Decreto Retrofit moto: vicini al traguardo. Ci siamo quasi dal punto di vista normativo, ma non assicuriamo sia utile visto l’esito abbastanza fallimentare di quello del 2015 dedicato alle quattro ruote, dove non si vedono i kit.
Abbiamo recuperato il documento, nel vero senso della parola, che invece meriterebbe di essere ben diffuso anche per evitare i classici orrori ben evidenti in tante norme non condivise.
C’è da aspettare: il regolamento trasmesso alla Commissione Ue
Vicini al traguardo? Quasi, ma andiamoci cauti perché il documento che riassumiamo è stato spedito dal ministero dei Trasporti agli uffici competenti della Commissione Ue per essere consultato. Si dovrà, dunque, aspettare fino al 5 febbraio. C’è da penare ancora, ricordiamo la lunga battaglia dei ragazzi riminesi che hanno ideato il kit del Vespino, mentre i francesi sono arrivati dopo ma già concedono contributi per la conversione in elettrico delle due ruote.
Il regolamento retrofit moto
Cosa prevede il regolamento? I termini usati per la conversione sono questi: “Sistema di riqualificazione elettrica”. Nello specifico si tratta, usando le parole ministeriali, di un: “Sistema che consente di trasformare un veicolo della categoria L con motore endotermico in un veicolo con esclusiva trazione elettrica”.
Gli elementi del kit
1. un motopropulsore, ossia macchina elettrica e relativo convertitore di potenza, montato a monte degli organi di trasmissione;
2. un pacco batterie, comprensivo di sistema di gestione elettrica e termica degli accumulatori e di sistema di sezionamento e protezione, inteso a fornire in modo esclusivo l’energia e la potenza di trazione;
3. un’interfaccia con la rete per la ricarica del pacco batterie;
4. eventuali altri sottosistemi necessari al corretto funzionamento del veicolo trasformato.
Come nelle quattro ruote c’è il kit da omologare
Per essere significativa la norma deve incentivare un sistema di produzione industrialeche permetta di ridurre i costi e attrarre clienti. Servono i kit. Leggiamo il regolamento: “Ogni sistema di riqualificazione elettrica è omologato in relazione ad una o più famiglie di veicoli”. Terminata la pratica: “A ciascun sistema di riqualificazione elettrica è assegnato un numero di omologazione” e “la Direzione Generale per la motorizzazione rilascia il certificato di omologazione del sistema di riqualificazione elettrica”. Importante il passaggio dove si sottolinea che il kit montato non deve alterare: “Le originarie caratteristiche del veicolo in termini di prestazioni e sicurezza”.
Nulla osta del costruttore solo per alcune modifiche
Il proprietario del veicolo può convertire in elettrico la sua moto senza chiedere l’autorizzazione al costruttore, ma se il retrofit richiede: “Sostituzioni o modifiche di parti del veicolo al di fuori del sistema di propulsione stesso” allora “è richiesto il preventivo nulla osta del costruttore del veicolo”. Un limite, ma ampia libertà per il motore elettrico. Il via libera non è necessario per modifiche e sostituzioni di tutti “gli organi appartenenti alla catena cinematica che trasmette il moto tra l’albero motore e le ruote di trazione – quali, ad esempio, il cambio, il differenziale, i semiassi -, purché i valori di potenza massima e coppia massima restino nell’intervallo chiuso di cui all’allegato C”. Inoltre in alternativa al nulla osta del costruttore può intervenire il servizio tecnico per accertare “un livello di sicurezza e di prestazioni non inferiori a quello del veicolo originario”.
Il responsabile delle batterie? Il costruttore del kit
Il costruttore del kit per il regolamento è un “produttore” quindi responsabile delle “procedure di recupero e trattamento del pacco batterie esauste”. Un aspetto fondamentale per garantire il loro riuso e riciclo. Il costruttore inoltre deve predisporre e rendere disponibili, per ogni sistema omologato, le prescrizioni per l’installazione con le indicazioni generali e specifiche. In pratica: “Informazioni di uso, manutenzione, installazione e smaltimento dello stesso, destinate all’installatore e all’utilizzatore”, più “istruzioni e avvertenze, rescue card, da utilizzarsi in caso di interventi di emergenza”.
Chi lo monta? L’installatore. Kit dall’estero? Controllo del ministero
Il kit deve essere montato da un installatore che rilascia una dichiarazione con la quale certifica l’osservanza delle prescrizioni per l’installazione disposte dal costruttore. A livello burocratico si prosegue con “l’aggiornamento della carta di circolazione” e soprattutto ”non è consentito il ripristino del motore endotermico”. Una scelta irreversibile, si converte una volta per sempre.
Interessante il tema del via libera ai kit “stranieri” – Stati appartenenti all’Unione europea o allo Spazio economico europeo – ma per poter essere installati “sono soggetti a verifica delle condizioni di sicurezza del prodotto e di protezione degli utenti” che devono essere “equivalenti o superiori a quelle richieste dal decreto”. Bene, ma prima di dare un giudizio vediamo la versione definitiva.
notizia da:vaielettrico.it
Abbiamo recuperato il documento, nel vero senso della parola, che invece meriterebbe di essere ben diffuso anche per evitare i classici orrori ben evidenti in tante norme non condivise.
C’è da aspettare: il regolamento trasmesso alla Commissione Ue
Vicini al traguardo? Quasi, ma andiamoci cauti perché il documento che riassumiamo è stato spedito dal ministero dei Trasporti agli uffici competenti della Commissione Ue per essere consultato. Si dovrà, dunque, aspettare fino al 5 febbraio. C’è da penare ancora, ricordiamo la lunga battaglia dei ragazzi riminesi che hanno ideato il kit del Vespino, mentre i francesi sono arrivati dopo ma già concedono contributi per la conversione in elettrico delle due ruote.
Il regolamento retrofit moto
Cosa prevede il regolamento? I termini usati per la conversione sono questi: “Sistema di riqualificazione elettrica”. Nello specifico si tratta, usando le parole ministeriali, di un: “Sistema che consente di trasformare un veicolo della categoria L con motore endotermico in un veicolo con esclusiva trazione elettrica”.
Gli elementi del kit
1. un motopropulsore, ossia macchina elettrica e relativo convertitore di potenza, montato a monte degli organi di trasmissione;
2. un pacco batterie, comprensivo di sistema di gestione elettrica e termica degli accumulatori e di sistema di sezionamento e protezione, inteso a fornire in modo esclusivo l’energia e la potenza di trazione;
3. un’interfaccia con la rete per la ricarica del pacco batterie;
4. eventuali altri sottosistemi necessari al corretto funzionamento del veicolo trasformato.
Come nelle quattro ruote c’è il kit da omologare
Per essere significativa la norma deve incentivare un sistema di produzione industrialeche permetta di ridurre i costi e attrarre clienti. Servono i kit. Leggiamo il regolamento: “Ogni sistema di riqualificazione elettrica è omologato in relazione ad una o più famiglie di veicoli”. Terminata la pratica: “A ciascun sistema di riqualificazione elettrica è assegnato un numero di omologazione” e “la Direzione Generale per la motorizzazione rilascia il certificato di omologazione del sistema di riqualificazione elettrica”. Importante il passaggio dove si sottolinea che il kit montato non deve alterare: “Le originarie caratteristiche del veicolo in termini di prestazioni e sicurezza”.
Nulla osta del costruttore solo per alcune modifiche
Il proprietario del veicolo può convertire in elettrico la sua moto senza chiedere l’autorizzazione al costruttore, ma se il retrofit richiede: “Sostituzioni o modifiche di parti del veicolo al di fuori del sistema di propulsione stesso” allora “è richiesto il preventivo nulla osta del costruttore del veicolo”. Un limite, ma ampia libertà per il motore elettrico. Il via libera non è necessario per modifiche e sostituzioni di tutti “gli organi appartenenti alla catena cinematica che trasmette il moto tra l’albero motore e le ruote di trazione – quali, ad esempio, il cambio, il differenziale, i semiassi -, purché i valori di potenza massima e coppia massima restino nell’intervallo chiuso di cui all’allegato C”. Inoltre in alternativa al nulla osta del costruttore può intervenire il servizio tecnico per accertare “un livello di sicurezza e di prestazioni non inferiori a quello del veicolo originario”.
Il responsabile delle batterie? Il costruttore del kit
Il costruttore del kit per il regolamento è un “produttore” quindi responsabile delle “procedure di recupero e trattamento del pacco batterie esauste”. Un aspetto fondamentale per garantire il loro riuso e riciclo. Il costruttore inoltre deve predisporre e rendere disponibili, per ogni sistema omologato, le prescrizioni per l’installazione con le indicazioni generali e specifiche. In pratica: “Informazioni di uso, manutenzione, installazione e smaltimento dello stesso, destinate all’installatore e all’utilizzatore”, più “istruzioni e avvertenze, rescue card, da utilizzarsi in caso di interventi di emergenza”.
Chi lo monta? L’installatore. Kit dall’estero? Controllo del ministero
Il kit deve essere montato da un installatore che rilascia una dichiarazione con la quale certifica l’osservanza delle prescrizioni per l’installazione disposte dal costruttore. A livello burocratico si prosegue con “l’aggiornamento della carta di circolazione” e soprattutto ”non è consentito il ripristino del motore endotermico”. Una scelta irreversibile, si converte una volta per sempre.
Interessante il tema del via libera ai kit “stranieri” – Stati appartenenti all’Unione europea o allo Spazio economico europeo – ma per poter essere installati “sono soggetti a verifica delle condizioni di sicurezza del prodotto e di protezione degli utenti” che devono essere “equivalenti o superiori a quelle richieste dal decreto”. Bene, ma prima di dare un giudizio vediamo la versione definitiva.
notizia da:vaielettrico.it