poi ci si lamenta se vanno dietro ai trapper...come adulto mi vergogno non poco.
Milano, allarme adolescenti con disagi psichici: «Mancano strutture e posti in ospedale. E chi va in carcere tenta il suicidio»
diElisabetta Andreis
Moltiplicati gli arrivi ai pronto soccorso. Sovraffollamento nelle celle, i giovani con patologie protagonisti di gesti autolesivi. I neuropsichiatri: «Tutti i minori hanno diritto di essere curati in modo adeguato con una diagnosi precoce»
C’è chi si taglia le braccia, chi si appende con un lenzuolo alle grate e «prova» a uccidersi per attirare l’attenzione, chi urla oppure è violento e non riesce a contenersi, chi chiede ossessivamente psicofarmaci per dormire.
Al Beccaria l’ultimo drammatico tentativo di suicidio è recentissimo e la notizia, a maggior ragione se letta alla luce dei fatti di cronaca, aumenta l’inquietudine. I comportamenti autolesivi, non infrequenti, potrebbero infatti essere esacerbati dalle condizioni di vita con eventuali maltrattamenti nell’istituto. Ma c’è anche l’altra faccia della verità, ed è la seguente.
Sempre più spesso, vengono collocati nell’istituto giovani che già in partenza hanno un forte disagio psichiatrico, magari connesso ai viaggi terribili dalle nazioni d’origine o all’abuso di sostanze come lo Spice e di farmaci come il Fentanil.
Le celle, che dovrebbero essere da due, si riempiono oltremisura (oggi al Beccaria ci sono 82 ospiti, a fronte di una capienza di 52 posti) e il carcere diventa un «ricettacolo» di adolescenti multiproblematici anche a prescindere dal reato commesso. Non soltanto dunque la sfera penale, ma quella esistenziale nella sua complicata interezza. La denuncia che arriva dalle unità territoriali di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza è un lungo grido d’allarme: mancano posti letto dedicati nei reparti ospedalieri, manca il personale qualificato, mancano i centri diurni e mancano le comunità socio educative ad alta intensità terapeutica disponibili ad accogliere casi molto complessi.
Il capo del Dipartimento per la giustizia minorile Antonio Sangermano, che ha incontrato in Procura i titolari dell’inchiesta per cui sono stati indagati 25 agenti di polizia penitenziaria del Beccaria (su 50 totali), ha annunciato che a Milano apriranno tre nuove comunità, ciascuna con 12-15 posti letto. È qualcosa, certo, ma non abbastanza.
«Negli ultimi tre anni in Lombardia gli adolescenti arrivati in pronto soccorso per disturbi psichiatrici acuti e complessi sono aumentati otto volte — dice Federico Raviglione, primario di Neuropsichiatria all’Asst Rhodense e coordinatore regionale primari di Neuropsichiatria —. Su 12 minori accettati in dipartimento di emergenza-urgenza, molti hanno ricevuto risposte parziali e inadeguate o sono stati rimandati a casa. Solo uno o due sono stati ricoverati in un reparto adatto e dedicato ai minori». Gli specialisti descrivono un sistema «completamente saturo di richieste in ospedale e carente in modo grave sul territorio». La Lombardia conta 112 posti letto nei reparti di degenza (Besta, Asst Santi Paolo e Carlo a Milano, Mondino di Pavia, Asst dei Sette laghi e Varese, Monza e Civile di Brescia) «ma sono un terzo o persino la metà di quelli che servirebbero».
Elisa Fazzi, presidente della Sinpia, la società italiana di Neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza, sottolinea che il ricovero ospedaliero, «spesso necessario per affrontare l’emergenza, approfondire aspetti diagnostici e impostare una terapia, è solo una parte del percorso che deve realizzarsi poi negli ambienti di vita dei ragazzi», siano essi le comunità o la famiglia. D’altro canto i tempi di diagnosi e l’eventuale trasferimento ai luoghi di cura sono lunghissimi. «Tutti i minori hanno diritto di essere curati in modo adeguato con una diagnosi precoce e una forte presa in carico del territorio, anche le unità diffuse devono essere potenziate — sostiene Antonella Costantino, direttrice della Uonpia del Policlinico —. Qui gestiamo un progetto di intervento intensivo che previene ricovero, pronto soccorso e residenzialità ma stiamo seguendo 54 adolescenti quando saremmo invece attrezzati per 34».
Male dentro. L’epidemia di ansia e crisi di panico nelle scuole: dove nasce (e come curare) il nuovo disagio dei ragazzi
voci degli studenti: “Chiediamo aiuto”. L’appello ai prof: “Non dateci solo voti, guardate il dolore che c’è dietro ai numeri”. Nelle aule l’angoscia degli adolescenti è sempre più esplosiva. “Vedo ragazze che come me hanno attacchi di pianto. Ma per un incontro con lo psicologo ci vogliono due mesi
Siamo malati di ansia». «Abbiamo il diritto di stare bene». «Vogliamo gli psicologi a scuola». «Sentiamo il cuore in gola». «Curateci». Era il 2021 e con le prime manifestazioni dopo la clausura del Covid migliaia di studenti tornavano nelle strade affamati di aria e di vita. Ma accanto ai cartelli per il diritto allo studio, contro la scuola azienda e lo spreco dei famigerati banchi a rotelle, per la prima volta un’intera generazione portava in piazza una rivolta esistenziale: stiamo male, la competizione ci devasta, la Dad ci ha isolati, lo Stato si faccia carico del nostro malessere
po il Covid, nulla è cambiato
Accadeva tre anni fa, ma nulla è cambiato. Bisogna partire dalle immagini di quei cortei per capire perché oggi il disagio giovanile sia diventato così esplosivo, una vera emergenza sociale. E al centro c’è la scuola, accusata a torto o a ragione di essere (anche) il luogo dell’inquietudine. Un mondo che si sgretola, linguaggi che non si incontrano. Da una parte la generazione social, dall’altra un corpo insegnante investito suo malgrado dall’onda della sofferenza dei teenager
Troppi psicofarmaci e un regime di terrore”
«Da anni faccio psicoterapia e questo mi ha salvato. Ma basta affacciarsi nei bagni del mio liceo per vedere crisi di pianto e attacchi di panico. C’è chi non vuole più entrare in classe, ragazze che mangiano e vomitano, a tanti, troppi, vengono prescritti psicofarmaci. I prof ci mettono addosso un’ansia assurda, instaurano un regime di terrore: come se da un brutto voto dipendesse il nostro futuro
amici che non escono più dalle camere
Matteo Barbantini ha 17 anni, fa il liceo sperimentale al “Mamiani” di Roma, parla con cognizione adulta. «La situazione è grave. Ho amici che non escono più dalle loro camere, altri hanno mollato lo studio. Ma per avere un colloquio con lo psicologo scolastico ci vogliono due mesi di attesa. Nessuno ci ascolta, siamo soli». Sfogo di un adolescente? No, le sue parole trovano eco nell’allarme lanciato dagli stessi dirigenti scolastici: «Spesso dobbiamo chiamare l’ambulanza per ragazze e ragazzi con crisi di panico. Depressione, disturbi alimentari: ci sentiamo smarriti anche noi».
Due milioni di adolescenti con disagi mentali
I dati sulla salute mentale dei giovani sono noti e drammatici: due milioni di adolescenti tra i 10 e i 20 anni manifestano disagi mentali, il 75% degli studenti denuncia di avere “spesso” episodi di ansia causati dalla scuola, il 67% ha paura di voti e giudizi, il 34% desidera fuggire dalla scuola.
Il disagio dei prof e l’angoscia dei giovanissimi
Bandiera bianca allora? I ragazzi soffrono ma i prof non sembrano stare meglio, impreparati forse alla crisi esistenziale di un’intera generazione. Stiamo affogando, gridano i teenager, abbiamo il male dentro. Matteo Barbantini, Marta Davella, Samuel Postiglione, Zoe Zevio. Hanno 16 e 17 anni, vivono e hanno vissuto sulla loro pelle i disagi dei loro coetanei, il Covid, il lockdown. Fanno parte della Rete degli studenti medi che già nel 2022 con un questionario dal titolo “Chiedimi come sto” aveva alzato il velo su quella che è diventata un’emergenza nazionale: l’angoscia dei giovanissimi. Zoe ad esempio, 17 anni, di Verona, studentessa al liceo artistico, il suo grande blackout lo rivela con il coraggio di chi ha attraversato una zona di frontiera
senso di inadeguatezza e poi la depressione”
«In primo superiore ho iniziato a soffrire di un disturbo ansioso legato alle performance troppo alte che la scuola chiedeva. Il sentirmi inadeguata mi ha portato a uno stato depressivo, in classe mi sembrava di soffocare, a metà anno ho lasciato il liceo e ho studiato in casa. Avevo la sensazione che per i prof e le prof contasse soltanto il voto – e io avevo voti altissimi - non chi ci fosse dietro quel numero, con tutte le sue sofferenze e i suoi problemi. In secondo liceo mi sono fermata, ho smesso di studiare, ho detto basta, passavo le giornate sul letto, la mia famiglia per fortuna è stata in grado di aiutarmi, ho perso l’anno ma piano piano mi sono ripresa». Zoe apre la porta di casa, respira, cerca gli amici della Rete degli studenti: «Tornare a fare politica e lottare per una istruzione più giusta, inclusiva, vivibile, mi ha restituito il senso della vita».
ansia per il futuro e poca comprensione
Sì, ma cosa sta succedendo? È possibile che tra gli allievi e i professori si sia creata una frattura così profonda e la scuola, secondo i giovanissimi, sia diventata la causa principale del loro malessere? Conferma Zoe: «Più volte ho visto l’ambulanza arrivare, l’infermeria era sempre piena. Certo non è soltanto la scuola a creare ansia, ma il clima, il futuro precario, però qui, in classe dai prof vorremmo ricevere comprensione e ascolto
La scuola oggi fa più male che bene”
È Samuel Postiglione, 16 anni, triestino, liceo delle Scienze Umane “Giosuè Carducci” a tirare le fila. «La scuola? Oggi fa più male che bene. Anche io ho avuto crisi di panico, bisogna passare notti a studiare per ottenere anche la semplice sufficienza, la richiesta è inutilmente alta, nozionistica e slegata dalle reali necessità della vita. Dicono che siamo viziati ma si rendono conto del mondo in cui ci siamo ritrovati a vivere? I prof vedono soltanto il programma, noi vorremmo che fossero educatori. Nel mio liceo c’è un solo psicologo per 1300 ragazzi, un sacco di giovani prendono psicofarmaci e qual è risposta del governo? Scuola del merito e manganelli alle manifestazioni
Milano, allarme adolescenti con disagi psichici: «Mancano strutture e posti in ospedale. E chi va in carcere tenta il suicidio»
diElisabetta Andreis
Moltiplicati gli arrivi ai pronto soccorso. Sovraffollamento nelle celle, i giovani con patologie protagonisti di gesti autolesivi. I neuropsichiatri: «Tutti i minori hanno diritto di essere curati in modo adeguato con una diagnosi precoce»
C’è chi si taglia le braccia, chi si appende con un lenzuolo alle grate e «prova» a uccidersi per attirare l’attenzione, chi urla oppure è violento e non riesce a contenersi, chi chiede ossessivamente psicofarmaci per dormire.
Al Beccaria l’ultimo drammatico tentativo di suicidio è recentissimo e la notizia, a maggior ragione se letta alla luce dei fatti di cronaca, aumenta l’inquietudine. I comportamenti autolesivi, non infrequenti, potrebbero infatti essere esacerbati dalle condizioni di vita con eventuali maltrattamenti nell’istituto. Ma c’è anche l’altra faccia della verità, ed è la seguente.
Sempre più spesso, vengono collocati nell’istituto giovani che già in partenza hanno un forte disagio psichiatrico, magari connesso ai viaggi terribili dalle nazioni d’origine o all’abuso di sostanze come lo Spice e di farmaci come il Fentanil.
Le celle, che dovrebbero essere da due, si riempiono oltremisura (oggi al Beccaria ci sono 82 ospiti, a fronte di una capienza di 52 posti) e il carcere diventa un «ricettacolo» di adolescenti multiproblematici anche a prescindere dal reato commesso. Non soltanto dunque la sfera penale, ma quella esistenziale nella sua complicata interezza. La denuncia che arriva dalle unità territoriali di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza è un lungo grido d’allarme: mancano posti letto dedicati nei reparti ospedalieri, manca il personale qualificato, mancano i centri diurni e mancano le comunità socio educative ad alta intensità terapeutica disponibili ad accogliere casi molto complessi.
Il capo del Dipartimento per la giustizia minorile Antonio Sangermano, che ha incontrato in Procura i titolari dell’inchiesta per cui sono stati indagati 25 agenti di polizia penitenziaria del Beccaria (su 50 totali), ha annunciato che a Milano apriranno tre nuove comunità, ciascuna con 12-15 posti letto. È qualcosa, certo, ma non abbastanza.
«Negli ultimi tre anni in Lombardia gli adolescenti arrivati in pronto soccorso per disturbi psichiatrici acuti e complessi sono aumentati otto volte — dice Federico Raviglione, primario di Neuropsichiatria all’Asst Rhodense e coordinatore regionale primari di Neuropsichiatria —. Su 12 minori accettati in dipartimento di emergenza-urgenza, molti hanno ricevuto risposte parziali e inadeguate o sono stati rimandati a casa. Solo uno o due sono stati ricoverati in un reparto adatto e dedicato ai minori». Gli specialisti descrivono un sistema «completamente saturo di richieste in ospedale e carente in modo grave sul territorio». La Lombardia conta 112 posti letto nei reparti di degenza (Besta, Asst Santi Paolo e Carlo a Milano, Mondino di Pavia, Asst dei Sette laghi e Varese, Monza e Civile di Brescia) «ma sono un terzo o persino la metà di quelli che servirebbero».
Elisa Fazzi, presidente della Sinpia, la società italiana di Neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza, sottolinea che il ricovero ospedaliero, «spesso necessario per affrontare l’emergenza, approfondire aspetti diagnostici e impostare una terapia, è solo una parte del percorso che deve realizzarsi poi negli ambienti di vita dei ragazzi», siano essi le comunità o la famiglia. D’altro canto i tempi di diagnosi e l’eventuale trasferimento ai luoghi di cura sono lunghissimi. «Tutti i minori hanno diritto di essere curati in modo adeguato con una diagnosi precoce e una forte presa in carico del territorio, anche le unità diffuse devono essere potenziate — sostiene Antonella Costantino, direttrice della Uonpia del Policlinico —. Qui gestiamo un progetto di intervento intensivo che previene ricovero, pronto soccorso e residenzialità ma stiamo seguendo 54 adolescenti quando saremmo invece attrezzati per 34».
Male dentro. L’epidemia di ansia e crisi di panico nelle scuole: dove nasce (e come curare) il nuovo disagio dei ragazzi
voci degli studenti: “Chiediamo aiuto”. L’appello ai prof: “Non dateci solo voti, guardate il dolore che c’è dietro ai numeri”. Nelle aule l’angoscia degli adolescenti è sempre più esplosiva. “Vedo ragazze che come me hanno attacchi di pianto. Ma per un incontro con lo psicologo ci vogliono due mesi
Siamo malati di ansia». «Abbiamo il diritto di stare bene». «Vogliamo gli psicologi a scuola». «Sentiamo il cuore in gola». «Curateci». Era il 2021 e con le prime manifestazioni dopo la clausura del Covid migliaia di studenti tornavano nelle strade affamati di aria e di vita. Ma accanto ai cartelli per il diritto allo studio, contro la scuola azienda e lo spreco dei famigerati banchi a rotelle, per la prima volta un’intera generazione portava in piazza una rivolta esistenziale: stiamo male, la competizione ci devasta, la Dad ci ha isolati, lo Stato si faccia carico del nostro malessere
po il Covid, nulla è cambiato
Accadeva tre anni fa, ma nulla è cambiato. Bisogna partire dalle immagini di quei cortei per capire perché oggi il disagio giovanile sia diventato così esplosivo, una vera emergenza sociale. E al centro c’è la scuola, accusata a torto o a ragione di essere (anche) il luogo dell’inquietudine. Un mondo che si sgretola, linguaggi che non si incontrano. Da una parte la generazione social, dall’altra un corpo insegnante investito suo malgrado dall’onda della sofferenza dei teenager
Troppi psicofarmaci e un regime di terrore”
«Da anni faccio psicoterapia e questo mi ha salvato. Ma basta affacciarsi nei bagni del mio liceo per vedere crisi di pianto e attacchi di panico. C’è chi non vuole più entrare in classe, ragazze che mangiano e vomitano, a tanti, troppi, vengono prescritti psicofarmaci. I prof ci mettono addosso un’ansia assurda, instaurano un regime di terrore: come se da un brutto voto dipendesse il nostro futuro
amici che non escono più dalle camere
Matteo Barbantini ha 17 anni, fa il liceo sperimentale al “Mamiani” di Roma, parla con cognizione adulta. «La situazione è grave. Ho amici che non escono più dalle loro camere, altri hanno mollato lo studio. Ma per avere un colloquio con lo psicologo scolastico ci vogliono due mesi di attesa. Nessuno ci ascolta, siamo soli». Sfogo di un adolescente? No, le sue parole trovano eco nell’allarme lanciato dagli stessi dirigenti scolastici: «Spesso dobbiamo chiamare l’ambulanza per ragazze e ragazzi con crisi di panico. Depressione, disturbi alimentari: ci sentiamo smarriti anche noi».
Due milioni di adolescenti con disagi mentali
I dati sulla salute mentale dei giovani sono noti e drammatici: due milioni di adolescenti tra i 10 e i 20 anni manifestano disagi mentali, il 75% degli studenti denuncia di avere “spesso” episodi di ansia causati dalla scuola, il 67% ha paura di voti e giudizi, il 34% desidera fuggire dalla scuola.
Il disagio dei prof e l’angoscia dei giovanissimi
Bandiera bianca allora? I ragazzi soffrono ma i prof non sembrano stare meglio, impreparati forse alla crisi esistenziale di un’intera generazione. Stiamo affogando, gridano i teenager, abbiamo il male dentro. Matteo Barbantini, Marta Davella, Samuel Postiglione, Zoe Zevio. Hanno 16 e 17 anni, vivono e hanno vissuto sulla loro pelle i disagi dei loro coetanei, il Covid, il lockdown. Fanno parte della Rete degli studenti medi che già nel 2022 con un questionario dal titolo “Chiedimi come sto” aveva alzato il velo su quella che è diventata un’emergenza nazionale: l’angoscia dei giovanissimi. Zoe ad esempio, 17 anni, di Verona, studentessa al liceo artistico, il suo grande blackout lo rivela con il coraggio di chi ha attraversato una zona di frontiera
senso di inadeguatezza e poi la depressione”
«In primo superiore ho iniziato a soffrire di un disturbo ansioso legato alle performance troppo alte che la scuola chiedeva. Il sentirmi inadeguata mi ha portato a uno stato depressivo, in classe mi sembrava di soffocare, a metà anno ho lasciato il liceo e ho studiato in casa. Avevo la sensazione che per i prof e le prof contasse soltanto il voto – e io avevo voti altissimi - non chi ci fosse dietro quel numero, con tutte le sue sofferenze e i suoi problemi. In secondo liceo mi sono fermata, ho smesso di studiare, ho detto basta, passavo le giornate sul letto, la mia famiglia per fortuna è stata in grado di aiutarmi, ho perso l’anno ma piano piano mi sono ripresa». Zoe apre la porta di casa, respira, cerca gli amici della Rete degli studenti: «Tornare a fare politica e lottare per una istruzione più giusta, inclusiva, vivibile, mi ha restituito il senso della vita».
ansia per il futuro e poca comprensione
Sì, ma cosa sta succedendo? È possibile che tra gli allievi e i professori si sia creata una frattura così profonda e la scuola, secondo i giovanissimi, sia diventata la causa principale del loro malessere? Conferma Zoe: «Più volte ho visto l’ambulanza arrivare, l’infermeria era sempre piena. Certo non è soltanto la scuola a creare ansia, ma il clima, il futuro precario, però qui, in classe dai prof vorremmo ricevere comprensione e ascolto
La scuola oggi fa più male che bene”
È Samuel Postiglione, 16 anni, triestino, liceo delle Scienze Umane “Giosuè Carducci” a tirare le fila. «La scuola? Oggi fa più male che bene. Anche io ho avuto crisi di panico, bisogna passare notti a studiare per ottenere anche la semplice sufficienza, la richiesta è inutilmente alta, nozionistica e slegata dalle reali necessità della vita. Dicono che siamo viziati ma si rendono conto del mondo in cui ci siamo ritrovati a vivere? I prof vedono soltanto il programma, noi vorremmo che fossero educatori. Nel mio liceo c’è un solo psicologo per 1300 ragazzi, un sacco di giovani prendono psicofarmaci e qual è risposta del governo? Scuola del merito e manganelli alle manifestazioni
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