"To serve and protect" è il motto adottato dalla polizia americana per sottolineare il suo ruolo in seno ad una società che chiede, giustamente, di essere protetta da chi non rispetta le leggi e, quindi, per garantire che questo "mandato" etico sia rispettato, mettendosi al servizio della gente.
Ma evidentemente queste poche parole ("Servire e proteggere", in italiano), dall'inequivocabile significato, agli occhi di qualcuno si prestano ad interpretazioni. Così che ogni agente, sia che indossi la divisa o che sia in borghese, negli Stati Uniti si sente autorizzato ad agire in base ad un codice personale. Un codice che ammette tutto, una distorsione spesso violenta ogni oltre ragionevolezza di quel fine che "giustifica i mezzi", che in tanti erigono a sistema di comportamento.
Lo ha imparato sulla sua pelle Matteo Falcinelli, diventato suo malgrado il simbolo di come, alla base del comportamento di una parte (consistente o meno è un problema americano) della polizia, quella di Miami, ci sia il disprezzo delle regole, che non fa distinzione tra chi è chiaramente responsabile di qualcosa e chi chiede solo di potere difendere le sue ragioni, anche se la violenza gratuita deve essere risparmiata a tutti, anche a chi è già "colpevole".
Matteo, per avere reclamato con rabbia la restituzione dei suoi due telefoni cellulari, rimasti all'interno di un locale notturno, è stato dapprima fermato da una pattuglia di agenti, poi caricato a forza su un'automobile e quindi trasferito dentro una stazione di polizia, dove è stato legato, mani e piedi, con le micidiali fascette di plastica, per lunghissimi minuti in cui, sopraffatto dalla paura e dal dolore (fisico e mentale), ha solo potuto sussurrare una parola, ripetuta per tre volte, con un filo di voce: "Please, please, please".
I segni che il suo volto mostrava dopo l'esibizione di forza degli agenti sono sconvolgenti, perché confermano che la polizia non si è limitata a ridurlo all'immobilità, quanto che lo hanno fatto colpendolo al volto, in testa, sulla braccia, sulla schiena, anche quando non poteva difendersi. Come fosse il peggiore dei delinquenti, semmai il peggiore dei delinquenti, un volta immobilizzato, possa essere trattato così. Matteo Falcinelli, da quella sera dello scorso febbraio, non è lo stesso. Come ha detto la madre, le violenze subite lo hanno prostrato, facendo temere che possa anche lasciarsi andare a gesti estremi.
Lui è il prototipo della maggioranza dei ragazzi italiani che vanno a studiare negli Stati Uniti - dopo una laurea (Business administration) e un master (Hospitality real estate management) nel suo caso - guardando all'America come al luogo dove migliorare e affinare le proprie conoscenze e capacità. Ma tutto poteva pensare che l'avere scambiato uno streep club per un bar qualsiasi e, quindi, perdere di vista i suoi cellulari, potesse portarlo in una cella, dopo un pestaggio che per molti ha ricordato altri episodi drammatici. Perché, ammettiamolo, Fabio ha rischiato di fare la fine di George Floyd, l'uomo morto soffocato durante un arresto.
La sua vicenda - finita bene dal punto di vista giudiziario: è stato scagionato da ogni accusa penale - sta facendo, giustamente, clamore in Italia. Non lo stesso clamore di altre storie di italiani coinvolti all'estero in processi. Ma c'è da chiedersi come mai lo stesso sentimento di orrore scatenato dalle immagini di Ilaria Salis, condotta in manette a mani e piedi in tribunale, per Matteo si sia ridotto alla risposta ufficiale dello Stato (Consolato generale d'Italia di Miami; ambasciata Washington; Ministero degli Esteri) e non anche invece a prese di posizioni di chi, politici, sembra sempre pronto a cogliere ogni occasione per dire qualcosa che gli dia visibilità.
Se è stato giusto insorgere per le condizioni in cui Ilaria Salis sta affrontando la detenzione e il processo, lo stesso dovrebbe accadere per Matteo. Ma forse è chiedere troppo, nella consapevolezza che nella vicenda di questo ragazzo non ci sono implicazioni "politiche", cioè non ci sia niente che abbia un risvolto che possa essere capitalizzato in termini di consenso. E questo, ce lo si lasci dire, è inquietante, come se due vicende accostabili non meritino la stessa attenzione perché solo per una ci può essere un "utilizzo" politico.
E' probabile che, nelle prossime ore, quando la posizione di Matteo Falcinelli sarà definitivamente chiarita, cominceranno ad arrivare reazioni, infuriate, per quello che gli è accaduto. Va bene così, comunque: l'importante è che Matteo non si senta solo e che, circondato dall'affetto non solo della sua famiglia, riesca a trovare in sé la forza di riprendere il suo cammino e di potere ridurre la sua disavventura alla follia di qualcuno che, per indossare una divisa, ritiene di avere in mano un salvacondotto per la violenza.
Sappiamo bene che, in questo momento, a Matteo non servono solo le parole, che comunque fanno tanto.
Per questo, nell'illusione che qualcuno dall'altro lato del grande mare, ci possa leggere, vorremmo ricordare che, in Italia, la patria degli spaghetti, del mandolino e dolce far nulla, il carabiniere che, cinque anni fa, fotografò uno dei due ragazzi americani che avevano appena ucciso a coltellate il suo collega, Mario Cerciello Rega, per poi diffondere l'immagine su una piattaforma social, è stato condannato da un nostro tribunale ad un anno di reclusione.
Noi il coraggio di mandare a processo un carabiniere l'abbiamo avuto.
Il minimo che ci si possa aspettare è che ci sia un giudice, non a Berlino, ma a Miami che abbia lo stesso coraggio per perseguire chi non ha eseguito un arresto, ma torturato un giovane , e poco importa che sia stato Matteo Falcinelli, uno dei nostri ragazzi.
notizia da; italia-informa.com/
Ma evidentemente queste poche parole ("Servire e proteggere", in italiano), dall'inequivocabile significato, agli occhi di qualcuno si prestano ad interpretazioni. Così che ogni agente, sia che indossi la divisa o che sia in borghese, negli Stati Uniti si sente autorizzato ad agire in base ad un codice personale. Un codice che ammette tutto, una distorsione spesso violenta ogni oltre ragionevolezza di quel fine che "giustifica i mezzi", che in tanti erigono a sistema di comportamento.
Lo ha imparato sulla sua pelle Matteo Falcinelli, diventato suo malgrado il simbolo di come, alla base del comportamento di una parte (consistente o meno è un problema americano) della polizia, quella di Miami, ci sia il disprezzo delle regole, che non fa distinzione tra chi è chiaramente responsabile di qualcosa e chi chiede solo di potere difendere le sue ragioni, anche se la violenza gratuita deve essere risparmiata a tutti, anche a chi è già "colpevole".
Matteo, per avere reclamato con rabbia la restituzione dei suoi due telefoni cellulari, rimasti all'interno di un locale notturno, è stato dapprima fermato da una pattuglia di agenti, poi caricato a forza su un'automobile e quindi trasferito dentro una stazione di polizia, dove è stato legato, mani e piedi, con le micidiali fascette di plastica, per lunghissimi minuti in cui, sopraffatto dalla paura e dal dolore (fisico e mentale), ha solo potuto sussurrare una parola, ripetuta per tre volte, con un filo di voce: "Please, please, please".
I segni che il suo volto mostrava dopo l'esibizione di forza degli agenti sono sconvolgenti, perché confermano che la polizia non si è limitata a ridurlo all'immobilità, quanto che lo hanno fatto colpendolo al volto, in testa, sulla braccia, sulla schiena, anche quando non poteva difendersi. Come fosse il peggiore dei delinquenti, semmai il peggiore dei delinquenti, un volta immobilizzato, possa essere trattato così. Matteo Falcinelli, da quella sera dello scorso febbraio, non è lo stesso. Come ha detto la madre, le violenze subite lo hanno prostrato, facendo temere che possa anche lasciarsi andare a gesti estremi.
Lui è il prototipo della maggioranza dei ragazzi italiani che vanno a studiare negli Stati Uniti - dopo una laurea (Business administration) e un master (Hospitality real estate management) nel suo caso - guardando all'America come al luogo dove migliorare e affinare le proprie conoscenze e capacità. Ma tutto poteva pensare che l'avere scambiato uno streep club per un bar qualsiasi e, quindi, perdere di vista i suoi cellulari, potesse portarlo in una cella, dopo un pestaggio che per molti ha ricordato altri episodi drammatici. Perché, ammettiamolo, Fabio ha rischiato di fare la fine di George Floyd, l'uomo morto soffocato durante un arresto.
La sua vicenda - finita bene dal punto di vista giudiziario: è stato scagionato da ogni accusa penale - sta facendo, giustamente, clamore in Italia. Non lo stesso clamore di altre storie di italiani coinvolti all'estero in processi. Ma c'è da chiedersi come mai lo stesso sentimento di orrore scatenato dalle immagini di Ilaria Salis, condotta in manette a mani e piedi in tribunale, per Matteo si sia ridotto alla risposta ufficiale dello Stato (Consolato generale d'Italia di Miami; ambasciata Washington; Ministero degli Esteri) e non anche invece a prese di posizioni di chi, politici, sembra sempre pronto a cogliere ogni occasione per dire qualcosa che gli dia visibilità.
Se è stato giusto insorgere per le condizioni in cui Ilaria Salis sta affrontando la detenzione e il processo, lo stesso dovrebbe accadere per Matteo. Ma forse è chiedere troppo, nella consapevolezza che nella vicenda di questo ragazzo non ci sono implicazioni "politiche", cioè non ci sia niente che abbia un risvolto che possa essere capitalizzato in termini di consenso. E questo, ce lo si lasci dire, è inquietante, come se due vicende accostabili non meritino la stessa attenzione perché solo per una ci può essere un "utilizzo" politico.
E' probabile che, nelle prossime ore, quando la posizione di Matteo Falcinelli sarà definitivamente chiarita, cominceranno ad arrivare reazioni, infuriate, per quello che gli è accaduto. Va bene così, comunque: l'importante è che Matteo non si senta solo e che, circondato dall'affetto non solo della sua famiglia, riesca a trovare in sé la forza di riprendere il suo cammino e di potere ridurre la sua disavventura alla follia di qualcuno che, per indossare una divisa, ritiene di avere in mano un salvacondotto per la violenza.
Sappiamo bene che, in questo momento, a Matteo non servono solo le parole, che comunque fanno tanto.
Per questo, nell'illusione che qualcuno dall'altro lato del grande mare, ci possa leggere, vorremmo ricordare che, in Italia, la patria degli spaghetti, del mandolino e dolce far nulla, il carabiniere che, cinque anni fa, fotografò uno dei due ragazzi americani che avevano appena ucciso a coltellate il suo collega, Mario Cerciello Rega, per poi diffondere l'immagine su una piattaforma social, è stato condannato da un nostro tribunale ad un anno di reclusione.
Noi il coraggio di mandare a processo un carabiniere l'abbiamo avuto.
Il minimo che ci si possa aspettare è che ci sia un giudice, non a Berlino, ma a Miami che abbia lo stesso coraggio per perseguire chi non ha eseguito un arresto, ma torturato un giovane , e poco importa che sia stato Matteo Falcinelli, uno dei nostri ragazzi.
notizia da; italia-informa.com/
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