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Harley-Davidson non sta passando un periodo positivo. Vendite in calo e clientela che non si riconosce più nel marchio. I concessionari alzano la voce, mentre gli appassionati sul web li accusano di essere diventati “woke”, cioè un simbolo che ormai non ha più identità.
Ma non è finita qui, perché l’Unione Europea ha recentemente chiuso la battaglia legale contro Harley-Davidson, stabilendo che la sua produzione delocalizzata in Thailandia altro non fosse che un tentativo maldestro di aggirare i dazi doganali.
Qual è stata la soluzione di Harley-Davidson per non pagare i dazi di Trump
La vicenda aveva avuto inizio nel 2018, quando Donald Trump aveva imposto dazi sulle merci europee. L'UE aveva quindi inserito tariffe aggiuntive del 25% sui prodotti americani, incluse le moto Harley-Davidson. La soluzione dell’azienda?
Spostare parte della produzione in Thailandia, un Paese non colpito dalle misure europee. Le moto destinate al mercato europeo sarebbero così state etichettate come “prodotte in Thailandia”, evitando le costose tariffe.
La Corte di giustizia dell’UE ha oggi stabilito che lo spostamento della produzione non fosse giustificato da motivi economici o di efficienza aziendale, ma fosse unicamente mirato a eludere i dazi doganali. “Sebbene le aziende siano libere di ottimizzare le loro attività, le delocalizzazioni effettuate in risposta alle misure tariffarie sono soggette a un controllo approfondito”, ha affermato la Corte. Harley-Davidson non avrebbe quindi fornito prove convincenti per difendere la propria posizione.
E se la svolta elettrica della linea LiveWire avrebbe dovuto rappresentare una nuova era, è finita col sembrare più un distacco mal riuscito.
notizia da: moto.it