Settantacinque anni fa nasceva in California il più noto gruppo di biker al mondo. Ma cosa resta oggi di quell'epoca? cosa sono stati gli "angeli"? Lo riscopriamo con l'aiuto di Hunter S. Thompson, uno che li ha conosciuti molto da vicino
“La minaccia è di nuovo in circolazione, gli Hells Angels corrono veloci e rumorosi sull'autostrada. Bassi sulla sella, non un sorriso, si insinuano come pazzi nel traffico, guidando a centocinquanta all'ora in mezzo alla strada, schivano le auto di pochi centimetri… Gengis Khan su cavalli d'acciaio - mostruosi destrieri dall'ano di fuoco - veloci a farsi una birra e anche tua figlia".
Se non vi piace questa descrizione, non lamentatevi con me ma con un signore che si chiamava Hunter S. Thompson, uno di quelli che col suo stile rivoluzionario ha tracciato la strada per generazioni di aspiranti scrittori-giornalisti, nessuno di questi degno di legargli le scarpe. Forse lo conoscete perché è l'autore di "Paura e disgusto a Las Vegas", da cui qualche anno fa hanno anche tratto un film (che si chiamava "Paura e delirio a Las Vegas", perché la parola "disgusto" in locandina suona male).
Eppure la prima opera che lo fece conoscere al mondo è stata "Hells Angels". Lui li conosceva bene: si è fatto accettare, ha vissuto con loro per quasi un anno, poi alla fine si è fatto odiare. E ha raccontato tutto. Riletto oggi, per l'ennesima volta, a 75 anni dalla fondazione del gruppo di motociclisti più noto al mondo, "Hells Angels" ha l'attualità e la freschezza del classico, perché racconta senza pregiudizi cosa sono stati, almeno nella loro fase iniziale, gli "angeli".
Un piccolo inciso
I miei contatti con gli Hells Angels non sono stati diretti, e sono meno recenti di quelli avuti da Mr. Thompson. Anni fa, in una delle mie precedenti vite professionali, intervistai Julian Sher, giornalista d'inchiesta canadese che scrisse un libro ben documentato sui legami degli Angels americani con lo spaccio di droga e altre attività criminali a livello internazionale. Il pezzo uscì e io partii per le vacanze. Al mio ritorno il capo mi disse, serio: "Hanno chiamato gli Hells Angels e hanno detto che vogliono menare il direttore". Non mi sentii affatto in colpa: avevo solo fatto il mio dovere, raccontare e scrivere. E un mio vecchio maestro mi disse: "Se quando scrivi qualcosa la gente si arrabbia, allora hai fatto il tuo lavoro". Al direttore, per fortuna sua, non fu torto nemmeno un capello. Però per qualche giorno rimase anche a me "quel senso di minaccia che è parte dell'aria che gli Hells Angels respirano".
La rivincita degli esclusi
Il fatto è che degli Hells Angels oggi si parla poco, ma solo perché non c'è molto da dire: le migliaia di affiliati ai 463 club sparsi nel mondo sono per la maggior parte persone che vivono innocentemente una leggenda. Certo, degli Hells Angels sono noti ai più i fatti di cronaca nera, come la scia di sangue che ha macchiato l'Alto Adige nei primi anni 2000 e la ben più violenta faida che negli Anni 90 ha visto contrapporsi gli Angels ai Bandidos in Scandinavia. O ancor prima, la dissennata gestione del servizio d'ordine durante il festival di Altamont, nel 1969, quando l'afroamericano Meredith Hunter morì accoltellato da uno dei biker mentre suonavano i Rolling Stones.
Ma allora, nel 1965, di loro si parlava moltissimo, soprattutto negli Stati Uniti. Dove il fenomeno Hells Angels venne creato ad arte dalla stampa nazionale, in cerca di un capro espiatorio visibile e appariscente, qualcuno da accusare di tutte le bassezze e il degrado possibile, una specie di distillato che raccoglieva tutte le porcherie della società americana, o almeno di quella parte che dopo la seconda guerra mondiale ne era rimasta ai margini. E che costituiva lo zoccolo duro del gruppo.
Erano dei "fuorilegge", avevano un aspetto repellente - e in questo non aiutava la loro allergia alla doccia - un concetto del divertimento piuttosto particolare (l'alcol non mancava mai, e nemmeno marijuana, Seconal o altre droghe sintetiche), uno stile di vita sopra le righe. Detestavano la polizia, che in quegli anni perseguitava i motociclisti cattivi e spesso tirava due mazzate anche a quelli buoni. "Siamo in guerra con gli Hells Angels, quei delinquenti con la moto", disse un poliziotto a un giornalista di San Francisco. "Intende dire chiunque abbia una moto?". "L'innocente dovrà soffrire con il colpevole".
La "colpa" dei media
Chissà che fine avrebbero fatto gli Hells Angels se non ci fossero stati i reportage fantasiosi delle testate nazionali come "Life" o il "New York Times". Prima di diventare "di moda" e noti al pubblico delle famiglie per bene degli Stati Uniti, erano un gruppetto di delinquentelli in moto, 463 contati, secondo i calcoli del procuratore generale dello Stato, sparsi in alcune città della California. Di certo Sonny Barger, leader e deus ex machina dell'organizzazione, fu capace di raccoglierne i cocci e ricostruire un gruppo perseguitato dalle autorità. La sua figura carismatica divenne un punto di riferimento per i mezzi di comunicazione. Tra Hells Angels e giornali il rapporto è sempre stato ambiguo.
La notorietà dava fastidio, soprattutto a quelli che si erano rifugiati a Oakland fuggendo da denunce per furti, aggressioni e alimenti non pagati alle ex mogli. I giornalisti erano considerati alla stregua di spazzatura umana, capace solo di riportare le versioni ufficiali. Eppure a loro piaceva essere intervistati e fotografati. Come testimonia il reportage scattato da Bill Ray nel 1965, che li seguì per tre settimane e pubblicò il resoconto su "Life". Immagini immortali e forti ancora oggi, a più di mezzo secolo di distanza.
Cosa resta oggi?
Gli Hells Angels hanno radici sociali ben poco romantiche. La loro vicenda è un piccolo pezzo di storia americana nata da un gruppo di perdenti della società che, invece di sottomettersi al proprio destino collettivo, ne ha fatto il punto di partenza per una vendetta sociale a tempo pieno. La vera questione è, ancora oggi: cosa rende gli Hells Angels qualcosa di così radicato nonostante i 75 anni passati dalla loro nascita? Forse il culto dell' "1%", ossia la percentuale che l'Associazione dei motociclisti americani sosteneva di non rappresentare e di cui gli Angels costituivano la crema? Forse la mistica del "club chiuso" in cui il collante è la passione per le due ruote? O lo stereotipo pompato dall'industria di Hollywood del ribelle in moto? Oggi, nel 2023, mi piacerebbe chiedere a uno di loro he cosa significa essere un Hells Angels.
E se sa perché il gruppo di cui porta i colori si scrive "Hells" senza l'apostrofo. Temo che molti di loro, forse tutti, non saprebbero rispondere a questa domanda. La potenza degli Hells Angels sta nel rapporto simbiotico tra il fuorilegge e la moto. Perché la motocicletta è l'unica cosa nella vita di un Angel di cui sia completamente padrone, l'unico simbolo riconosciuto del suo status. Per Sonny Barger l'amore "è il sentimento che provi quando qualcosa ti piace quanto la tua moto". E questo vale per tutti, Hells Angels o meno.
notizia da: dueruote.it
“La minaccia è di nuovo in circolazione, gli Hells Angels corrono veloci e rumorosi sull'autostrada. Bassi sulla sella, non un sorriso, si insinuano come pazzi nel traffico, guidando a centocinquanta all'ora in mezzo alla strada, schivano le auto di pochi centimetri… Gengis Khan su cavalli d'acciaio - mostruosi destrieri dall'ano di fuoco - veloci a farsi una birra e anche tua figlia".
Se non vi piace questa descrizione, non lamentatevi con me ma con un signore che si chiamava Hunter S. Thompson, uno di quelli che col suo stile rivoluzionario ha tracciato la strada per generazioni di aspiranti scrittori-giornalisti, nessuno di questi degno di legargli le scarpe. Forse lo conoscete perché è l'autore di "Paura e disgusto a Las Vegas", da cui qualche anno fa hanno anche tratto un film (che si chiamava "Paura e delirio a Las Vegas", perché la parola "disgusto" in locandina suona male).
Eppure la prima opera che lo fece conoscere al mondo è stata "Hells Angels". Lui li conosceva bene: si è fatto accettare, ha vissuto con loro per quasi un anno, poi alla fine si è fatto odiare. E ha raccontato tutto. Riletto oggi, per l'ennesima volta, a 75 anni dalla fondazione del gruppo di motociclisti più noto al mondo, "Hells Angels" ha l'attualità e la freschezza del classico, perché racconta senza pregiudizi cosa sono stati, almeno nella loro fase iniziale, gli "angeli".
Un piccolo inciso
I miei contatti con gli Hells Angels non sono stati diretti, e sono meno recenti di quelli avuti da Mr. Thompson. Anni fa, in una delle mie precedenti vite professionali, intervistai Julian Sher, giornalista d'inchiesta canadese che scrisse un libro ben documentato sui legami degli Angels americani con lo spaccio di droga e altre attività criminali a livello internazionale. Il pezzo uscì e io partii per le vacanze. Al mio ritorno il capo mi disse, serio: "Hanno chiamato gli Hells Angels e hanno detto che vogliono menare il direttore". Non mi sentii affatto in colpa: avevo solo fatto il mio dovere, raccontare e scrivere. E un mio vecchio maestro mi disse: "Se quando scrivi qualcosa la gente si arrabbia, allora hai fatto il tuo lavoro". Al direttore, per fortuna sua, non fu torto nemmeno un capello. Però per qualche giorno rimase anche a me "quel senso di minaccia che è parte dell'aria che gli Hells Angels respirano".
La rivincita degli esclusi
Il fatto è che degli Hells Angels oggi si parla poco, ma solo perché non c'è molto da dire: le migliaia di affiliati ai 463 club sparsi nel mondo sono per la maggior parte persone che vivono innocentemente una leggenda. Certo, degli Hells Angels sono noti ai più i fatti di cronaca nera, come la scia di sangue che ha macchiato l'Alto Adige nei primi anni 2000 e la ben più violenta faida che negli Anni 90 ha visto contrapporsi gli Angels ai Bandidos in Scandinavia. O ancor prima, la dissennata gestione del servizio d'ordine durante il festival di Altamont, nel 1969, quando l'afroamericano Meredith Hunter morì accoltellato da uno dei biker mentre suonavano i Rolling Stones.
Ma allora, nel 1965, di loro si parlava moltissimo, soprattutto negli Stati Uniti. Dove il fenomeno Hells Angels venne creato ad arte dalla stampa nazionale, in cerca di un capro espiatorio visibile e appariscente, qualcuno da accusare di tutte le bassezze e il degrado possibile, una specie di distillato che raccoglieva tutte le porcherie della società americana, o almeno di quella parte che dopo la seconda guerra mondiale ne era rimasta ai margini. E che costituiva lo zoccolo duro del gruppo.
Erano dei "fuorilegge", avevano un aspetto repellente - e in questo non aiutava la loro allergia alla doccia - un concetto del divertimento piuttosto particolare (l'alcol non mancava mai, e nemmeno marijuana, Seconal o altre droghe sintetiche), uno stile di vita sopra le righe. Detestavano la polizia, che in quegli anni perseguitava i motociclisti cattivi e spesso tirava due mazzate anche a quelli buoni. "Siamo in guerra con gli Hells Angels, quei delinquenti con la moto", disse un poliziotto a un giornalista di San Francisco. "Intende dire chiunque abbia una moto?". "L'innocente dovrà soffrire con il colpevole".
La "colpa" dei media
Chissà che fine avrebbero fatto gli Hells Angels se non ci fossero stati i reportage fantasiosi delle testate nazionali come "Life" o il "New York Times". Prima di diventare "di moda" e noti al pubblico delle famiglie per bene degli Stati Uniti, erano un gruppetto di delinquentelli in moto, 463 contati, secondo i calcoli del procuratore generale dello Stato, sparsi in alcune città della California. Di certo Sonny Barger, leader e deus ex machina dell'organizzazione, fu capace di raccoglierne i cocci e ricostruire un gruppo perseguitato dalle autorità. La sua figura carismatica divenne un punto di riferimento per i mezzi di comunicazione. Tra Hells Angels e giornali il rapporto è sempre stato ambiguo.
La notorietà dava fastidio, soprattutto a quelli che si erano rifugiati a Oakland fuggendo da denunce per furti, aggressioni e alimenti non pagati alle ex mogli. I giornalisti erano considerati alla stregua di spazzatura umana, capace solo di riportare le versioni ufficiali. Eppure a loro piaceva essere intervistati e fotografati. Come testimonia il reportage scattato da Bill Ray nel 1965, che li seguì per tre settimane e pubblicò il resoconto su "Life". Immagini immortali e forti ancora oggi, a più di mezzo secolo di distanza.
Cosa resta oggi?
Gli Hells Angels hanno radici sociali ben poco romantiche. La loro vicenda è un piccolo pezzo di storia americana nata da un gruppo di perdenti della società che, invece di sottomettersi al proprio destino collettivo, ne ha fatto il punto di partenza per una vendetta sociale a tempo pieno. La vera questione è, ancora oggi: cosa rende gli Hells Angels qualcosa di così radicato nonostante i 75 anni passati dalla loro nascita? Forse il culto dell' "1%", ossia la percentuale che l'Associazione dei motociclisti americani sosteneva di non rappresentare e di cui gli Angels costituivano la crema? Forse la mistica del "club chiuso" in cui il collante è la passione per le due ruote? O lo stereotipo pompato dall'industria di Hollywood del ribelle in moto? Oggi, nel 2023, mi piacerebbe chiedere a uno di loro he cosa significa essere un Hells Angels.
E se sa perché il gruppo di cui porta i colori si scrive "Hells" senza l'apostrofo. Temo che molti di loro, forse tutti, non saprebbero rispondere a questa domanda. La potenza degli Hells Angels sta nel rapporto simbiotico tra il fuorilegge e la moto. Perché la motocicletta è l'unica cosa nella vita di un Angel di cui sia completamente padrone, l'unico simbolo riconosciuto del suo status. Per Sonny Barger l'amore "è il sentimento che provi quando qualcosa ti piace quanto la tua moto". E questo vale per tutti, Hells Angels o meno.
notizia da: dueruote.it