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La storia delle café racer, le moto per gli ‘esteti’ delle due ruote

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    La storia delle café racer, le moto per gli ‘esteti’ delle due ruote

    I meravigliosi anni ’60: i complessi musicali che avrebbero fatto la storia stavano nascendo, la Factory di Andy Warhol rivoluzionava il concetto stesso di arte e nel mondo delle due ruote nascevano le café racer, un genere destinato a far innamorare generazioni intere di biker. All’inizio erano solo il vezzo di pochi, ma con il tempo si sono affermate soprattutto tra chi ama la moto ma anche guidare qualcosa di esteticamente gradevole.

    Certo, non sono il massimo per macinare tanti chilometri, ma il biker ideale per la café racer è uno che ama più gli spostamenti brevi e le lunghe soste, che diventano irrimediabilmente estemporanee esposizioni di opere d’arte su due ruote.

    Un inizio non proprio facile

    Proprio come in tanti altri casi famosi, l’inizio della vita di queste moto non si può proprio definire facile. La storia delle café racer è strettamente collegata ai giovani del movimento Rockers, scapestrati agli occhi della bigotta società inglese dei primi anni Sessanta, in realtà solo in controtendenza ad un mondo ancora un po’ troppo in giacca e cravatta.

    Un modo di vestire molto USA stile e motociclette modificate erano un po’ il loro marchio di fabbrica; e queste moto vennero dispregiativamente bollate dalla società come “café racer” poiché spesso tutte parcheggiate davanti ai rocker caffs, i bar di ritrovo dei Rocker. Ma quella gente ancora non sapeva che stava nascendo un mito.

    In principio furono solo modifiche artigianali, ma poi…

    Gli ingredienti erano, tutto sommato, pochi: una normale moto da strada (nella concezione degli anni Sessanta, sia ben chiaro), togliere carene o sovrastrutture, qualche modifica artigianale e il gioco era fatto, era pronta una café racer. Il concetto di fondo, infatti, era quello di apportare modifiche a una moto di modo tale da farla sembrare potente e veloce; in realtà, si trattava solo di modifiche visive, con il solo fine estetico.

    Tuttavia, i proprietari spesso si sfidavano in gare clandestine uno contro uno sulla distanza dell’ottavo di miglio (circa 200 metri), scommettendo somme di denaro o, addirittura, la moto stessa. Le modifiche erano quasi sempre le stesse, anche se le personalizzazioni potevano essere infinite: il manubrio veniva sostituito con dei corti semi manubri, analoghi a quelli montati sulle moto da pista, e la sella lunga con selle monoposto, munite di codino; alcune volte veniva anche applicato un cupolino aerodinamico.

    Il motore era elaborato in modo semplice e poco costoso: filtro dell’aria sportivo e scarico aperto erano le basi; i più abbienti aggiungevano anche sospensioni più rigide e performanti. Tutto questo, unito a una leggera diminuzione del peso complessivo delle moto, rendevano le café racer leggermente più performanti dei modelli di serie.

    Ma come nelle migliori storie a lieto fine, tanto e tale fu il successo di questo genere di moto che, a partire dagli anni Settanta, molte case iniziarono a produrre modelli di serie già allestiti in questo modo, di fatto però snaturando un po’ il concetto stesso alla base della nascita delle café racer.

    Le Café racer oggi

    Oggi, quasi tutte le case motociclistiche hanno a catalogo modelli che richiamano il concetto delle café racer, attirando così tutta quella clientela concentrata maggiormente sull’aspetto estetico e sulla vetrina che una moto del genere ha diritto a occupare. I modelli sono numerosi, provenienti da ogni parte del mondo. Uno su tutti, non a caso sotto l’egida britannica, è la
    Triumph Thruxton RS, una vera e propria modern classic.

    Il nome riprende quello del modello vittorioso alla 500 miglia di Thruxton negli anni Sessanta, anche se meno estrema rispetto all’originale. Il modello è infatti spinto da un propulsore bicilindrico in linea da 1.200 cc di cilindrata, che arriva ad erogare 105 Cv e 112 Nm di coppia. Esteticamente, com’è ovvio che sia, è veramente una chicca e si lascia ammirare senza mai stufare. Insomma, bella ma anche divertente da guidare: un perfetto mix in pieno stile café racer.

    notizia da: trueriders.it
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