Tra le notizie spunta questa....
Rischia di finire in carcere chi fornisce una falsa identità su Internet. Lo afferma una sentenza della Cassazione, che ha confermato la condanna della Corte d'Appello di Firenze per un ragazzo toscano accusato del reato di sostituzione di persona.
"Al fine di procurarsi un vantaggio e di recare un danno" ad una donna, spiega la sentenza n.46674 della Suprema Corte, "creava un account di posta elettronica apparentemente intestato a costei e, utilizzandolo, allacciava rapporti con utenti della rete Internet e induceva in errore sia il gestore del sito sia gli utenti".
Rigettando il ricorso dell'imputato, la Cassazione ha ritenuto di difendere così "la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali".
Nel caso di specie, "il soggetto indotto in errore - si legge nella sentenza - non è tanto l'ente fornitore del servizio di posta elettronica, quanto piuttosto gli utenti della rete, i quali, ritenendo di interloquire con una determinata persona, in realtà inconsapevolmente si sono trovati ad avere con una persona diversa".
Fatta salva la mia totale ignoranza in argomenti informatici, mi domando se ciò non sia applicabile anche ai dati dei nostri "profili personali".
Rischia di finire in carcere chi fornisce una falsa identità su Internet. Lo afferma una sentenza della Cassazione, che ha confermato la condanna della Corte d'Appello di Firenze per un ragazzo toscano accusato del reato di sostituzione di persona.
"Al fine di procurarsi un vantaggio e di recare un danno" ad una donna, spiega la sentenza n.46674 della Suprema Corte, "creava un account di posta elettronica apparentemente intestato a costei e, utilizzandolo, allacciava rapporti con utenti della rete Internet e induceva in errore sia il gestore del sito sia gli utenti".
Rigettando il ricorso dell'imputato, la Cassazione ha ritenuto di difendere così "la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali".
Nel caso di specie, "il soggetto indotto in errore - si legge nella sentenza - non è tanto l'ente fornitore del servizio di posta elettronica, quanto piuttosto gli utenti della rete, i quali, ritenendo di interloquire con una determinata persona, in realtà inconsapevolmente si sono trovati ad avere con una persona diversa".
Fatta salva la mia totale ignoranza in argomenti informatici, mi domando se ciò non sia applicabile anche ai dati dei nostri "profili personali".
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