parole; in primo luogo perché essere un moto appassionato non è certo un difetto, è una caratteristica, e poi perché, in tutta sincerità, il primo (o l’ultimo…) dei motoeroi che bighellonano per il mondo, felice di essere vivo, sono io.