“Non pago affitto” è il tormentone lanciato nel 2016 dal rapper Bello Figo. Non un manifesto generazionale e neppure – con buona probabilità – un testo che farà la storia della musica, ma un titolo che riflette ironicamente una vulgata estremamente diffusa: lo stereotipo dell’immigrazione come zavorra dell’economia italiana e quella del migrante ciondolone, appeso al sistema di welfare e nocivo per le casse dello Stato. Un’immagine distorta che continua ad attecchire anche a causa dei ricorrenti errori percettivi sul fenomeno migratorio: è del 2018 l’istantanea scattata dall’Istituto Cattaneo che inquadra l’Italia tra i Paesi Ue in cui maggiore è la distanza tra i numeri dell’immigrazione reale e quella percepita. Il risultato è l’oscuramento dei benefici e dei costi effettivi prodotti dall’immigrazione, in favore di una narrazione sensazionalistica imperniata sui luoghi comuni dei costi esorbitanti sistematicamente smentiti dai dati fattuali.
No, non vivono in albergo: i costi dell’accoglienza e i benefici dell’immigrazione
“Io dormo in albergo a quattro stelle, voglio wi-fi”. Aggiungiamo i 35 euro al giorno ed ecco il quadro completo dell’accoglienza immaginaria. La realtà, invece, è molto diversa. Attualmente il sistema di accoglienza dei migranti è organizzato in due fasi: una prima, prevede l’assistenza negli hotspot, dove avviene lo screening sanitario e l’identificazione delle persone giunte sul suolo nazionale. A quel punto, si può effettuare la richiesta d’asilo, dopo la quale è previsto lo spostamento in centri di prima accoglienza o in strutture temporanee (tra cui possono essere presenti le strutture alberghiere – non a 4 stelle – se facenti parte dei Cas, i centri di accoglienza straordinaria reperiti dai Prefetti tramite un bando). Terminata la prima fase, c’è poi la seconda accoglienza assicurata mediante progetti di assistenza alla persona e di integrazione nel territorio attivati dagli enti locali.
I 35 euro a persona al giorno, invece, costituiscono la cifra massima che le prefetture versano ai Cas per l’accoglienza del migrante, ma è una cifra indicativa e comprensiva di varie spese (costo del personale, oneri di adeguamento, spese generali per l’assistenza), che non entra nelle tasche dei richiedenti asilo, beneficiari solo di un pocket money stimato in circa 2,50 al giorno a persona e 7,50 euro per nucleo familiare. I costi complessivi del sistema di accoglienza sono difficili da determinare, in assenza di voci di bilancio racchiuse in un unico documento. Secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Moressa, la cifra si aggirerebbe sui 6,7 miliardi, comprendendo anche, però, i costi della giustizia. Il totale delle spese dovute alla presenza straniera in Italia, comprensiva anche di previdenziali e trasferimenti, sanità, scuola e servizi sociali, secondo il rapporto, è di 26,1 miliardi che, se sommati alle entrate fiscali, +26,6 miliardi, comprensivi di contributi previdenziali e sociali, Irpef, consumi, tasse e Iva, danno un saldo in positivo di 500 milioni di euro.
Così il lavoro delle persone migranti aiuta l’economia
Il lavoro regolare costituisce uno dei principali benefici arrecati dall’immigrazione. Come evidenziano le elaborazioni dell’Istituto Moressa, infatti, è proprio per motivi di lavoro che si sposta la maggior parte degli stranieri residenti in Italia. Il valore aggiunto prodotto dagli occupati immigrati – definibile come la differenza tra il valore della produzione di beni e servizi e i costi sostenuti dalle singole unità produttive per l’acquisizione degli input, in questo caso il lavoro – è di 147 miliardi di euro e costituisce così il 9,5% del pil italiano. Ma, a scanso di equivoci, lo diciamo subito: non ci rubano il lavoro come pensa un italiano su due, perché – tornando a Bello Figo – non è vero che “non faccio operaio, non mi sporco le mani”. Tutt’altro: i lavoratori immigrati spesso occupano posti di lavoro scarsamente retribuiti, poco salubri, precari e tendenzialmente scartati dagli autoctoni, rivestendo – secondo la classificazione lavorativa italiana – proprio la carica di operaio. Non è un caso, infatti, che i settori in cui sono maggiormente occupati sono quelli meno qualificati: agricoltura, manifattura e costruzioni, dove svolgono principalmente lavori esecutivi, favorendo così una occupazione complementare a quella dei lavoratori autoctoni, che spesso sono collocati in ambiti professionali più qualificati e redditizi.
Nessun peso per la sanità pubblica
Tra le principali voci della spesa pubblica italiana, c’è quella della sanità. L’accesso ai servizi sanitari viene spesso considerato parte dei fattori che inducono il cosiddetto welfare magnet effect, una teoria economica per cui regioni con alti livelli di welfare innescano un effetto calamita per i flussi migratori. Questa visione bidimensionale ha contribuito ad alimentare l’idea di un’immigrazione attratta dal benessere ed avvantaggiata nel riceverlo. Ma la realtà è molto diversa.
L’iscrizione al Sistema sanitario nazionale (Ssn) è obbligatoria e garantita a tutti i cittadini stranieri con permesso di soggiorno, ma non significa che ne abbiano accesso gratuitamente: contribuiscono al suo finanziamento attraverso la fiscalità generale, proprio come tutti i cittadini italiani. Dalle tasse sono invece esenti gli immigrati irregolari, ma hanno diritti sanitari minimi: possono usufruire solo dei servizi essenziali e d’urgenza.
Diversi studi dimostrano che la probabilità che gli immigrati facciano uso di servizi di prevenzione e di visite specialistiche è più bassa (-2,7%) rispetto agli italiani. La richiesta di assistenza si concentra invece nelle corsie dei pronto soccorso (+0,7% di probabilità), specialmente per immigrati di prima generazione (+1%), perché il sistema di accettazione è semplice e garantito.
Per quanto riguarda i costi dell’immigrazione, uno studio recente ha rilevato una riduzione della spesa sanitaria pro capite di circa 70 euro all’aumentare di un punto percentuale del numero di stranieri residenti a livello regionale. Il trend è confermato anche dall’Istituto superiore di sanità (Iss), secondo cui le persone straniere utilizzano solo il 3% della spesa sanitaria. Inoltre, L’Iss sottolinea come, di questo 3%, solo lo 0,5% è destinato agli stranieri irregolari. Il motivo di questa diminuzione nella spesa è riconducibile in parte all’età media più bassa della popolazione straniera e al conseguente minor bisogno di assistenza. In parte è dovuta anche alle barriere culturali, linguistiche e burocratiche nell’accesso ai servizi sanitari. Ad oggi, il costo degli immigrati sulla spesa sanitaria non è rilevante se comparato ai benefici in termini di contributi per il finanziamento del Sistema sanitario nazionale.
Immigrati, mercato di Torino (Foto di Nino Carè da Pixabay )I benefici dell’immigrazione per il sistema pensionistico italiano
Gli immigrati regolari costituiscono una risorsa preziosa per il sistema pensionistico grazie alla loro composizione demografica. Come già accennato, sono più giovani: l’età media (35 anni) è inferiore di oltre 10 anni rispetto a quella degli italiani (46 anni). Nel sistema italiano in cui i lavoratori pagano gli assegni ai pensionati attuali, questo fattore innesca un vantaggio immediato per l’Inps.
Altra conseguenza è il basso numero di riceventi assistenza: su 16 milioni di pensionati, gli stranieri sono circa 130 mila (80 mila pensioni contributive e 50 mila pensioni assistenziali), meno dell’1 per cento del totale. Inoltre, la stragrande maggioranza degli stranieri (87,6% percento) andrà in pensione secondo i criteri contributivi, meno convenienti per il lavoratore ma più sostenibili per le casse dello Stato.
In termini di costi e benefici, l’Inps ha calcolato uno scenario ipotetico senza migrazione: al 2040, risparmierebbe 35 miliardi in assistenza sociale, ma perderebbe 73 miliardi in entrate contributive.
I benefici economici dell’immigrazione ad oggi sono più dei costi. Dall’analisi emerge un chiaro impatto positivo in Italia, grazie ad un’immigrazione in gran parte regolare e giovane che contribuisce attivamente al finanziamento della spesa pubblica.
*immagine in evidenza: Tim Mossholder / Unsplash
Articolo a cura di Giada Garofani e Pierfrancesco Albanese
No, non vivono in albergo: i costi dell’accoglienza e i benefici dell’immigrazione
“Io dormo in albergo a quattro stelle, voglio wi-fi”. Aggiungiamo i 35 euro al giorno ed ecco il quadro completo dell’accoglienza immaginaria. La realtà, invece, è molto diversa. Attualmente il sistema di accoglienza dei migranti è organizzato in due fasi: una prima, prevede l’assistenza negli hotspot, dove avviene lo screening sanitario e l’identificazione delle persone giunte sul suolo nazionale. A quel punto, si può effettuare la richiesta d’asilo, dopo la quale è previsto lo spostamento in centri di prima accoglienza o in strutture temporanee (tra cui possono essere presenti le strutture alberghiere – non a 4 stelle – se facenti parte dei Cas, i centri di accoglienza straordinaria reperiti dai Prefetti tramite un bando). Terminata la prima fase, c’è poi la seconda accoglienza assicurata mediante progetti di assistenza alla persona e di integrazione nel territorio attivati dagli enti locali.
I 35 euro a persona al giorno, invece, costituiscono la cifra massima che le prefetture versano ai Cas per l’accoglienza del migrante, ma è una cifra indicativa e comprensiva di varie spese (costo del personale, oneri di adeguamento, spese generali per l’assistenza), che non entra nelle tasche dei richiedenti asilo, beneficiari solo di un pocket money stimato in circa 2,50 al giorno a persona e 7,50 euro per nucleo familiare. I costi complessivi del sistema di accoglienza sono difficili da determinare, in assenza di voci di bilancio racchiuse in un unico documento. Secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Moressa, la cifra si aggirerebbe sui 6,7 miliardi, comprendendo anche, però, i costi della giustizia. Il totale delle spese dovute alla presenza straniera in Italia, comprensiva anche di previdenziali e trasferimenti, sanità, scuola e servizi sociali, secondo il rapporto, è di 26,1 miliardi che, se sommati alle entrate fiscali, +26,6 miliardi, comprensivi di contributi previdenziali e sociali, Irpef, consumi, tasse e Iva, danno un saldo in positivo di 500 milioni di euro.
Così il lavoro delle persone migranti aiuta l’economia
Il lavoro regolare costituisce uno dei principali benefici arrecati dall’immigrazione. Come evidenziano le elaborazioni dell’Istituto Moressa, infatti, è proprio per motivi di lavoro che si sposta la maggior parte degli stranieri residenti in Italia. Il valore aggiunto prodotto dagli occupati immigrati – definibile come la differenza tra il valore della produzione di beni e servizi e i costi sostenuti dalle singole unità produttive per l’acquisizione degli input, in questo caso il lavoro – è di 147 miliardi di euro e costituisce così il 9,5% del pil italiano. Ma, a scanso di equivoci, lo diciamo subito: non ci rubano il lavoro come pensa un italiano su due, perché – tornando a Bello Figo – non è vero che “non faccio operaio, non mi sporco le mani”. Tutt’altro: i lavoratori immigrati spesso occupano posti di lavoro scarsamente retribuiti, poco salubri, precari e tendenzialmente scartati dagli autoctoni, rivestendo – secondo la classificazione lavorativa italiana – proprio la carica di operaio. Non è un caso, infatti, che i settori in cui sono maggiormente occupati sono quelli meno qualificati: agricoltura, manifattura e costruzioni, dove svolgono principalmente lavori esecutivi, favorendo così una occupazione complementare a quella dei lavoratori autoctoni, che spesso sono collocati in ambiti professionali più qualificati e redditizi.
Nessun peso per la sanità pubblica
Tra le principali voci della spesa pubblica italiana, c’è quella della sanità. L’accesso ai servizi sanitari viene spesso considerato parte dei fattori che inducono il cosiddetto welfare magnet effect, una teoria economica per cui regioni con alti livelli di welfare innescano un effetto calamita per i flussi migratori. Questa visione bidimensionale ha contribuito ad alimentare l’idea di un’immigrazione attratta dal benessere ed avvantaggiata nel riceverlo. Ma la realtà è molto diversa.
L’iscrizione al Sistema sanitario nazionale (Ssn) è obbligatoria e garantita a tutti i cittadini stranieri con permesso di soggiorno, ma non significa che ne abbiano accesso gratuitamente: contribuiscono al suo finanziamento attraverso la fiscalità generale, proprio come tutti i cittadini italiani. Dalle tasse sono invece esenti gli immigrati irregolari, ma hanno diritti sanitari minimi: possono usufruire solo dei servizi essenziali e d’urgenza.
Diversi studi dimostrano che la probabilità che gli immigrati facciano uso di servizi di prevenzione e di visite specialistiche è più bassa (-2,7%) rispetto agli italiani. La richiesta di assistenza si concentra invece nelle corsie dei pronto soccorso (+0,7% di probabilità), specialmente per immigrati di prima generazione (+1%), perché il sistema di accettazione è semplice e garantito.
Per quanto riguarda i costi dell’immigrazione, uno studio recente ha rilevato una riduzione della spesa sanitaria pro capite di circa 70 euro all’aumentare di un punto percentuale del numero di stranieri residenti a livello regionale. Il trend è confermato anche dall’Istituto superiore di sanità (Iss), secondo cui le persone straniere utilizzano solo il 3% della spesa sanitaria. Inoltre, L’Iss sottolinea come, di questo 3%, solo lo 0,5% è destinato agli stranieri irregolari. Il motivo di questa diminuzione nella spesa è riconducibile in parte all’età media più bassa della popolazione straniera e al conseguente minor bisogno di assistenza. In parte è dovuta anche alle barriere culturali, linguistiche e burocratiche nell’accesso ai servizi sanitari. Ad oggi, il costo degli immigrati sulla spesa sanitaria non è rilevante se comparato ai benefici in termini di contributi per il finanziamento del Sistema sanitario nazionale.
Immigrati, mercato di Torino (Foto di Nino Carè da Pixabay )I benefici dell’immigrazione per il sistema pensionistico italiano
Gli immigrati regolari costituiscono una risorsa preziosa per il sistema pensionistico grazie alla loro composizione demografica. Come già accennato, sono più giovani: l’età media (35 anni) è inferiore di oltre 10 anni rispetto a quella degli italiani (46 anni). Nel sistema italiano in cui i lavoratori pagano gli assegni ai pensionati attuali, questo fattore innesca un vantaggio immediato per l’Inps.
Altra conseguenza è il basso numero di riceventi assistenza: su 16 milioni di pensionati, gli stranieri sono circa 130 mila (80 mila pensioni contributive e 50 mila pensioni assistenziali), meno dell’1 per cento del totale. Inoltre, la stragrande maggioranza degli stranieri (87,6% percento) andrà in pensione secondo i criteri contributivi, meno convenienti per il lavoratore ma più sostenibili per le casse dello Stato.
In termini di costi e benefici, l’Inps ha calcolato uno scenario ipotetico senza migrazione: al 2040, risparmierebbe 35 miliardi in assistenza sociale, ma perderebbe 73 miliardi in entrate contributive.
I benefici economici dell’immigrazione ad oggi sono più dei costi. Dall’analisi emerge un chiaro impatto positivo in Italia, grazie ad un’immigrazione in gran parte regolare e giovane che contribuisce attivamente al finanziamento della spesa pubblica.
*immagine in evidenza: Tim Mossholder / Unsplash
Articolo a cura di Giada Garofani e Pierfrancesco Albanese
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