Su diversi articoli di Mondo Ducati ? stato descritto il principio di funzionamento delle frizioni semplici e di quelle limitatrici della coppia retrograda, capaci cio? di evitare il saltellamento della ruota posteriore della moto e il trascinamento del propulsore in fuori giri durante le veloci scalate di marcia.
Chi ha guidato una Ducati, specialmente se molto potente, conosce i problemi che sorgono quando si imposta una curva in piena velocit?. La staccata provoca, infatti, delle fastidiose e a volte pericolose perdite di aderenza al retrotreno, sollecitando anche in modo anomalo la trasmissione e il propulsore.
Questo fenomeno ? causato dal generoso freno motore dei bicilindrici bolognesi, e cio? dalla coppia retrograda che transita dalla ruota motrice verso il manovellismo, passando ovviamente attraverso la frizione.
Si noti che tale condizione permane anche se il regime del propulsore supera il valore limite imposto dalla centralina che, conseguentemente, non alimenta pi? l?accensione o gli iniettori. L?albero a gomiti, le bielle, i pistoni e tutti gli organi della distribuzione, vengono infatti trascinati.
Edoardo Vigna, un tecnico che ha operato sulle Ducati nel mondiale Superbike e che oggi lavora in una fantastica struttura sita a Ciri? nei pressi di Torino (la EVR - www.edovignaracing.it), ha dato nel tempo un grande contributo nella progettazione delle frizioni antisaltellamento, capaci cio? di limitare la coppia retrograda. Sua, ad esempio, ? stata l?idea di sostituire le molle ad elica cilindrica sullo spingidisco, con una a diaframma.
Le prime, infatti, si posizionavano fuori asse durante l?azionamento dovuto al trascinamento imposto dalla ruota posteriore. Questo tipo di frizione ha comunque da subito presentato un limite intrinseco fino a ora mai superato, dovuto essenzialmente al movimento del tamburo che si solleva per disaccoppiare i dischi, quando su di esso agisce appunto la coppia retrograda.
Edoardo ha per? avuto un'intuizione tanto semplice quanto geniale e ha perci? progettato un elemento antisaltellamento che finalmente risolve tutti i limiti presentati dalle precedenti versioni.
Cerchiamo dunque, con ordine logico, di capire quali problemi sono stati eliminati con il nuovo dispositivo della EVR. Nelle frizioni fino ad ora realizzate il tamburo, oltre a poter ruotare, pu? anche alzarsi leggermente, sfruttando la spinta generata da piani inclinati tra di loro affacciati e appartenenti a piccoli cunei realizzati sul suo fondo. Dunque, quando la ruota trascina il motore, il tamburo assume un moto roto-traslatorio elevandosi e alleggerisce la pressione che lo spingidisco esercita sul pacco dei dischi.
In questo modo la frizione si disinnesta, annullando l?azione di trascinamento diretta dalla ruota al motore. Una molla a tazza mantiene il tamburo in posizione e contrasta il suo sollevamento.
La costante elastica di questa molla determina il valore della coppia retrograda al quale la ruota motrice e la trasmissione vengono disaccoppiate dal motore. La frizione antisaltellamento appena descritta, anche se da una analisi sommaria pu? sembrare perfetta, ha per? sostanzialmente tre limiti fondamentali. Il primo riguarda la molla a tazza. Essa consente di eliminare quelle classiche ad elica cilindrica montate sullo spingidisco, che lavorano non in asse quando il tamburo ruota e trasla, ma purtroppo genera un carico che varia sensibilmente anche in funzione dello stato di usura dei dischi, inficiando a volte il corretto funzionamento della frizione.
Il secondo limite del dispositivo antisaltellamento ? presente negli attriti che si generano tra i piani inclinati posizionati sulle parti che compongono il tamburo. Alcuni costruttori realizzano le frizioni in modo che tali piani siano direttamente in contatto tra loro, generando ovviamente attriti e usure non indifferenti.
E?, ad esempio, il caso della 749R che ha come dotazione di serie un dispositivo antisaltellamento per il quale la manutenzione periodica prevede, ogni 10.000 Km, il suo smontaggio e la lubrificazione delle superfici striscianti.
Una diversa soluzione interpone invece delle piccole sfere tra i piani inclinati, in modo da agevolare sensibilmente il loro scorrimento relativo. In questo caso per? si consumano precocemente le cave entro cui si muovono tali sfere, procurando un pessimo azionamento del tamburo specialmente quando inizia l?azione della coppia retrograda, o quando tale azione cessa e il dispositivo deve richiudersi.
Il terzo problema fondamentale della classica frizione antisaltellamento ? dovuto all?usura delle cave presenti sul tamburo e sulla campana. Il movimento roto-traslatorio del tamburo stesso impone, infatti, uno scorrimento notevole dei dischi condotti e conduttori con il conseguente consumo delle cave stesse.
In sintesi, le frizioni antisaltellamento, come concepite fino ad ora, hanno una anomalia progettuale di fondo, dovuta agli attriti che si generano con il particolare movimento della loro parte collegata all?albero primario del cambio. Si noti che la stessa frizione APTC di cui ci siamo recentemente occupati sulla nostra rivista, e che funziona con un principio molto particolare, ? stata utilizzata dalla Ducati solo sui motori che la fanno funzionare in bagno d?olio (una condizione che abbassa notevolmente gli effetti indesiderati dei suoi inevitabili scorrimenti relativi). L?acume tecnico di Edoardo, per?, gli ha permesso di intuire un fatto tanto semplice quanto fondamentale e cio? che il dispositivo che permette di disaccoppiare il motore dalla trasmissione durante il cambio marcia, funziona correttamente se il solo spingidisco si alza o abbassa. Tutti gli ulteriori azionamenti del tamburo, effettuati per limitare la coppia retrograda, sono in realt? anomali e provocano i malfunzionamenti precedentemente descritti.
Queste parti devono infatti avere unicamente un movimento rotatorio. Il nostro amico tecnico si ? perci? messo al tornio e in breve tempo ha estratto il classico "coniglio dal cilindro". Ha infatti completamente eliminato i piani inclinati sulla base del tamburo, che pu? dunque unicamente ruotare sul piatto su cui ? appoggiato.
La faccia esterna del tamburo stesso ? solidale con un mozzetto cilindrico che ha alla sua estremit? delle piccole rampe. Su di queste appoggia lo spingidisco tramite l?interposizione di rullini. Vengono riutilizzate le molle a elica cilindrica che garantiscono un carico sui dischi meglio distribuito rispetto quello generato dalla molla a diaframma. Quando il pilota aziona la leva sul manubrio, tramite il circuito idraulico di comando (pompa e cilindretto), la consueta asta solleva lo spingidisco rendendo possibile il cambio marcia. Se si genera la coppia retrograda il tamburo ruota sul piano su cui poggia, a causa dell'azione della ruota posteriore che si trasmette attraverso il cambio, ma non si alza.
Durante questo movimento, le rampe del mozzetto cilindrico fanno sollevare lo spingidisco. In questo modo avviene il disaccoppiamento tramite un'azione che ? del tutto simile a quella effettuata dal pilota quando aziona la leva sul manubrio. Non si generano perci? attriti anomali e il funzionamento ? sempre impeccabile.
In definitiva, con questo sistema brevettato da Edoardo, gli elementi della frizione non svolgono azioni particolari, ma solamente quelle per cui sono stati originariamente progettati. Sulla base del mozzetto cilindrico possono essere anche interposte delle piccole molle che modulano la spinta necessaria per sollevare lo spingidisco.
In questo modo ? possibile stabilire il grado di intervento del dispositivo per limitare la coppia retrograda. Il tecnico piemontese ha inoltre aggiunto due dettagli di non secondaria importanza sulla frizione di sua progettazione. Il primo ? presente nello spingidisco che ha il raffreddamento forzato tramite dei canali laterali, attraverso i quali entra l?aria. In questo modo ? possibile contenere sensibilmente le temperature del pacco dei dischi. Il secondo dettaglio ? presente nella campana che si accoppia ai dischi conduttori tramite delle piccole cave circolari. La superficie pi? estesa permette infatti di limitare le pressioni di contatto e dunque le usure.
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