Fabio Roia, presidente del Tribunale di Milano, qual è il bilancio dell’ultimo periodo sul fronte della violenza di genere?
«Abbiamo un dato molto positivo: progressivamente c’è stata una notevole emersione dei casi di violenza sulle donne visto l’aumento delle denunce. Significa che è diminuito il sommerso, che tuttavia ancora fatichiamo a conoscere».
Ha notato un aumento di denunce dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin?
Come sensazione sì, ma non abbiamo ancora i dati numerici. La denuncia non è un atto meccanico ma è un atto sofferto e meditato, può darsi che ci vogliano mesi per una nuova emersione. Questi sono fatti molto negativi che hanno l’effetto di scuotimento e di presa di coscienza a tutti i livelli. C’è stato senz’altro un aumento di richieste di aiuto nei centri antiviolenza e, a livello sociale, una consapevolezza di condanna. Ma io ho paura che abbiamo ancora un intervento troppo intermittente, e su questo mi ritrovo molto nelle parole del presidente Mattarella che il 25 novembre parlò di “indignazione a intermittenza”: in relazione all’omicidio di Giulia Cecchettin c’è stata una forte reazione, ma più passa il tempo e più temo si sopisca tutto. Mi occupo dal ’91 di queste cose e ho visto che ci sono sempre stati tratti di emotività a cui sono seguiti periodi di silenzio e sottovalutazione del fenomeno. E questo non deve accadere: deve esserci una svolta. Dall’anno della consapevolezza, lo scorso, il prossimo deve essere l’anno della risposta sociale complessiva, con l’emarginazione di tutti i comportamenti
— battute sessiste, ammiccamenti, modo di comunicare — che non favoriscono il rispetto delle donne».
La normativa è adeguata per contrastare il fenomeno?
«Dopo la recente iniziativa governativa che ha rafforzato l’intervento giudiziario in materia di Codici rossi, credo che il quadro normativo sia realmente completo come strumenti a disposizione della polizia giudiziaria e dell’autorità giudiziaria. Il tema ora è la possibilità di applicare al meglio questi istituti. E per farlo bisogna affrontare due questioni».
Quali sono?
«La prima è la necessità di una maggiore professionalità e competenza di tutti gli operatori nell’ambito della valutazione del rischio nei casi di violenza: bisogna sapere leggere la denuncia, la gravità della situazione, e avere la capacità di fornire un canale preferenziale a una vicenda rispetto ad altre. E da questo punto di vista ci vuole ancora un affinamento di competenza. Perché i magistrati hanno una formazione giuridica ma serve un approccio più multidisciplinare».
Cosa contate di fare in questo senso?
«Dal 2024 affiancheremo ai magistrati dei criminologi, per aiutarli a leggere i fattori di valutazione del rischio — come per esempio il metodo S.a.r.a. (Spousal assault risk assessment), letteralmente la “valutazione del rischio di violenza interpersonale fra partner” — per capire dove dietro a una storia ci sia un rischio maggiore di un’escalation di violenza. Ora nessuna denuncia viene trascurata, sono tutte lette e lavorate: il problema maggiore è capire quale tipo di misura adottare in base al principio della proporzionalità e dell’adeguatezza. Tenga conto di un dato: a Milano il 70 per cento delle misure emesse dai gip riguarda reati da Codice rosso e normalmente vengono emesse entro dieci giorni, quando la legge fissa come termine 30 giorni per l’emissione di un provvedimento. Grazie alla professionalità dei giudici il termine è anticipato».
Qual è la seconda azione?
«Il secondo è un tema di risorse: le poche risorse che abbiamo dobbiamo concentrarle su queste tematiche che sono la priorità oggi. Ma, a Milano, come in altri Comuni di grandi aree metropolitane, abbiamo forti insufficienze: la procura ha punte del 30 per cento di mancanza di personale, il personale amministrativo arriva al 40 per cento. E questo rallenta l’intero sistema giudiziario. C’è un problema di assistenza al lavoro del giudice e del magistrato».
Servirebbero innesti?
«Sì, ma per attuare le leggi. Andrebbero fatti reclutamenti, per il personale amministrativo e i magistrati. Il 10 gennaio il Csm destinerà a Milano otto o nove sostituti ma non sono sufficienti. La scopertura c’è, ed è anche a livello nazionale».
Lei prima era a capo della sezione Misure di prevenzione, si occupa di questi temi da decenni. Qual è la peculiarità milanese?
«Milano ha una rete ampia sul piano dell’associazionismo e del privato sociale, un modello di intervento sperimentato e da revisionare sempre perché la violenza si manifesta in molti modi. Oggi abbiamo il problema dei minorenni e dei giovani adulti come autori dei reati da Codice rosso: c’è stato un abbassamento dell’età che ci induce a ritenere che siano necessari interventi strutturati di prevenzione nelle scuole e un combinato educativo scuola — famiglia per dare un modello ai ragazzi sui valori di rispetto delle donne
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